La
globalizzazione tende a ridimensionare il sistema dei diritti dei
lavoratori. Si vuole imporre una tipologia sempre più diffusa di
lavoro precario. L’attacco ai diritti sul lavoro si unisce alla
mancanza di lavoro: anzi questa condizione viene usata come
ricatto per ridisegnare le norme che devono regolare il lavoro.
Questa è la
filosofia del Libro Bianco. Eccone alcuni passi:
· Mercato e
organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente
velocità. Non altrettanto avviene per i rapporti di lavoro: il
sistema regolativo ancor oggi utilizzato in Italia non è più in
grado di cogliere e governare la trasformazione in atto. Assai più
che semplice titolare di un “rapporto di lavoro”, il
prestatore di oggi e, soprattutto, di domani, è un collaboratore
che opera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un
progetto, di una missione, di un incarico, di una fase
dell’attività produttiva o della sua vita. Il percorso
lavorativo è segnato da cicli in cui si possono alternare fasi di
lavoro dipendente ed autonomo, in ipotesi intervallati da forme
intermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazione
professionale. Il quadro giuridico-istituzionale ed i rapporti
costruiti dalle parti sociali, quindi il diritto del lavoro e le
relazioni industriali, devono cogliere queste trasformazioni in
divenire, agevolandone il governo.
· Il mercato del
lavoro italiano necessita, quindi, di importanti modifiche al suo
apparato regolatorio, procedendo organicamente ad una
modernizzazione dell’organizzazione e dei rapporti di lavoro,
auspicabilmente d’intesa con le parti sociali. L’introduzione
della nuova normativa sul contratto a termine rappresenta un primo
esempio di queste azioni.
· Interventi
correttivi appaiono urgenti per eliminare quegli ostacoli
normativi che ancora rendono complicato l’utilizzo delle
tipologie contrattuali flessibili, che sono state utilizzate in
larga misura in tutti i paesi europei senza che questo abbia
comportato situazioni di esclusione sociale o di bassa qualità
del lavoro. In questo ambito, il contratto di lavoro a tempo
parziale deve essere reso più usufruibile, intervenendo sulle
cosiddette “clausole elastiche” e sull’istituto della
“denuncia”. Il contratto interinale, la cui disciplina deve
essere coordinata con quella del lavoro temporaneo, deve
migliorare la sua funzione di strumento che favorisce l’incontro
tra domanda e offerta. Più in generale, appare opportuno avviare
una riforma complessiva della disciplina in materia di
intermediazione di manodopera, anche alla luce dei processi di
esternalizzazione del lavoro e nel rispetto delle condizioni di
tutela del lavoro.
· D’altro
lato, occorre prevedere nuove tipologie contrattuali che abbiano
la funzione di “ripulire” il mercato del lavoro
dall’improprio utilizzo di alcuni strumenti oggi esistenti, in
funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela
del lavoro subordinato, e che, nel contempo, tengano conto delle
mutate esigenze produttive ed organizzative. In questa ottica, si
segnala la proposta di introdurre il “lavoro intermittente”,
consentendo a numerosi soggetti di percepire un compenso minimo
per la propria disponibilità, aumentando poi l’effettiva
retribuzione in ragione dell’orario effettivamente richiesto,
nonché della prospettazione del lavoro a progetto, come forma di
lavoro autonomo parasubordinato in cui rileva fortemente il
fattore della realizzazione appunto di un progetto avente precisi
requisiti in termini di quantificazione temporale ma anche di
qualità della prestazione. Questi interventi sono finalizzati a
bonificare il mercato del lavoro dalle collaborazioni coordinate e
continuative, spesso fonte di abusi frodatori.
· In Italia, più
che in tutti i maggiori paesi europei esiste una fortissima
dispersione territoriale dei tassi di disoccupazione associata ad
una quasi omogeneità territoriale dei livelli salariali. Siamo un
paese molto “egualitario” in politica salariale, ma molto
disuguale dal punto di vista delle condizioni del mercato del
lavoro.
· Questa
situazione appare il risultato anche di un sistema di
contrattazione collettiva che mantiene caratteristiche di
centralizzazione inadatte ad assicurare una flessibilità della
struttura salariale, che sia capace di adeguarsi ai differenziali
di produttività e di rispondere ai diversi disequilibri del
mercato. Lo scarso legame esistente tra produttività aziendale e
condizioni del mercato locale del lavoro, da un lato, e
retribuzioni, dall’altro, si traduce in più bassi livelli
occupazionali. A questo si aggiunga che la scarsa crescita,
l’alta disoccupazione, l’elevato carico fiscale e lo stesso
modello contrattuale definito dagli Accordi del 1992-1993 -
sopravvissuto alle condizioni per le quali fu concepito - hanno
portato ad un’evoluzione poco lusinghiera dei salari reali al
netto delle imposte, anche grazie alla crescita della pressione
fiscale sul lavoro.
· La crescita
del tasso di occupazione e la riduzione del divario occupazionale
tra Nord e Sud possono essere determinati anche dalla mobilità
delle persone e delle imprese, stimolata da una più accentuata
differenziazione dei rispettivi salari reali.
· Appare
opportuno, dunque, che le parti sociali anzitutto, e le
istituzioni nazionali e locali, in quanto datori di lavoro,
considerino l’opportunità di rivisitare l’attuale assetto
contrattuale, al fine di dotarlo di una maggiore flessibilità. Ciò
può avvenire rafforzando la contrattazione decentrata, e
legandola in maniera più stretta ai luoghi in cui si determinano
i guadagni di produttività, anche considerando le condizioni
specifiche del mercato del lavoro.
É grave che si
pensi a salari differenziati tra nord e sud (un ritorno implicito
alle gabbie salariali). A maggior ragione è necessario, per i
lavoratori del sud, difendere il contratto nazionale; così come
è indispensabile il mantenimento dell’articolo 18 (il governo
ha pensato di limitarne al solo sud l’abrogazione estendendo così
il divario tra le due aree del paese anche nell’ambito dei
diritti).
È molto importante il discorso sulla formazione.
Riporto una recente valutazione di Cofferati su questo tema che mi
sembra interessante:
''Tende a prevalere - ha detto - nel comportamento concreto delle
imprese, la ricerca e l'utilizzo di strumenti che scindono il
rapporto flessibile dai contenuti formativi. Il rischio è quello
di avere una strumentazione povera, se non addirittura priva di
contenuti formativi. Io invece credo che la formazione sia uno
straordinario strumento di competizione, ma anche la via di
accesso ad una flessibilità buona che spesso manca. Chi vuole
entrare nel mercato del lavoro ed avere un impiego, deve essere
messo nelle condizioni di avere una forte dose di formazione
all'inizio e percorsi successivi per tutto l'arco della sua
carriera. Se così non è manca quel livello di consapevolezza che
porta fare le scelte giuste, senza incertezze e paure e si corre
il rischio di essere espulsi per primi durante i processi di
ristrutturazione. La professionalità e la valorizzazione delle
conoscenze umane diventano davvero la via per una sfida alta, per
una competizione dove non ci sono solo i costi in discussione''.
Un modo per affrontare il problema della nuova occupazione al sud
è quello delle opere pubbliche strettamente legate ai bisogni
delle popolazioni (acqua, strutture sanitarie, servizi
socio-assistenziali, trasporti, investimenti in difesa del
territorio contro le speculazioni edilizie e il dissesto
idro-geologico, ecc.). La costruzione del ponte sullo stretto di
Messina è l’opposto di ciò che serve.
Si parla spesso di Credito d'imposta come incentivo per creare
nuova occupazione.
In realtà l'introduzione del credito di imposta per le assunzioni
in tutto il paese può essere utile anche per il sud perché dà
un vantaggio consistente alle imprese che decidono di investire
nel mezzogiorno ma al tempo stesso produce anche un effetto di
stabilizzazione al Nord. Questa opportunità è ancora più
importante se permette di trasformare un rapporto di lavoro, oggi
a tempo determinato, a tempo indeterminato.
A cura del gruppo
Lavoro/Scuola del CSF
19-04-2002
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