1920: La nascita e l'avvento del Fascismo

        L'occupazione delle fabbriche e la scissione di Livorno (1921, nasce il P.C.I. formato da socialisti che escono dal P.S.I.) segnarono in Italia la fine del biennio rosso. Provata da duri anni di guerra e indebolita dalle divisioni interne, la classe operaia cominciò ad accusare i colpi della crisi recessiva che stava investendo l'economia italiana ed europea e che si traduce in un forte aumento della disoccupazione e in una perdita di potere contrattuale per i lavoratori. In questo quadro, in larga parte comune a tutta l'Europa, si inserì un fenomeno che invece non aveva riscontro in nessun altro paese: lo sviluppo improvviso del fascismo. Il movimento fascista era nato a Milano nel Marzo 1919, quando Benito Mussolini aveva fondato i Fasci di combattimento. Il nuovo movimento chiedeva audaci riforme politiche e sociali, ma nel contempo ostentava un acceso nazionalismo e una feroce avversione nei confronti del socialismo marxista.

        Fino all'autunno del 1920, il fascismo aveva svolto un ruolo marginale nella vita politica; nelle elezioni del 1919 e le liste dei Fasci avevano ottenuto poche migliaia di voti e nessun deputato.

        Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921, il movimento subì un rapido processo di mutazione che lo portò ad accantonare l'originario programma radical-democratico, a fondarsi su strutture paramilitari (le squadre d'azione) e a puntare le sue carte su una lotta spietata contro il movimento socialista, in particolare contro le organizzazioni contadine della Valle Padana. Questa trasformazione si spiega in parte con una scelta di Mussolini, che decise di cavalcare l'ondata di riflusso antisocialista seguita al biennio rosso; in parte va ricollegato alla particolare situazione nelle campagne agrarie, dove il "fascismo agrario" si sviluppò, che erano poi le zone in cui più forte era la presenza delle leghe rosse. Queste non solo avevano ottenuto miglioramenti salariali, ma controllavano il mercato del lavoro, contrattando con i proprietari il numero di giornate lavorative da svolgere su ogni fondo e distribuendone il carico fra i propri associati.

        I socialisti disponevano inoltre di una fitta rete di cooperative e avevano in mano buona parte delle amministrazioni comunali. Questo sistema celava al suo interno non pochi motivi di debolezza, primo fra tutti il contrasto fra le strategie delle organizzazioni socialiste, che privilegiavano il ruolo dei salariati senza terre e gli interessi delle categorie intermedie (mezzadri, piccoli affittuari, salariati fissi stabilmente impiegati nell'azienda agricola), che aspiravano a distinguer la loro posizione da quella dei braccianti e a trasformarsi in proprietari.

        Fu l'offensiva fascista ad aprire le prime brecce nell'edificio delle organizzazioni rosse, il 21 novembre 1920 a Bologna i fascisti si mobilitarono per impedire le cerimonie d'insediamento delle nuova amministrazione comunale socialista.  Per un tragico errore, i socialisti incaricati di proteggere il Palazzo d'Accursio, sede del Comune, spararono sulla folla, composta in gran parte dai loro stessi sostenitori, provocando una decina di morti. Da ciò i fascisti trassero preteste per scatenare una serie di ritorsioni antisocialiste in tutta la provincia. Episodi del genere si verificarono un mese dopo nel Ferranese, dopo l'uccisione di tre fascisti.

        In entrambi i casi i socialisti furono colti di sorpresa e non riuscirono a organizzare reazioni adeguate. I proprietari terrieri scoprirono nei Fasci lo strumento capace di abbattere il potere delle leghe e cominciarono a sovvenzionarli generosamente. Il movimento fascista vide arrilare nelle sua file nuove e numerose reclute: ufficiali smobilitati che faticavano a reinserirsi nella vita civile, figli della piccola borghesia alla ricerca di promozione sociale e di affermazione politica. Nel giro di pochi mesi, il fenomeno dello "Squadrismo" dilagò in tutte le province padane, estendendosi anche in altre zone del Centro-Nord. Questi furono i primi passi che porteranno il partito fascista al potere e il leader di questo partito, Mussolini, diverrà Capo del Governo, dopo una marcia su Roma (1922) di tutti i simpatizzanti del fascismo, marcia alla quale il re Vittorio Emanuele III  non volle opporsi; anzi ne approfittò per dare il governo ai fascisti, temendo forse, a causa dell'avanzata del socialismo, di fare la fine che cinque anni prima (1917) aveva fatto lo Zar di Russia. Insieme al re, in un   primo tempo, appoggiarono Mussolini tutte le forze antisocialiste, con poche    eccezioni.                                                                                                                                    

 

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