L'avvento
del fascismo e la resistenza sostenuta dai partigiani
Albanesi nei confronti
dell’occupazione italiana
Il
capo del governo Italiano, Benito Mussolini, l’8 gennaio del 1939 firmò il
piano di Ciano di invasione e centomila uomini furono trasportati nel Italia
meridionale pronte allo sbarco. Il 25 Marzo 1939 fu presentato al re d’Albania
una proposta di annessione all’Italia, alla quale il re Zogu non diede alcuna
risposta. Il due di Aprile dello stesso anno la proposta fu presentata di nuovo,
ma questa volta sotto forma di ultimatum al quale dare risposta entro il giorno
sei dello stesso mese. Il 5 Aprile il governo Albanese rese nota la sua
opposizione e lo stesso fece il
parlamento il giorno seguente.Vi furono molte dimostrazioni in quasi tutte le
città con le quali il popolo chiedeva di essere armato per combattere il nemico
che stava invadendo l’Albania.
Il primo
attacco delle forze italiane avvenne via mare; esse cercarono di occupare per
prime le città portuali: Durazzo, Valona e Saranda. L’avvicinamento delle
navi militari ai porti albanesi avvenne intorno alle ore 04 del giorno 7 Aprile
1939. La colonna che sbarcò nella città di Valona aveva come compito quello di
occupare, oltre alla città, anche i luoghi e le altre città vicine. La colonna
era formata da un reggimento di bersaglieri composto di due battaglioni, un
gruppo di milizia fascista, più mezzi pesanti e leggeri.
L’attacco degli italiani fu rapido e
in poco tempo occuparono tutto il paese.
Il 9 Aprile
1939 gli Italiani crearono il Comitato di amministrazione provvisoria
e due giorni dopo nominarono un’Assemblea Costituente, che già il 12
aprile votò l’unione dell’Albania all’Italia e nominò un governo
albanese e decise di donare al re d’Italia, Vittorio Emanuele III, la corona
di “Re d’Albania”.
Nel paese si stabilirono circa centomila soldati Italiani. Il 2 Giugno
fu creato il partito fascista albanese, le cui scelte dipendevano direttamente
dagli ordini impartiti dallo stesso Mussolini. Il giorno seguente fu promulgato
un decreto secondo il quale tutti i dipendenti pubblici dovevano fare atto di
fedeltà di al re d’Italia e ai suoi discendenti, pena la sospensione dal
lavoro.
Durante il
periodo della stabilizzazione del regime fascista, nel paese vi furono molte
rivolte e scioperi degli operai che lavoravano nelle aziende italiane sorte in
Albania. Gli operai richiedevano migliori salari, rivendicavano migliori
condizioni di lavoro e una riduzione delle tasse.
In seguito, oltre ai soldati già arrivati nel Paese, furono portati molti altri operai di varie specializzazioni, i quali avevano un trattamento di favore da parte delle autorità italiane, rispetto agli operai di nazionalità albanese. Soltanto nel periodo che va dal luglio del 1939 ai primi mesi del 1940 arrivarono dall’Italia in Albania circa 50 o 60 mila uomini. Nella città di Valona oltre alle società che già vi si trovavano prima dell’invasione vi si crearono molte altre società, il cui scopo era di costruire aeroporti e porti, caserme e armerie.
2. La fondazione del partito comunista e il suo
programma
In Albania agivano diversi gruppi con una piattaforma politica
differente di resistenza verso l’occupante.
In genere i gruppi comunisti si orientarono verso la posizione che tenne
l’URSS nei confronti del fascismo, dopo la firma del patto di non aggressione
dell’agosto 1939.
I tentativi dei
gruppi comunisti per la loro
unificazione ebbero successo l’8 Novembre 1941, con la fondazione del partito
comunista Albanese (PKSH). Alla prima assemblea
parteciparono anche due delegati Jugoslavi, i quali contribuirono al
formarsi di un orientamento filojugoslavo. .
Nel programma del partito fu affermato che esso si sarebbe impegnato per
l’unione di tutti gli albanesi, senza distinzione di religione, di etnie e di
idee, che avrebbe organizzato la rivolta armata contro l’invasore fascista e
che avrebbe instaurato un governo democratico popolare. Il partito comunista si
avvalse dei legami con dei noti nazionalisti per presentare il suo programma e
per renderlo accetto a tutto il popolo. Organizzò, inoltre,
gruppi di combattimento che svolgevano azioni militari contro
l’occupante.
I successi raggiunti nella guerra comune del popolo albanese contro il
fascismo resero possibile la conferenza di Peza il 16 settembre 1942. Ad essa
parteciparono rappresentanti delle diverse correnti politiche del paese, ma
prevalse il partito comunista guidato da Enver Hoxha. L’organizzazione del
popolo prese il nome di Fronte Nazionale di liberazione. Questo fronte sarebbe
divenuto un’organizzazione pluralista e organi di esso, per la mobilitazione
del popolo in armi, sarebbero stati i consigli nazionali locali di liberazione.
Questi consigli furono accettati da tutti i partecipanti, ma essi non dovevano
essere dominati da un'unica forza politica. Le discussioni che furono fatte,
durante la conferenza, per la denominazione dei gruppi partigiani e per
l’apposizione della stella rossa sul cappello portarono all’incredulità di
alcuni nazionalisti nei confronti del partito comunista. La conferenza scelse
l’organo dirigente del fronte, il consiglio comune nazionale, composto da
alcuni membri scelti dal PKSH. Le decisioni della prima conferenza furono ben
accolte dal popolo e seguirono alcune azioni militari, come quella nella città
di Scrapar, che portò alla liberazione di questo paese. Il 17 Settembre del
1942 nella città di Tirana fu organizzata una protesta da parte delle donne.
A
questo punto, alcuni nazionalisti, non riconoscendo il Fronte nazionale di
liberazione (Fronti nacionalclirimtar), iniziarono ad organizzarsi in maniera
autonoma, come un’scelta per unire tutti i ceti sociali, che non credevano
nella soluzione comunista e nel novembre 1942 crearono un altro Fronte nazionale
(Balli kombetar), con a capo Mithat Frasheri. Questo fronte, nel suo programma,
prevedeva una lotta per i diritti del popolo albanese, per un’Albania libera,
democratica con fondamenti sociali moderni, per una società dove regnasse
libertà di parola e di pensiero e la guerra contro gli invasori. Questo
programma fu apprezzato da gran parte della popolazione. Furono così
organizzati nuovi gruppi di combattimento a Valona, a Skrapar, a Kolonje e
altrove. Si crearono altrettanti consigli di questo nuovo fronte che, comunque,
erano disponibili a collaborare con le altre forze antifasciste, e
a creare, quindi, un organismo comune per la direzione della guerra.
Questi consigli svolsero spesso
delle riunioni con la presenza di delegati del partito comunista.
La
questione che separava queste forze politiche era la posizione nei confronti
delle etnie albanesi fuori dai confini dello stato (Kosovo, Macedonia e Grecia),
questione che i comunisti volevano rinviare a dopo la guerra.
Una
parte della direzione del fronte nazionale non voleva combattere subito contro
gli italiani, l’altra parte invece era pronta a combatterli e alcuni gruppi
svolsero azioni armate. Attraverso contatti con il partito comunista si arrivò,
nel 1943 ad un compromesso per la formazione di commissioni
per coordinare la lotta armata.
Nel dicembre del 1942, valutando la lotta di liberazione del popolo
albanese, la Gran Bretagna, gli Usa
e la Russia riconobbero ufficialmente la Resistenza albanese. Questo rinforzò
la fiducia del popolo nella vittoria contro il fascismo. Nonostante ciò in
quella dichiarazione rimase imprecisata la questione dell’integrità
del territorio albanese.
Oltre all'operazione militare contro Peza, subito dopo la conferenza lì tenuta, le forze d’occupazione nel dicembre del 1942 appiccarono il fuoco a centinaia di case ed effettuarono massacri contro la popolazione del luogo, fecero altre operazioni di repressione. Il 30 dicembre il comando fascista mandò in Mesapik più di due reggimenti militari. Aspri combattimenti si svolsero nella cittadina di Gjorm il primo gennaio del 1943, ai quali presero parte molti partigiani (comunisti) e ballisti (nazionalisti). I reparti italiani furono sconfitti e fu ucciso il comandante dell'operazione, Clementis. Per rappresaglia i fascisti uccisero poi il prefetto della città di Valona. Il 16 gennaio 1943 i partigiani della città di Korca attaccarono i fascisti a Voskopoja. Altri combattimenti vi furono in altre parti dell'Albania nei quali persero la vita molti militari Italiani, ma vi furono gravi perdite anche nei reggimenti partigiani Albanesi. Ci furono molti combattimenti nella città di Valona, Selenice, Mallakaster, in Domje e altri luoghi. Un importante e al tempo stesso molto duro combattimento vi fu a Tepelene, (la città dove lord Byron era stato ospite di Alì Pascià, nei primi anni del 1800): anche qui persero la vita molti militari del reggimento fascista dislocato a Valona.
Il 4 luglio del 1943 il comitato del consiglio di liberazione nazionale si posizionò nella città di Elbasan e formò qui l'organo ufficiale dell’UNCSH (esercito nazionale per la liberazione dell’Albania), composto da 12 membri. Il 10 dello stesso mese fu creato ufficialmente l'esercito di partigiani volontari per liberazione nazionale (UNCVP). L'esercito fu organizzato in divisioni di reggimenti, battaglioni e gruppi di piccola portata. Vi furono in seguito a tal evento molti attacchi contro gli invasori in molte città come ad esempio nella città di Burrel, nel castello di Berat ed in molte altre zone del paese.
6. La riunione di Mukje
Tale
riunione aveva come scopo la riunificazione delle due forze politiche albanesi
per giungere a una soluzione del problema base che preoccupava tutta la
popolazione e cioè quello di combattere il nemico invasore per giungere alla
liberazione del paese. Per unirsi ambedue le parti fecero delle concessioni
l'una all'altra. Le decisioni prese furono: guerra comune ed immediata a fianco
ai grandi alleati (Inghilterra, USA e URSS) e agli altri popoli oppressi,
guerra per un’Albania indipendente, libera e democratica. La forma del
governo sarebbe stata scelta dal popolo dopo la fine della guerra. Inoltre si
voleva creare un organo comune chiamato “Comitato per la salvezza dell’Albania”,
il quale avrebbe guidato la guerra e il paese fino alla formazione di un
governo regolare in seguito ad elezioni generali, subito dopo la fine della
guerra. La formazione di questo comitato pluralistico con sei rappresentanti per
parte fu giudicata come la scelta
più adeguata per l’unione e l’organizzazione delle forze politiche albanesi
in guerra. L’entusiasmo di quest’accordo storico però svanì
molto presto perché Enver Hoxha, sotto
l’influenza di emissari jugoslavi, lo rifiutò denunciandolo come
inaccettabile. Questo comportamento del capo del partito comunista fu un grosso
colpo contro l’unione degli albanesi in quel momento così delicato che stava
attraversando il paese.