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Quale strategia per i pazienti a rischio?
La complessità delle linee-guida, delle terapie e dei quadri clinici dei pazienti a rischio cardiovascolare obbligano a scelte guidate solo da evidenze solidissime
I dibattiti sulla applicabilità della evidence-based
medicine accompagnati dallo scetticismo dei fautori dell’indirizzo
clinico sempre guidato
Non è un mistero per nessuno che le statine siano proiettate verso scenari di ricerca futuri improntati all’allargamento delle indicazioni non più rivolte alla colesterolemia, bensì alla prevenzione e protezione dalle malattie cardiovascolari. Ma allora, perché rimangono livelli di colesterolo plasmatici il marker di riferimento per iniziare un trattamento anche di fronte ad una documentata aterosclerosi con bassi livelli di LDL-c? Il contrasto, che emerge in maniera sempre maggiore, è tra l’approccio endocrinologico, basato sugli studi epidemiologici ed osservazionali, che si pone l’obiettivo di raggiungere i livelli “normali” di colesterolemia e l’approccio basato sull’evidenza del danno d’organo che parte dalla evidence-based medicine e considera il beneficio delle statine un beneficio che supera il concetto della riduzione del colesterolo e si rivolge direttamente all’aterosclerosi. Anche lo studio HPS, pubblicato di recente su Lancet, ha evidenziato i vantaggi della terapia con statine in pazienti con colesterolemia normale. Tra i pazienti arruolati nello studio con diabete, evidenza di danno coronarico o aterosclerosi vascolare si è ottenuta una riduzione degli eventi cardiovascolari significativa anche nei soggetti con LDL-c sotto a 100 mg/dl (figura 2).
La differenza tra i due approcci dovrebbe essere
completamente superata all’adozione degli algoritmi per il calcolo
del rischio cardiovascolare, attraverso i quali il paziente viene valutato
assemblando tutti i fattori di rischio ai dati riguardanti sesso, età,
familiarità e stile di vita. Tuttavia, proprio l’impostazione
del calcolo del rischio è alla ribalta della cronaca scientifica
(cfr art. La via europea al calcolo del rischio cardiovascolare) in quanto
il peso che viene dato nel calcolo a condizioni quali l’aterosclerosi,
in pazienti senza pregressi eventi, non sempre viene valutato correttamente.
In attesa che i software affinino le loro potenzialità, lo studio
americano CHAMP Cardiovascular Hospitalization Atherosclerosis Management
Program), svolto dalla UCLA University, ha valutato l’approccio
misto, basato sulla correzione dei fattori di rischio quali pressione
arteriosa e colesterolemia, secondo le più recenti linee guida
NCEP-ATP III (National Cholesterol Education Program – Adult Treatment
Pannel III) e sull’adozione di terapie anti-aterosclerosi nei pazienti
con evidenza documentata di danno d’organo, indipendentemente dai
fattori di rischio. Tutti i pazienti con aterosclerosi, documentata attraverso
i diversi strumenti diagnostici disponibili, venivano avviati ad un programma
terapeutico comprendente antiaggregante piastrinico, ACE-inibitore, beta-bloccante,
statine, dieta alimentare ed esercizio fisico. In più, la strategia
diagnostico-terapeutica, iniziata in ospedale, veniva proseguita a casa
attraverso un forte collegamento tra medici
Figura 4. Incidenza di mortalità e reinfarto dopo 1 anno di applicazione del programma CHAMP.
Quasi il 60% dei pazienti aveva raggiunto livelli
di LDL-c <100 mg/dl ed un altro 20% circa aveva ottenuto importanti
riduzioni della colesterolemia basale. Il dato più eclatante, però,
riguarda la mortalità e il reinfarto, passati dal 14,8% pre-studio
al 6,4% dopo l’applicazione del protocollo preventivo (figura 4).
I dati di questo studio sono stati pubblicati sull’American Journal
of Cardiology alla fine del 2001 e rappresentano un monito concreto a
riconsiderare in modo molto semplice l’approccio preventivo e protettivo
al paziente a rischio. Le linee guida sono spesso troppo lunghe e ricche
di dettagli poco significativi per chi esercita quotidianamente la professione
medica negli ambulatori e negli ospedali. Un noto opinion leader americano,
commentando le nuove linee guida NCEP-ATP III ha detto: “372 pagine
e 260.000 parole sono troppe per poter pretendere che siano lette e seguite”.
Auguriamoci che in futuro il paziente ed il medico siano dotati di strumenti
facili e semplici da attuare che consentano di ridurre il rischio di andare
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Andrea Colella |