Torna indietro    Home Page    Notiziario    Notiziario News

------------------------------------------

«Non c'è sviluppo senza legalità»

Roma 28 Feb - Sembra uno slogan, abbastanza scontato che potrebbe stare sulla bocca di tutti, eccetto i disonesti.
Ed invece non è così. Non è uno slogan, ma l'amara diagnosi dello studio CENSIS-BNC, presentato il 20 febbraio.
L'analisi, approfondita e scientifica, va oltre le più pessimistiche valutazioni, pur contenendo il bacillo della speranza e la terapia possibile.
I numeri snocciolati, con serietà e professionalità di qualificati analisti, dicono che il Mezzogiorno ha una economia condizionata dallo "zavorramento mafioso".
L'anima parassitaria della criminalità organizzata, succhia ricchezza, frena la produzione, impedisce il potenziale sviluppo.
L'approdo dei numeri, dice che senza lo "zavorramento mafioso", il PIL (ai prezzi di mercato per abitante) del Mezzogiorno sarebbe (nel 2001) potenzialmente al 97,1 rispetto a 100 del centro-nord. Ed invece è al 57,5.
La ricchezza non prodotta, negli ultimi venti anni, ha impedito la creazione di 180mila posti di lavoro per anno, ha frenato gli investimenti, ha creato sfiducia.
La sfiducia degli imprenditori del Mezzogiorno, costretti a convivere con il potere invasivo mafioso, è tale che, ad esempio, circa l'80 per cento degli imprenditori in Calabria e oltre il 50 per cento degli imprenditori in Sicilia, ritengono "rara" la presenza della criminalità nel territorio.
È evidente che queste percentuali (non parlo, non vedo, non sento) siano espressione di autotutela.

Allora, si impongono due osservazioni.

1.    Potrebbe far presa la considerazione che il Sud, sia vittima di se stesso. Produce al suo interno la criminalità e non la importa (semmai la esporta); quindi paga il suo asservimento alla criminalità, paga i suoi errori, paga il suo silenzio complice. Ed, allora, non se la prenda con lo Stato ma con se stesso. Questa è una considerazione superficiale.
Una corretta considerazione non può ignorare che Falcone, Chinnici, Borsellino, Terranova, Costa, Saetta, Livatino, Cassarà, Basile, D'Aleo, La Torre, Mattarella, Scopelliti, Scaglione, Grassi, Alfano, De Mauro, Impastato e tanti altri, erano uomini profondamente del sud e sono stati uccisi perché combattevano con intelligenza, costanza e capacità, la mafia.
Accanto a questi uomini orgogliosi ed onesti, c'è un popolo che odia la vessazione, la prepotenza, l'antistato mafioso.
È un lungo elenco di uomini che, tanto spesso, hanno combattuto da soli e che soli sono stati lasciati. Frequentemente mal sopportati dallo Stato e, poi, da morti dallo Stato, celebrati.
Questa prima osservazione si chiude con un richiamo (che non è espressione di facile demagogia, ma denunzia di una triste realtà).
Non può non esserci un discrimine tra chi ha combattuto e combatte la mafia, tra chi è stato ucciso o vive nel costante pericolo d'agguato, e chi i mafiosi li ha assunti a proprio servizio, ha chiesto d'essere protetto da essi, ha ricevuto i loro voti, ha fatto con loro affari, ritenga che con la mafia si debba convivere.
Questi sono due mondi e due culture antagoniste.
 
2. Nel Mezzogiorno, si discute di "legalità possibile".
Il concetto indica quale e quanta legalità possa esserci nella realtà del sud.
La risposta sembrerebbe ovvia: la legalità non si misura o si modula su una realtà. Essa è una precondizione dello sviluppo, della economia, del vivere civile, della politica.
Eppure proprio questa "ovvietà", è il punto cruciale.
Lo studio CENSIS ha tradotto in numeri la contaminazione mafiosa dell'economia.
Ma c'è un'altra contaminazione: quella della politica.
Contaminazione mafiosa, profonda e diffusa.
Quando ciò si denunzia, la risposta della politica è che così dicendo si intacca la democrazia (espressione del voto e della rappresentanza eletta) e si intaccano le istituzioni (allogamento dei politici).

È una risposta inquietante.

La democrazia e le istituzioni, sono offese dalle contaminazioni mafiose e non dalla denuncia delle contaminazioni.

Domanda: la "politica" ha parlato con costanza e determinazione, la lingua della "legalità" nel sud?

La "politica" ha dimostrato di ritenere la "legalità" una precondizione e non un modulo da adeguare alle diverse realtà?

Non è sconcertante che capifamiglia, dal carcere, abbiano rimproverato gli eletti di non avere mantenuto gli impegni, perfino minacciandoli (con l'usuale criptico messaggio) di morte?

Come ha risposto la "politica sana"?

Ha detto che i proclami mafiosi sono stati un attacco alla democrazia e al Parlamento.
La seconda risposta è stata, giustamente, quella di dare protezione ai minacciati.

Ma si è interrogata, la "politica sana", sulle cause, ragioni, diffusione, stato, della politica "malata"?

Neanche per idea.

Non era questo un argomento da approfondire?
Ecco, allora, che si ritorna al concetto di "legalità possibile".
Quanta legalità è possibile con la contaminazione mafiosa della politica e la distrazione della "politica sana"?

Può la politica "contaminata" e beneficiata dall'aiuto mafioso (salvo poi ad essere minacciata, se non mantiene le promesse), essere seriamente e profondamente convinta che la legalità è una precondizione nella società civile?

A chi interessa, veramente, la sconfitta dell'antistato?

Ci vogliono leggi per contrastare la criminalità e non leggi per indebolire il contrasto.
Senonché, questo governo e questa maggioranza, sono capaci solo di fare leggi, per aiutare qualche loro illustre rappresentante.
Per gli "illustri rappresentanti", la maggioranza è insonne e frenetica (vedi Cirami) e prepara, inoltre, qualche buon regalo alla criminalità organizzata (vedi la proposta di abrogazione dell'art. 238 bis e la modifica dell'art. 192 del codice di procedura penale, contenute nella Pittelli).
Sono due notevoli regali alla mafia.

Perché?

È così che governo e maggioranza vogliono la legalità e lo sviluppo?

Purtroppo bisogna prendere atto che il concetto di legalità non è per nulla al centro dell'interesse di questo governo, espressione di questa maggioranza.
Ci vuole, allora, una forte mobilitazione delle coscienze.
Non dobbiamo perdonare nessuna forma di lassismo.
Dobbiamo denunciare le collusioni colpevoli, oltre quelle dolose.
Il Mezzogiorno sano sfiduciato, sappia chi gli toglie la fiducia e incrina la speranza, chi concorre a negargli sviluppo; sappia trovare la forza della rivolta morale, liberandosi di chi, aiutando la mafia con volontà o distrazione, lo condanna al pantano.

Per l'Italia dei Valori, la questione morale è, oggi, ancor più, questione legalità.
 
Luigi Li Gotti
Responsabile "Giustizia", Di Pietro

(Aggiornato il 28 Febbraio 2003 ore 12:30)

-----------------------------------------

  Torna indietro      Torna su ˆ

Copyright © Umby.    

http://web.tiscali.it/byumby        http://web.tiscali.it/umby
Per problemi o domande su questo sito Web contattare    umby.cam@tiscalinet.it
Ultimo aggiornamento: 28-02-03.

http://it.msnusers.com/Umby/Documenti/index.htm