Cocktail anno IX n. 2

Tempo di solidarieta'

In questi giorni che precedono il Natale, come ogni anno, c’è un grosso rischio, quello di subire la festa, lasciandosi come ipnotizzare da quell’atmosfera magica che si respira nell’aria, ma senza cercare cosa si nasconde dietro tutto ciò. Si fa tanta fatica per ritagliarsi un piccolo spazio riparato da ogni problema, nel tentativo di raccogliere un briciolo di felicità.

Ma è proprio difficile essere lasciati in pace! Si sente sempre più spesso parlare di Natale in termini di consumismo sfrenato, e c’è persino chi in questi momenti ricorda che nel mondo esistono l’ingiustizia e la povertà. Che affronto al nostro egoismo! Ma dal momento che non se ne può fare a meno vorrei riflettere almeno un po’, insieme a voi naturalmente, su questa cosiddetta "società dei consumi".

Partiamo da una semplice provocazione (rivolta a me stessa e a tutti): c’è molta colpevole ignoranza riguardo alla dimensione economica in cui siamo inseriti, perciò non sembra poi così grave la nostra perenne "fame" di prodotti, né tantomeno in questo periodo le spese natalizie. Manca una coscienza critica, manca soprattutto l’informazione, l’elemento più importante per un giusto confronto con tale realtà, dal momento che solo così le nostre scelte diventano scelte consapevoli. Si può allora partire dall’osservazione attenta di ciò che ci circonda, la pubblicità per esempio, che attraverso il suo linguaggio può rivelare i difetti del libero mercato. È innegabile: il nostro modo di fare economia non risponde ai bisogni reali della gente, distribuisce male i suoi prodotti, spreca le risorse e in questo assurdo meccanismo e nella sua continua espansione degrada l’uomo. Il commercio adesso è un’attività a servizio di alcuni uomini, i mercanti, che impoveriscono i produttori per arricchire gli acquirenti.

Ma è necessaria un’osservazione: le risorse della terra sono limitate e non potrebbero mai consentire a tutti di vivere nel nostro lusso e nel nostro spreco. Qualcuno ha calcolato che se volessimo garantire a tutti il nostro tenore di vita non basterebbero cinque pianeti come fonte di materie prime e come discariche. Per questo motivo il Nord ha risolto il problema facendo la parte del leone, e il risvolto della medaglia è che dobbiamo fare i conti con la drammatica realtà della povertà. In base al rapporto sulla sviluppo umano del 1997 il numero dei poveri assoluti nel Sud è cresciuto di mezzo miliardo dal 1987 a oggi. Nel 1960 il 20% più povero della popolazione consumava appena il 2,3 % del prodotto mondiale contro il 70,2 % del 20 % più ricco. Oggi il rapporto è 1,1 % per il consumo dei più poveri contro 86 % per quello dei più ricchi. Il commercio internazionale continua cioè a impoverire la gente del Sud: retribuendo salari da fame, pagando prezzi da strozzinaggio, espropriando le terre.

Viene da chiedersi quali siano le soluzioni per poter riaffermare il valore dell’umanità all’interno del moderno sistema economico che ci coinvolge così da vicino nelle nostre azioni di ogni giorno.

A questo proposito l’anno scorso ho letto un libro "Guida a un consumo responsabile", che proponeva due possibili soluzioni complementari: da una parte l’approfondimento personale, nel quotidiano, di concetti quali sobrietà, rispetto (in una visione del riutilizzo dei prodotti), sufficienza (come capacità di porre un limite ai consumi), utilizzo e non possesso dei beni; dall’altra parte l’adesione alle iniziative proposte da un tipo di commercio alternativo, il cosiddetto Commercio Equo e Solidale.

Il C.E.S. nasce negli anni Sessanta, ispirandosi ai principi di equità e solidarietà: lo scopo del commercio diventa rendere un servizio reciproco al produttore e al consumatore. Il meccanismo è semplice: le organizzazioni di C.E.S. acquistano i prodotti direttamente dai piccoli gruppi produttori del Sud del mondo, concordando un compenso equo, e si impegnano a favorire un processo di auto-sviluppo nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni locali. I prodotti sono poi rivenduti nelle Botteghe del Terzo Mondo (circa tremila in Europa) o nei centri di C.E.S.: i prezzi, decisi dai produttori stessi in base ai reali costi di produzione, sono sicuramente maggiori di quelli che abitualmente vediamo nei grandi centri commerciale, ma la causa l’abbiamo ormai scoperta: sono i prezzi della dignità e della giustizia. Conoscere tutto questo ci aiuta a porci alcuni problemi sul nostro atteggiamento di fronte ai consumi. L’importante è lasciarsi interrogare, approfondire il discorso, perché è davvero ore di capire e, soprattutto, di cambiare.

Possiamo iniziare subito, anche a Cagliari per esempio c’è una Bottega del Terzo Mondo (in Corso Vittorio Emanuele, 181): è una sfida ad un impegno giusto e coraggiosamente concreto.

A tutti tanti auguri per un Santo Natale e un felice anno nuovo.

Sara

 

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