IL RINASCIMENTO DELLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE

Dopo la crisi post-cerivastatina, gli inibitori del HMG-CoA reduttasi si riprendono
di diritto il ruolo chiave della prevenzione cardiovascolare.

Dopo il congresso mondiale di Cardiologia di Sidney, anche il 73° congresso della European therosclerosis
Society, tenutosi dal 7 al 10 Luglio a Salisburgo ha sancito il ritorno delle statine al primo posto nella hit-parade dei farmaci per la prevenzione delle malattie
cardiovascolari.

Non che, da un punto di vista scientifico, ci fossero stati dubbi sull’efficacia clinica di questi farmaci. Però, dopo la
“confusione” cerivastatina, si era assistito ad un brusco, quanto repentino, calo di sensibilità (più dei pazienti che dei medici, per la verità)
che rischiava di tramutarsi, se prolungato, in un effetto catastrofico per la prevenzione delle malattie coronariche e cerebro-vascolari.

Se dovessimo esprimere il momento contingente con una espressione borsistica diremmo che siamo
in pieno “toro”, con una grandissima attenzione da parte di opinione pubblica, società scientifiche ed aziende farmaceutiche al tema delle dislipidemie ed al loro ruolo nella determinazione del rischio
cardiovascolare.

Le carte del rischio sono state pubblicate a più riprese su tutti gli organi
di stampa scientifica. A tutti i congressi nazionali ed internazionali non si perde l’occasione per
sensibilizzare i partecipanti sull’importanza
di valutare il rischio cardiovascolare dei pazienti. Siamo entrati nel rinascimento della prevenzione cardiovascolare e siamo pronti a vivere una nuova stagione ricca di novità e, speriamo, di grandi risultati.

A riguardo anche a Salisburgo si è parlato di livelli target dei lipidi circolanti. Herbert Shuster, della Humboldt University di Berlino, ha affrontato
il tema del moderno management dei pazienti ad alto rischio. “Il NCEP-ATP III (National Cholesterol Education Program – Adult Treatment Panel III)” ha riportato Shuster, “ha identificato i livelli di lipidi circolanti per i pazienti con rischio cardiovascolare superiore al 20% proiettato a 10 anni (ricordiamo comunque che nel gruppo con target <100 mg/dl ci sono anche pazienti che hanno già sofferto di CAD). Il goal terapeutico in questi pazienti si raggiunge con colesterolo LDL <100 mg/dl, colesterolo HDL >40 mg/dl e trigliceridi <200 mg/dl. Tra loro si trovano soggetti con ipercolesterolemia ipercolesterolemia
familiare, diabetici, pazienti con vasculopatie periferiche o aneurismi addominali aortici ed
aterosclerosi carotidea.

La terapiaipolipidemizzante in questi soggetti
è fondamentale; basti pensare che i pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote, se non trattati, sviluppano malattie coronariche già nel 5% dei casi, entro i 30 anni di età, e nel 50% dei casi nei maschi di 50 anni di cui uno su quattro, circa, muore di infarto del miocardio. Nei pazienti diabetici la situazione è ancora più drammatica, in quanto questa popolazione rappresenta una fetta più ampia di popolazione, per altro, in rapido incremento (cfr, CardioLink n°2 2002).

L’80% dei diabetici di tipo II muore per problemi legati all’eterosclerosi; di questi il 75% per problemi coronarici. Di solito il diabete si accompagna ad altri fattori di rischio, quali: ipertensione, fumo, obesità, dislipidemia, che inducono ad un trattamento con più farmaci.

Il problema più grosso in questi pazienti ad alto rischio è lo scarso controllo che non permette
di individuare situazioni critiche prima che sfocino in eventi cardiocerebrovascolari maggiori. Il secondo ostacolo da superare è il mancato raggiungimento dei livelli target dei lipidi plasmatici o di pressione arteriosa. Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote (HeFH), per esempio, sarebbe assolutamente importante screenare i familiari per identificare altre situazioni critiche e per verificare differenze di colesterolemia all’interno della stessa famiglia. In questi pazienti, poi, l’utilizzo delle statine è assolutamente necessario per ridurre i livelli di LDL circolanti. Per raggiungere i livelli target delle linee-guida” ha concluso Schuster, “è indispensabile utilizzare i farmaci che garantiscano le più ampie riduzioni di colesterolemia, quali atorvastatina e rosuvastatina (quest’ultima molecola attualmente in fase di registrazione), a dosaggi adeguati.








Un recente trial internazionale, eseguito su 622 pazienti affetti da HeFH, ha valutato gli effetti di questi due farmaci sui parametri lipidici dopo 18 settimane di trattamento. Rosuvastatina ha fatto registrare i risultati migliori a 6, 12 e 18 settimane con differenze statisticamente significative rispetto
ad atorvastatina.

Prima di Salisburgo, a Sidney, in
Australia, durante il 14° congresso mondiale di cardiologia, Andrew Tonkin della National Heart
Foundation of Australia, aveva affrontato il problema del rischio cardiovascolare in Popolazioni apparentemente meno a rischio.

“Purtroppo”, aveva detto Tonkin, “i primi segni di malattia cardiovascolare, cardiovascolare,
in una larga fetta di individui, sono costituiti dalla
morte improvvisa e da infarto miocardico fatale, dovuti a rottura di placca. È evidente che esiste un
notevole gap nel monitoraggio della popolazione a rischio che deve essere colmato. Altro limite al
monitoraggio dei lipidi è costituito dal considerare solo la colesterolemia totale ed il colesterolo LDL. I dati del Framingham Heart Study ci hanno mostrato che il 35% dei pazienti con malattie cardiovascolari avevano livelli di colesterolemia totale inferiori a 200 mg/dl (grafico). Lo stesso studio ci ha anche dimostrato che bassi livelli di colesterolo HDL sono associati ad un aumentato richio di malattie coronariche. L’HDL-c, infatti contribuisce al trasporto inverso del colesterolo dalle cellule della parete vasale al fegato, inibisce l’ossidazione delle LDL-c e previene l’adesione dei monociti alle cellule endoteliali.

Altro fattore che influenza fortemente ed indipendentemente lo sviluppo di coronaropatia
è costituito dai trigliceridi plasmatici. Nonostante queste evidenze, alcuni noti algoritmi per il calcolo del rischio cardiovascolare non tengono in considerazione variabili quali Body Mass Index (BMI), trigliceridi, familiarità o stile di vita. Lo
studio AFCAPS/TexCAPS (Air Force/Texas Coronary Atherosclerosis Prevention Study) ha
dimostrato che la terapia con lovastatina in pazienti con LDL-c normale e bassi livelli di HDL-c era in
grado di prevenire un evento fatale o non fatale ogni 89 pazienti trattati in 5 anni”.

Sull’importanza del parametro HDL-c si è espresso a Sidney anche Leif Erhardt, del Malmo University Hospital, in Svezia. “Si è stimato”, ha riportato Erhardt, “che un aumento di 1 mg/dl di HDL-c corrisponda ad una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari pari al 2% negli uomini e del 3% nelle donne.

Lo studio di prevenzione secondaria VA-HIT (Veterans Affaires- High Density Lipoprotein Cholesterol Intervention Trial) ha dimostrato
che il gemfibrozil, in pazienti con basso HDL-c, era in grado di ridurre del 22% il rischio di eventi senza modificare il colesterolo LDL ma alzando del 12% le HDL-c e riducendo del 31% i trigliceridi”.

Recentissimamente il NCEP-ATP III ha inserito anche i livelli target per HDL e trigliceridi evidenziando l’importanza del controllo di
questi parametri lipidici. Proprio sul raggiungimento del goal terapeutico, costituito dalle nuove linee-guida del NCEP-ATP III, Erhardt ha concluso “Oggi grazie a nuovi e più efficaci farmaci inibitori del HMG-CoA reduttasi, abbiamo la possibilità di ottenere risultati clinici migliori. Rosuvastatina è stata in grado di raggiungere il target fissato dal NCEP-ATP III, in pazienti dislipidemici, nel 76% dei casi a dosaggio base.

In pazienti diabetici di tipo II con ipertrigliceridemia sempre rosuvastatina, al dosaggio di 10 mg/die, più fenofibrato 67mg
tds avevano ridotto il colesterolo LDL del 46,7%, aumentato l’HDL-c del 6,4% e ridotto i trigliceridi del 30,3%”
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Giuseppe Rosano