Cocktail anno 8 numero 1

Meno male che tra i giorni festivi c'è anche il 30 ottobre!

Se non ci fosse la vacanza, quanti ricorderebbero oggi Saturninus?

 

"Ma chi era costui?" si chiederanno molti cagliaritani. La sua biografia non è lunga. Un’antica iscrizione frammentaria ci tramanda che Saturninus era Callaritanus, ed un’altra, composta per ricordare una dedicazione dell’omonima basilica, aggiunge che in questa è stato sepolto, in hoc templo iacet, che era cives e che vixit annis XVIIII, mensi V et dies VIII.

L’anonimo lapicida, se oggi si scusasse con noi per il suo latino così poco ciceroniano, ci ricorderebbe che era quello parlato e capito dai Callaritani dei suoi tempi e che proprio la poca correttezza del testo è la prova migliore della sua autenticità.

Saturninus o, alla sardesca, Sadurru, era dunque un civis, nostro concittadino, vissuto dal 285 al 304, appena 19 anni, 5 mesi e otto giorni. Callaritanus d.o.c., nato, cresciuto e ucciso, pare nel 304, a Karalis dagli stessi Karallitanoi!

Civis com’era, dunque, a pieno diritto, e non come tanti cagliaritani attuali, casteddaiu de is biddas, non avrebbe avuto certo difficoltà per ottenere alla Circoscrizione il rilascio della carta d’identità, del certificato di nascita, di residenza e… di morte.

La brevità della sua vita non gli diede tempo di annoiarsi; al giorno d’oggi avrebbe avuta la possibilità di diplomarsi e d’iscriversi all’università, oppure di arruolarsi come Ephis, Lussori e Bainju, o, come tanti coetanei di oggi, di farsi segnare nelle liste dell’ufficio di collocamento in attesa (lunga!) di prima occupazione. Non gli impedì, però, dice sempre la stessa lapide, di diventare, a diciannove anni, Beatissimus et Sanctissimus, ossia santo e grande santo.

A questo punto, se Saturninus ci ascoltasse, sorriderebbe di certo, perché, a dirla francamente, il guaio del martirio non se l’era proprio andato a cercare lui, ma furono loro, i pagani più estremisti e bigotti - e pare che a Cagliari allora ce ne fossero tanti- che lo vollero martire a tutti i costi.

Il testo più antico della sua biografia, la Passio, scritta due o trecento anni dopo il fattaccio -pare che anche l’Unione del 31 ottobre del 304 ne avesse parlato in prima pagina- c’informa, inoltre, che ebbe la fortuna d’aver genitori cristiani (che allora voleva dire anche praticanti!) e che, crescendo, faceva onore all’educazione ricevuta ed al battesimo, col quale era stato ammesso a far parte della S. Karalitana Ecclesia.

A farla breve, Sadurru nostru era, come direbbe D. Bosco, a tutti gli effetti, malgrado non frequentasse la scuola cattolica, buon cristiano ed onesto cittadino, cosa tutt’altro che semplice allora come oggi.

Tutto andava come al solito: ore noiose a scuola, passeggio lungo la Via sacra, nuotate al Poetto e, più frequentemente, a Giorgino, partite e spettacoli all’Amphitheatrum di V. S. Ignazio; Messa e comunione la domenica, a sa scusi, in forma clandestina, e catechesi presso qualche presbitero, anziano per davvero. Ogni tanto qualche pizzata con gli amici ad una delle tabernae della Marina. Non mancavano puntate al Forum per conoscere le ultime novità politiche, specialmente del Praeses e del Consilium Regionale, anche allora sempre in crisi; ed al Portus Maris, lì vicino, per vedere le navi, cariche di merci e di turisti, provenienti da Ostia, Marsiglia e Cartagine, o, quelle militari, da Capo Miseno.

Così filavano più o meno le cose fino al 30 ottobre, appunto, del 304. Quel giorno Calaris viveva in clima festoso una grande celebrazione religiosa: gli annua sacrificia in onore di Giove, qualcosa di simile, ma ancora più bella, del nostro primo maggio, ma alla maniera pagana, s’intende!

Castia a biri tui ("vedessi!" per i forestieri…): traccas a non finire, gruppi folkloristici, milites corazzati, in alta uniforme, a cavallo e a piedi; suonatori di launeddas; panis cibarjus, turronis e pabassinas, pisci arrostiu, cocciula e bucconis in abbondanza e vinum album et nigellum a fiumi.

Passava per la Via Sacra, la Via Roma d’allora, avviandosi verso il Forum, oggi diremmo Piazza Carmine, il magnifico corteo, sceleratorum turbae, che recava processionalmente le vittime per il sacrificio, al tempio delle divinità capitoline, ubicato nella zona. Tauri albi, belli e ben pasciuti del ca(m)pitaneum, tutti bardati e coronati di fiori e d’alloro, incedevano maestosi; a tallu mannu berbéces della Barbàrja, dalla lana candida e i pittiolus -altro che musica rock!- che suonavano tutte le note possibili; chiudevano il corteo maiali, grassi e col pelo irsuto come silvones.

E Saturninus?

Saturnino, divertito ed incuriosito, andava per i fatti suoi, veniebat ad locum qui ei fuerat necessarius, cioè andava dove doveva andare, quando si trovò intrappolato dal traffico, quo cunctis est transitus, stretto tra la folla assiepata fuori dal templum, le confraternite pagane, i buoi bardati per il sacrificio e tutto il resto del bestiame belante e grugnente, le traccas parcheggiate malamente e le bancarelle con ogni ben di Dio.

Il populus prima esultante, poi, man mano, seccato e scocciato, diventava furente e minaccioso perché la celebrazione non andava per il verso giusto e gli dei avevano puntigliosamente chiuso la trasmissione dei responsi; poiché il sacrificio non finiva più e si faceva tardi, si correva rischio di fare al buio il gran banchetto finale, tanto aspettato dagli dèi e …più ancora dagli uomini! Il sacerdote, che non sapeva che pesci prendere, ci mise di mezzo la politica, soffiando forte sulla santa persecuzione, i pii editti dell’Imperatore Dioclezianus e le minacciose circolari del Praeses che, non per niente, si chiamava Barbarus; ricordava a tutti, urlando quanto poteva, il buon sangue pagano dei cagliaritani, le sante tradizioni dei padri ecc. ecc., e che la colpa di tutto non poteva non essere che dei cristiani. Bastò quella scintilla per scatenare un gioco molto pericoloso: la caccia al cristiano. Fu il finimondo! molti le buscarono sode, alcuni la finirono al pronto soccorso, altri, infine, se la cavarono con 30 giorni d’ospedale!

Sadurru, riconosciuto come cristiano, aveva cercato scampo eclissandosi nel quartiere di Marina, ma fu raggiunto, stanco, trafelato e affifato (questo però lo aggiungo io), alla periferia città, nella la zona di Viale Regina Margherita, confinio civitatis proxima, presso il fons Apollinis.

Qui, finalmente acciuffato, si sentì molto più coraggioso di quanto pensasse e, confessata la propria fede e dichiarata con semplicità incantevole la sua appartenenza a Cristo, versò il suo sangue, jugulatus, sgozzato, a furor di popolo, come un agnello. Forse furono proprio i suoi assassini, poi diventati cristiani (il pianto del coccodrillo non l’abbiamo inventato noi!), a ricordare per primi il suo sacrificio ed a tramandare i particolari della sua morte.

Dice ancora lo scrittore della Passio che, proprio in quel luogo, vicino al confine della cìvita, i cristiani costruirono un oratorium, una cappella, ubi sanguis eius lapidi inhaerens usque in diem hunc permanet, ossia dove, ancora ai suoi tempi, si venerava la pietra bagnata dal suo sangue.

La sera stessa il suo corpo fu sepolto in una località vicina, dove, in seguito, sorse la basilica in suo onore e Fulgentius di Ruspe, agli inizi del VI sec., - iuxta basilicam Sancti Saturnini Martyris, procul a strepitu civitatis vacantem reperiens locum, costruì a proprie spese un monastero, lontano dal traffico cittadino.

Non si può dire, però, che Saturninus abbia concluso col martirio, almeno qui in terra, le sue battaglie! A cominciare dalla basilica a lui dedicata, ne ha viste di tutti i colori: saccheggi, distruzioni accidentali e volontarie, ad opera di pagani e… di cristiani. La sua stessa posizione, prossima alla città ma fuori le mura, la esponeva a tutte le vicissitudini. Diventò così, di volta in volta, oggetto di bottino e depredazione da parte degli invasori di turno; fortino avanzato degli assedianti; forse ospedale, chiesa diocesana o chiesa conventuale, con tutte le beghe connesse agli introiti economici non indifferenti; cava di ottima pietra per edifici sacri e profani; cimitero e… infine, attualmente, centro culturale polivalente, in cui, ma solo qualche volta, coi debiti permessi e le benevole concessioni, è possibile anche pregare e celebrare l’eucarestia.

Se i Pisani ne contesero aspramente ai Vittorini le rendite economiche, gli Aragonesi non solo fecero altrettanto ma se ne servirono anche come fortezza.

Gli stessi uomini di chiesa non sempre dimostrarono eccessiva sensibilità nei suoi riguardi. I monaci Vittorini, cui era stato concesso il suo vastissimo patrimonio, riparandola come poterono e come vollero, dimenticarono completamente il santo titolare e, in occasione della riconsacrazione della chiesa, non gli dedicarono manco un altare; Mons. Pilares, rientrandone in possesso, riparò la fatiscente basilica, riducendola, però, ai minimi termini. I saccheggi devozionali dovuti alla furiosa ricerca di corpi santi contribuirono a demolire parte dei muri, che ancora restavano in piedi, e a sconvolgerne i pavimenti. La Corporazione dei medici e speziali (eterna potenza delle ASL!) non ci pensò due volte a cambiarle i connotati intitolandola ai SS Cosma e Damiano; Mons. Vico, dovendo riparare il Duomo, non trovò di meglio, non saprei dire se per risparmio o per devozione, che utilizzare ciò che ancora rimaneva di ruderi e macerie.

Dulcis in fundo, quasi non bastassero Vandali, Goti, Bizantini, Saraceni, Pisani Aragonesi, frati, vescovi, medici e farmacisti, ecc. ecc., ci si misero pure gli Inglesi con i bombardamenti nel 1943; gli scavi, o, talvolta, più propriamente, i saccheggi, dei cercatori di tesori e degli archeologi e… le infiltrazioni d’acqua.

Dobbiamo all’attuale Amministrazione Comunale se finalmente è stata sistemata decorosamente la piazza antistante e se Saturnino non corre più il pericolo di diventare patrono dei posteggi selvaggi.

La stessa persona di Saturninus fu spesso oggetto delle più diverse incomprensioni. Ci fu chi ne volle fare uno sdoppiamento del Saturnino vescovo di Tolosa, o dell’omonimo martire africano, o di quello romano (e meno male che si fermarono lì e non si tirarono in ballo i rimanenti -oltre trenta!- SS. Saturnini). Ma ciò che più sconcerta sono le motivazioni portate a sostegno di tali ipotesi e il sapere che, ancora oggi, qualcuno vi presta fede.

Potrei andare avanti aggiungendo quanto poco siano state studiate e capite Passio, Legenda e Poemetto, che ce ne hanno tramandata la memoria, e come sia stata scambiata per sua lapide sepolcrale, considerata falsa, naturalmente, una iscrizione riguardante una dedicazione della Basilica. Ma non è questa la sede migliore per affrontare questi discorsi.

Vorrei concludere, dicendo che sarebbe ora che la città, avviatasi sempre più decisamente alla riscoperta della propria identità, ri-conosca e si ri-appropri anche delle proprie radici cristiane. Il prossimo Giubileo ci farà questa grazia!? Lo spero, per la benevola intercessione di Santu Sadurru nostru.

 Don Giorgio Mameli

 

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