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Chronology

 

 LEGGERE LA FOLLIA IN GUERRA

1915 – 1918


di Andrea Scartabellati
 

 

 

 

 

            

INDICE

 

2.2 – Fonti giudiziario-militari ed amministrative.

 

 

 

 

Tanto più caratterizza l’Io narrante psichiatrico un preteso ed illusorio atteggiamento non dogmatico di fronte alla follia[22], tanto più il tratto dominate delle fonti giudiziarie ed amministrative può essere rintracciato nell’eterogeneità delle scritture e delle argomentazioni sottoscritte.

Certo, si tratta di una eterogeneità parziale, emancipata finché si muove entro uno spazio teorico comunque tracciato dalle invalicabili coordinate della scuola giuridica e medica positivista. Tra i casi possibili, unificando temi cari al lombrosismo come il suicidio, la fuga ed il vagabondaggio, la tara atavica, la simulazione della pazzia e la non imputabilità dei degenerati, il riepilogo letto dall’Avvocato militare al Tribunale di Guerra di Cremona, chiamato a giudicare il 13 agosto 1917 il caso di M. E., è in questo senso una testimonianza valida.  «Letti gli atti del processo» ammoniva l’avvocatura militare, e

 

«Ritenuto che l’imputato lasciando la caserma del Deposito del 72° Fanteria a Mantova fuggiva a casa sua a Curtarolo e che, ricondotto dal padre, si rendeva poi al suo Corpo  (…) [che] M. era sempre stato uno squilibrato, che il fratello della madre, tale A. Giuseppe si era suicidato gettandosi dalla finestra e che un altro fratello A. Francesco si era gettato nel fiume Brenta a scopo suicida, e che, salvato, si era poi ucciso con un colpo di rivoltella a Piacenza (…) [che] Tradotto nelle carceri militari ed interrogato dall’Ufficiale Istruttore non fu possibile ottenere da lui nessuna risposta, essendosi ripetutamente abbandonato a crisi di pianto [che] Avendo dato segni di alienazione mentale questo ufficio stimò opportuno ordinarne il ricovero al manicomio di Cremona, ove trovasi tuttora degente e sottoporlo ad osservazione psichiatrica, delegando per la perizia il Prof. Rebizzi (…). Il responso del perito, riassunto in una accuratissima relazione (…) conclude la sua diagnosi affermando che l’imputato è affetto da frenosi depressiva. Esso esclude completamente la simulazione perché nel lungo periodo di osservazione (dal 9 luglio al 6 agosto 1917) ogni espediente suggerito dalla tecnica psichiatrica ed ogni esperimento hanno confermato la giustezza del diagnostico. (…) Venendo al giudizio prognostico, il perito osserva che il M. è affetto da malattia mentale acuta, guaribile, che generalmente dura fino a circa otto mesi, ma che, essendo egli, un soggetto frenastenico, la malattia stessa è destinata a non breve a rinnovarsi (…)P[er] Q[uesti] M[otivi] e Visti gli art.56, 544, C.P. Es. e 26 Regolamento sulla Giustizia Militare in Zona di Guerra» l’avvocato militare «Chiede al Comando del Presidio di dichiarare non doversi dare ulteriore corso all’esercizio dell’azione penale nei riguardi di M. E.».

 

L’eterogeneità sub conditione della documentazione, del resto, è comprensibile anche e soprattutto considerando materialmente il tipo di carte che la compongono. Il secondo versante del bagaglio archivistico presentato al lettore si modella, infatti, assemblando insieme:

I – comunicazioni e lettere dalle galere militari e civili di mezza Italia (Milano, Cremona, Agrigento, ecc.), a riprova di una intercambiabilità funzionale di carcere e manicomio non solo frutto della fantasia ideologizzata di alcuni storici. D’altro canto, non è eloquente che anche nelle parole di Renato Rebizzi, alieno per convinzione dall’ortodossia lombrosiana e orgoglioso allievo della scuola fiorentina, carcere e manicomio possano assumere valenza di sinonimo mentre stila diagnosi dove sono scorte nei pazienti «tutte le stigme fisiche e psichiche del soggetto criminale»?[23]  

II – Missive dei sindaci dei comuni di Gadesco, Genivolta, Calcinato, Motta Baluffi, ecc.;

III – ordinanze, mandati a comparire, atti dibattimentali e sentenze della macchina giudiziari civile ed in grigioverde: Tribunale Civile e Penale di Cremona, R. Prefettura del mandamento di Imola; Tribunale Militare Territoriale di Milano, tribunali di guerra di Cremona, Piacenza, Padule (Salerno) e Lonigo (Vicenza); Avvocatura generale militare presso il Comando Supremo del Regio Esercito;

IV - richieste alla direzione manicomiale di delucidazioni dalla Questura di Milano e dalle stazioni dei Carabinieri di Pontevico, Cremona (nel 1960) e Brescia, quando, con un’informativa spedita nell’aprile 1973, cioè a più di mezzo secolo dalla conclusione del conflitto, dalle sabbie mobili di una memoria simile, in tutto, e per tutto ad un marchio d’infamia, il plateale riflesso di un giudizio psichiatrico scientificamente dubbio sui discendenti del ricoverato, rischierà ancora di far mostra della propria forza negativa[24];

V – infine, lettere di parroci e dei commissari della beneficenza civile, segnalazioni da parte di deputatial Parlamento ed imprenditori, la voce stessa, storpiata dallo idioma burocratico, di un ex ricoverato che nel 1962 richiederà al direttore dell’O.P. cremonese la compilazione di un certificato comprovante la propria degenza nel 1916-17 da utilizzare a fini pensionistici, nonché la cronaca giornalistica di un processo a carico di un militare internato dalla conclusione drammatica non meno che efficace nell’aprire uno squarcio sulla quotidianità della follia nell’Italia in guerra.  Sotto la dicitura: “Una scena pietosa”, ragguagliava venerdì 09 agosto 1918 il giornalista del periodico locale “La Provincia” alla discoperta à rebours dell’evidenza patologica nello squilibrato a giudizio:

 

«il B. vedendo nel pubblico la propria moglie che piangeva a dirotto fu preso da un violento accesso e si gettava con tutta forza contro le sbarre della gabbia ove era rinchiuso, producendosi ferita al capo. Per il pronto intervento della forza pubblica che allontanava la moglie che nel frattempo era presa da violenta convulsione, e di un medico che curò il ferito, si esaurì l’incidente che comprovò maggiormente essere il B. un ammalato di mente»[25].

 

La fugace apparizione della moglie, giunta a Cremona da Milano per essere al fianco del marito nel difficile momento, non deve sorprendere. Come rivela l’ultimo dei baluardi archivistici che possiamo trarre dall’archivio della follia, nonostante le limitazioni e la cappa di sospetti e timori vigenti nel Paese in guerra, e la fatica nonché ed il prezzo degli spostamenti, proprio il legame familiare ed il ricordo di casa – con i suoi valori non simbolici di protezione e sicurezza – fornirono ai ricoverati un fragile e nello stesso tempo indispensabile scudo da opporre all’impersonale violenza dell’agire psichiatrico e dei meccanismi giudiziari.

 

NOTE:

 

[22] G. Antonini, La questione della epurazione dall’esercito dei criminali, anomali, ed indisciplinati, in “Archivio di Antropologia Criminale”, XXXVIII, 1917, p.23.

[23] Cartella clinica n. 68.

[24] Cartella clinica n.142, comunicazione del 09 aprile 1973.

[25] Cartella clinica n.94.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

    

 

 

 
                 Rivista Frenis Zero  
 
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