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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
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"Id-entità
mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a
cura di Giuseppe Leo (editor)
Writings by: J. Altounian, S. Amati
Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G.
Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H.
Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F.
Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-0-4
Anno/Year: 2008
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
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"La Psicoanalisi. Intrecci
Paesaggi Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas
Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi,
Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
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CULTURA
PSICHIATRICA E ISTITUZIONE ALL'INIZIO DEL SECOLO.
di Mario Scarcella
(tratto dal
Capitolo primo di Scarcella, Macrì, Bisignani, Adamo, "Pericoloso a sé e
agli altri.Cultura psichiatrica e istituzioni in Italia dall'inizio del secolo
al dopo riforma", Bari, De Donato,1980)
"Identità
negata": disegno (matita) di Giuseppe Leo (ARTGALLERY)
3.
Le iniziative che precedono la legge del 1904.
I
manicomi sorgono in Italia quasi esclusivamente per iniziativa di istituzioni
religiose (opere pie, ordini e congregazioni monastiche, ecc.) con scarsi
contributi delle Province e senza finanziamenti pubblici. Questa latitanza dello
Stato concorre alla persistenza di condizioni aberranti su cui si innestano rari
episodi di denuncia e interventi dell'autorità giudiziaria per circostanze che
vengono casualmente alla luce. Come rileva Stock, nel 1892 su 45 manicomi
pubblici esistenti nel Regno oltre la metà (23) sono gestiti da opere pie.
Appelli e iniziative per una pubblicizzazione e per una regolamentazione
organica non mancano in quegli anni, anche se ispirati da finalità ambigue. Già
prima della fondazione della Società freniatrica italiana, avvenuta nel 1870, il
decimo congresso degli scienziati italiani, svoltosi a Siena nel 1862,
sollecitava il governo perché promulgasse una legge <<uniforme e avanzata per la
migliore sistemazione e direzione dei manicomi e per la più rassicurante tutela
degli alienati>>. Il Ministro dell'Interno, Peruzzi, nel 1863 incaricava
Miraglia, direttore del manicomio di Aversa, di predisporre un <<progetto di
manicomio modello>>. Ma è solo nel 1877, dopo l'avvento della sinistra al
potere, che il governo De Pretis presenta alla Camera il primo progetto di
legge.
Dal 1877 al 1904 le varie iniziative per la preparazione della legge si
susseguono con alterne vicende che riflettono gli orientamenti politici,
culturali e scientifici dell'epoca.
Nel legislatore coesistono e si intersecano varie e contrapposte istanze, più o
meno confusamente recepite, che possono così schematizzarsi:
1.
l'esigenza di introdurre una serie di norme di pubblica sicurezza tendente a
regolamentare gli internamenti e la segregazione di coloro che turbano con il
loro comportamento l'ordine costituito;
2.
la garanzia giuridica che consenta di evitare abusi e di prevenire
maltrattamenti;
3.
il reperimento dei fondi necessari per il mantenimento dei folli, individuando
l'ente che avrebbe dovuto farsi carico dell'onere assistenziale.
Foto: la Certosa di Collegno
La
scelta della provincia, come ente competente all'assistenza psichiatrica,
derivava da una condizione di fatto preesistente e dalla estensione territoriale
di quello che oggi potrebbe definirsi <<bacino di utenza>>. Le leggi comunali e
provinciali n. 2248 del 20 marzo 1865 (art. 172, comma 6) e n. 592 del 10
febbraio 1889 (art. 236, comma 10) sancivano già l'obbligatorietà del
mantenimento dei <<mentecatti poveri>> da parte delle Province.
E'
stato giustamente rilevato che nel dibattito parlamentare sulle proposte di
legge si può individuare un primo periodo, che va dal 1877 al
1899, in cui prevale l'esigenza che potremo definire
custodialistico-repressiva, e un secondo periodo, che inizia nel
1899 e si conclude con l'approvazione della legge del 1904, in
cui emergono le finalità umanitarie e assistenziali che
coesistono con le istanze precedenti1 . E' in
quest'ultima fase, che potremmo definire giolittiana, dell'iter
legislativo che si realizza una inversione di tendenza, peraltro
più apparente che reale. L'esigenza della tutela dei diritti o,
meglio, della incolumità degli internati sembra prevalere su
quella di difesa della società borghese; in realtà si realizza
una mistificante razionalizzazione che occulta l'ottica
fondamentale che rimane sempre quella di ghettizzare i
facinorosi e gli improduttivi. Del resto queste operazioni
gattopardesche erano tipiche dell'età giolittiana, in cui il
trasformismo assurge a metodo di governo.
Telemaco Signorini, "La sala delle agitate al S. Bonifazio
di Firenze". |
Non
è qui il caso di ricostruire analiticamente i successivi
tentativi di regolamentazione dell'ordinamento manicomiale prima
dell'approvazione della legge giolittiana del 1904. Basterà
ricordare le tappe successive e accelerate della riforma, dalla
prima proposta preannunciata dal ministro dell'Interno Nicotera,
nel 1877, ai progetti di De Pretis del 1881 e del 1884, a quello
di Crispi del 1890, di Nicotera del 1891, di Giolitti del 1893,
del Di Rudinì del 1897, di Pelloux del 1899, fino all'ultimo di
Giolitti approvato dal Parlamento dopo oltre 30 anni di
rinvii.
In
oltre un quarto di secolo che ha preceduto l'approvazione di
questa legge si sono via via affermate proposte e posizioni
avanzate o arretrate in rapporto, non sempre diretto, alle
condizioni politiche ed economiche del paese, alla pressione
della corporazione degli psichiatri (formalizzata nella Società
freniatrica italiana che si riunisce in congresso per la prima
volta nel 1874), alle influenze culturali e 'scientifiche' dei
paesi più evoluti (Germania, Francia e Inghilterra)2
.
Le
rivendicazioni degli psichiatri incontrano alterne fortune e
trovano varia collocazione nelle successive proposte di legge:
dalla valorizzazione e dalla autonomia del Direttore del
manicomio, al rapporto numerico tra medici, infermieri e
ricoverati, ai sistemi di controllo e di vigilanza. Su questi
ultimi, ad esempio, confluiscono gli interessi degli psichiatri
e degli amministratori che tendono a ridurne l'efficacia
rendendoli solo formali; soluzione che Giolitti nella sua legge
raccoglierà inserendo nelle Commissioni provinciali di
vigilanza il prefetto (poi il medico provinciale) per
economizzare e utilizzare gli organi amministrativi periferici
più manovrabili, evitando di formalizzare ispezioni da parte di
organi di controllo centrali. D'altra parte la definizione delle
competenze di spesa per la gestione dei manicomi riflette la
tendenza di tutelare i privilegi delle classi agiate. L'ipotesi
di un intervento finanziario dello Stato non viene mai presa in
seria considerazione in un periodo in cui le spese militari
erano rilevanti e prioritarie. L'alternativa concreta era la
ripartizione della spesa tra Province e Comuni.
In
taluni progetti (Nicotera, De Pretis e Crispi) ai Comuni vengono
attribuite le competenze per i <<folli innocui e
cronici>>, alle Province per tutti gli altri. Ma questa,
come altre soluzioni che coinvolgono entrambi gli enti locali,
non troveranno accoglimento per le proteste delle Province, che
chiedono di essere sgravate di una spesa che va progressivamente
crescendo, dal 6,39 per cento del 1874 all'11,6 per cento del
1897 dei bilanci provinciali3 con percentuali,
quindi, di gran lunga inferiori rispetto a quelle più recenti
che sfiorano e non di rado superano un terzo delle uscite per
l'assistenza psichiatrica. Le richieste delle Province hanno
comunque scarsa risonanza poiché gli organi centrali dello
Stato tendono sempre più a non accollare ai Comuni nuove
competenze di spesa che ne avrebbero dissestato la precarietà
dei bilanci.
Il
braccio di ferro sulle competenze e la ripartizione dei fondi
occorrenti in realtà aveva alla base la difesa di privilegi di
classe. Infatti, mentre il sistema impositivo delle Province
colpiva le classi più agiate e i proprietari terrieri
attraverso l'imposta fondiaria, le finanze comunali utilizzavano
tributi e imposte molto più vari (dazi, consumi, bestiame,
commercio ecc.) che ricadevano soprattutto sugli strati popolari4.
Attribuendo ai Comuni un concorso per la spesa si sarebbero
sgravati dunque i proprietari terrieri, spremendo ulteriormente
le classi più misere. Si sosteneva inoltre che, coinvolgendo i
Comuni nella spesa, si sarebbe ottenuta la diminuzione dei
ricoveri non necessari poiché i sindaci, dovendo contribuire al
mantenimento dei loro assistiti, avrebbero tentato di limitarli
ai casi più gravi. Di questa limitazione si segnalavano
vantaggi (riduzione dell'affollamento dei manicomi, limitazione
dei ricoveri 'assistenziali' di vecchi, deficienti tranquilli
ecc.) e svantaggi (economie a danno degli alienati che
avrebbero incontrato maggiori ostacoli nell'internamento con
danni per la loro salute ma, soprattutto, con rischi e fastidi
per l'ordine sociale).
La
soluzione adottata con la legge Giolitti - tutte le spese a
carico delle Province - almeno per questo aspetto non creava
nuove difficoltà ai Comuni, limitando al minimo le spese già
esigue sostenute dalle Province. Infatti non vennero accolte le
richieste ripetutamente avanzate, specie dagli psichiatri, di
fissare degli standard: livelli quantitativi del
personale di assistenza, obbligo per le Province di costruire
nuovi manicomi se ne erano sprovviste o di sostenere le spese
per la manutenzione, numero massimo di ricoverati per ciascun
manicomio, contributi per l'assistenza domiciliare ecc.
Vanno
qui brevemente ricordate anche le assurde proposte di autofinanziamento
dei manicomi, basate sullo sfruttamento del lavoro dei
ricoverati, anche se nella legge non ebbero alcun
riconoscimento. Queste tesi non sempre si ammantavano allora di
pretestuose mistificazioni basate sulla utilità del lavoro a
scopo di cura (l'ergoterapia), anzi c'era addirittura chi molto
prosaicamente faceva calcoli complicati per accertare quanto si
sarebbe realizzato con il lavoro degli internati. Fornasieri,
per esempio, nel 1899 aveva calcolato che moltiplicando il costo
del lavoro (3000 lire annue) per il numero di tutti i
ricoverati e detraendo 450 lire per le spese di
mantenimento per ciascuno, si sarebbero ricavati 3 milioni
all'anno5.
Le
Province, in compenso, vengono sgravate dall'obbligo di
provvedere a comparti per pazzi giudicabili,
cioè per delinquenti infermi di mente, all'interno dei
manicomi. Nel dibattito dell'ultimo quarto di secolo la
questione dei manicomi giudiziari o, per meglio dire, il
problema della collocazione dei detenuti pazzi in attesa di
giudizio o dei giudicati impazziti (sono queste le due
principali categorie dei possibili 'utenti') vede confrontarsi
varie soluzioni che possono così schematizzarsi: a)
quella di creare all'interno delle carceri reparti o celle per i
pazzi; b) quella di aprire comparti appositi in ogni
manicomio; c) quella di istituire appositi compartimenti,
appunto i manicomi criminali. Era quest'ultima, in
definitiva, la soluzione caldeggiata da amministratori e tecnici
che volevano così evitare di affollare ulteriormente i manicomi
'civili' con nuovi ricoveri alle cui spese avrebbe dovuto
provvedere lo Stato.
Emerge
e si afferma, così, sempre più chiaramente la tendenza a
separare la gestione dei manicomi giudiziari dagli altri,
sia sul piano legislativo che su quello
economico-amministrativo.
Verso
la fine del secolo, con l'avvicendarsi delle proposte di legge,
il dibattito si vivacizza e gli psichiatri, sentendo ormai
prossimo un rinnovamento sostanziale dei vecchi ordinamenti,
tentano di trarne ogni possibile vantaggio. Da un lato vi è uno
spirito di rivincita per le frustrazioni talora subite di fronte
ad amministratori arroganti, dall'altro vi è la paura dei
ricatti o anche la preoccupazione di dover dar conto ad altri
del proprio operato. Umanitarismo residuo e soprattutto difese
corporative caratterizzavano l'impegno 'politico' degli
psichiatri. Non a caso aumentavano, proprio in quegli
anni, gli alienisti eletti deputati alla Camera o nominati
senatori dal Re: Verga, Bianchi, Miraglia ecc..
Ma
vi erano altri motivi all'origine di questo fervore di
polemiche: gli influssi culturali del momento (il positivismo
lombrosiano in primo luogo), l'illusione che, alla pari con le
altre scienze medico-biologiche, anche la psichiatria stesse per
conquistare nuove frontiere, le preoccupazioni, infine, per il
continuo aumento dei ricoverati.
Dal
1860 al 1904 gli internati nei manicomi italiani passano da
18000 a 40000. Con tutti i limiti di dati eterogenei e
approssimativi, nnon vi è dubbio che la cifra dei ricoverati è
più che raddoppiata in meno di mezzo secolo; lo stesso
incremento si realizza considerando la percentuale dei
ricoverati in rapporto alla popolazione totale: dal 6,7 per
mille si passa infatti all'11-12 per mille. Rispetto agli altri
Stati europei, tuttavia, tali percentuali rimangono di
gran lunga inferiori. All'inizio del secolo XX, ad
esempio, la Gran Bretagna contava 128000 internati in manicomio,
con una incidenza percentuale pressoché tripla rispetto a
quella italiana, essendo la popolazione dei due paesi
quasi eguale.
Il
fenomeno del costante e significativo incremento dei ricoverati
rappresenta motivo di preoccupazione e oggetto di analisi. Esso,
da taluni, viene attribuito ai 'vizi della civiltà' (ad esempio
l'alcolismo) altri invece lo fanno derivare dal diffondersi dei
manicomi, e, quindi, dalla incentivazione della pratica del
ricovero. Mentre prima i folli venivano più facilmente
tollerati in famiglia o ai margini dei paesi, ora diventava più
facile e, quindi, più diffuso il loro internamento. In quegli
anni, poi, l'attenzione veniva rivolta anche alla pellagra che,
dopo Lombroso, specie al Nord diventava quasi il 'male
oscuro' della follia.
Come
spesso accade in ciascuna di queste ipotesi esistono elementi
fondati ed altri strumentali o faziosi. Così le condizioni di
vita alienante prodotte dal capitalismo diventano per alcuni
<<smania di subitanei guadagni>>. La crisi
dell'agricoltura, gli squilibri nella industrializzazione,
l'esplosivo fenomeno dell'emigrazione nelle Americhe (che, già
allora, colpiva prevalentemente le regioni meridionali)
rendono sempre più alto il rischio del ricovero.
Al
Sud la precarietà delle istituzioni manicomiali fa sì
che ai tre soli manicomi esistenti nel 1877 nelle 22 province
meridionali (ad Aversa, Palermo e Napoli) si aggiungano verso la
fine del secolo quello consortile di Nocera Inferiore (destinato
presto a diventare uno dei più affollati e orribili) per
le province di Cosenza, Salerno, Campobasso e, nei primi tempi
per quasi tutto il Mezzogiorno peninsulare ad eccezione
della Campania, nonché quello privato di Messina per le
province della Sicilia orientale. In seguito sorgono un
po' ovunque nuovi manicomi per far fronte alla richiesta
crescente: Teramo, Girifalco in provincia di Catanzaro,
Macerata, Imola, Volterra, Arezzo, Udine, Siena, ecc..
I
disagi dei ricoverati esplodono sempre più spesso dando luogo
ad incidenti, scandali, campagne di stampa, dibattiti
parlamentari e contribuiscono a tenere viva l'attenzione
dell'opinione pubblica sulla necessità di emanare una nuova
legge. Questa tensione, dopo il riflusso e la repressione degli
ultimi anni del secolo, troverà sbocco nel clima più propizio
dell'inizio del Novecento.
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