Ab initio fuit Collis Petri     

L'attuale insediamento risale alla fine del 900 quando i feudatari del luogo, per difendersi dalle scorribande dei Saraceni, decisero di riunire in un unico borgo fortificato villa S. Salvatore e villa S. Pietro fondate nella piana da coloni Longobardi. Secondo alcuni storici, alle predette ville si aggiunse "villa accanto alla terra", da identificarsi probabilmente, nel gruppo di case detto "La Salera" ma se così fu questa rimase fuori dalla fortificazione. 

 

Questo borgo prese il nome di Collis Petri cioè "Colle di Pietro" oggi Collepietro.

 

Solo nel 1092 se ne ha memoria con la donazione che Ugo di Gerberto, detto Malmozzetto, fece alla chiesa di S. Pelino in Valva.

Non è noto chi fu il primo possessore di Collepietro. Certamente nell' XI secolo l' Abruzzo faceva parte del Ducato di Spoleto col nome di Marsia suddiviso in sei castaldati: reatino, forconese, valvense, teatino, pennese e marsicano. Collepietro rientrava nel castaldato valvense.Bastardello di Collepietro: documento in cui erano riportati tutti i possedimenti del tempo (1763).

Sotto il re Ugo di Provenza la Marsia fu affidata, per parte orientale ad Ottone e per parte occidentale, che comprendeva  Valva, a Berardo il Francisco che fu il primo conte dei marsi. Tre dei suoi cinque figli, Rainaldo, Oderisio e Teodino gli successero nel dominio della Marsia, e si divisero in un secondo momento in tre parti il loro territorio. Il comitato valvense al quale apparteneva Collepietro fu ritenuto da Oderisio. I conti di Valva discendenti di Oderisio governarono sino alla morte di Enrico II (1025).

In seguito vi fu una terribile lotta fra il papato e l'impero ed i potenti d'Italia, privi delle protezioni dei poteri centrali, erano più che mai esposti al pericolo normanno.

Fu in questo periodo che Collepietro venne conquistato da Malmozzetto insieme a Navelli e Bominaco; poi, come già detto, nel 1092 egli ne fece dono alla chiesa di S.Pelino.

Con la morte di Malmozzetto, Tassone fu mandato dal vescovo Giovanni ad occupare il castello di Popoli; conseguentemente, nel 1102, vi fu una delimitazione di confini che fu detta "placido di Popoli" al quale intervennero diversi feudatari fra i quali Gualtieri figlio di Teodino che ritroveremo quale capostipite dei signori di Collepietro.

Da questo momento veniamo a sapere con sicurezza che un ramo dei conti di Valva prese stanza in Collepietro e ne prese il nome.

Il feudo di Collepietro passò con la morte di Gualtieri al figlio  Gionata, mentre altri possedimenti passarono ai fratelli di quest'ultimo, Galgano e Oderisio. Galgano venne in possesso di Caporciano, Navelli, Castiglione Messer Raimondo, Pesco, Apro ed Apignano oltre al feudo di Monteverde in Penne ed al Castello di Silvi. Oderisio fu persona di rilievo nel mondo feudale del tempo. Possedeva: Carapelle, parte di Civitaretenga, Tossicia, Forca di Valle, Castelli, Collalto, Basciano, Aquilano, Carretta, Vico in Valva, Isola del Gran Sasso e Palearia.

Fu Gionata che donò al monastero di S. Benedetto in Perillis l'ospedale che possedeva presso il fonte benaterio.

Collepietro passò quindi in successione al figlio Gualtieri, il quale possedeva anche Torre, Molina, Roccapreturo e una parte di S. Benedetto in Perillis. A sua volta fu Galgano l'erede di Collepietro che visse pochi anni, alla morte del quale il feudo fu diviso in parti uguali fra i suoi due figli: Gentile e Tommaso di Collepietro. 

Altre personalità da segnalare dei Collepietro furono Aloisio e Manfredi possessori di Roccaccasale, i quali nel 1251 donarono la quarta parte del Morrone a fra Pietro Eremita, il futuro Papa Celestino V.

Collepietro, come Navelli, Civitaretenga, Bominaco, Caporciano, Tussio e S. Pio non partecipò alla fondazione dell' Aquila (siamo nel 1254) però, succeduti gli angioini agli svevi, questi borghi furono sottoposti all'autorità del capitano aquilano. Tutto ciò declassò il vecchio castello che non ebbe alcun peso nella vita cittadina e nessun ruolo nella storia aquilana eccezion fatta come vedremo per la famiglia dei Gregori.

Con l'avvento del milite Gualtieri il nome dei Collepietro divenne celebre in tutto il Regno di Napoli. Svolse incarichi di rilievo quale giustiziere e provicario, divenne possessore di Collepietro in seguito alla morte di suo fratello Galgano, successore di Gentile. Il titolo di provicario non fu l'unico riconoscimento che il collepetrano ricevette da re Carlo I D'Angiò: oltre a molti possedimenti che gli furono concessi, fu promosso alla funzione di Camerario nel principato di Acaia. Gli ultimi anni di Gualtieri furono turbati dal figlio Rinaldo, il quale tradì gli angioini e si schierò con i ribelli siculo-aragonesi ai quali consegnò la fortezza di Roccella.

La fortezza fu subito distrutta dagli angioini e Gualtieri venne privato di tutti i feudi amministrati da Rinaldo.

Anche se i feudi gli furono restituiti in un secondo momento, egli non fu più visto di buon occhio dai reali e morì nel dolore per il tradimento del figlio dopo tanti anni di gloria.

Ultimo conte di Collepietro fu Raimondo, il quale fece fine ignota.

Nel 1414 la camera aquilana divise il contado in quattro quartieri: S. Maria, S. Giorgio, S. Pietro e S. Giovanni.Del dominio feudale di Alfonso de Medina non resta oggi, sul posto, che l'unico ricordo di una lapide murata a fianco della porta maggioredella chiesa parrocchiale.

Collepietro passò dal comitato valvense a quello aquilano e fu assegnato al quartiere di S. Maria.

Nel XV secolo grande rilievo nell'amministrazione dell'Aquila ebbe la famiglia collepetrana dei Gregori. Le personalità più importanti della famiglia iniziano con Marino figlio di Gregorio meglio conosciuto come: "Notar Marino di Collepietro" . A lui e ai suoi eredi fu concesso, dalla regina Isabella in nome del marito Renato, "l'immunità e franchigia delle collette" , e gli fu assegnato "l'uffizio della riattazione delle strade, vie acquedotti e fontane d'essa città, contado, pertinenze e distretto con gli emolumenti soliti" inoltre gli venne confermato l'ufficio di "notar degli atti presso il capitano" a lui concesso dal re Luigi III.

Col passar degli anni si andavano sempre più affermando i suoi due figli Aloisio e Gregorio che ebbero anch' essi il loro peso nella vita politica e amministrativa dell'Aquila.

Con la scomparsa dei due però può dirsi finita la gloria della famiglia dei Gregori in quanto i loro discendenti si affermarono solo marginalmente e non per loro merito.

Con la dominazione spagnola il primo che ebbe il titolo di barone di Collepietro fu il capitano Francesco Segura che acquistò il feudo dal principe di Orange per 200 scudi. 

Fu poi il turno del capitano Alfonso de Medina che governò senza alcun rispetto per la gente di Collepietro. Come prima cosa instaurò gabelle altissime, tanto da ridurre il popolo alla fame, trasgredendo in questo persino agli ordini espliciti del vicerè Pietro di Toledo, il quale aveva fissato un tetto massimo per le tasse da lui ampiamente superato. Fu un despota che sfruttò la povera gente la quale dovette subire rappresaglie ed estorsioni di ogni tipo. La sua mania di grandezza lo spinse a costruire un palazzo, adiacente alla chiesa di S. Giovanni Battista, con l'opera forzatamente gratuita dei collepetrani che dovettero lavorare senza compenso per cinque lunghi anni alla sua realizzazione. Tale costruzione fu quella che in seguito divenne palazzo Caracciolo, col quale nome passò alla storia artistica della regione,  poi crollato alla fine del secolo scorso.

Al capitano Alfonso de Medina successe la figlia Maria de Medina la quale morì giovane e il castello fu devoluto alla corte in quanto non vi erano eredi.

Il periodo baronale, per la gente dei castelli, fu un periodo di povertà, di soprusi ed umiliazioni.

Nella lotta contro gli oppressori si mise in luce in Abruzzo e nel regno di Napoli Alfonso Carafa, nuovo padrone di Collepietro, durante la guerra antispagnola del 1647-48, che si concluse purtroppo con la repressione dei popolari. Nel 1540 prese parte allo sbarco di Salerno da parte dei francesi sotto il comando di Tommaso di Savoia. Fu affidato a lui ed al marchese di Acaia l'incarico di invadere l'Abruzzo, mentre l'armata francese assediava Castellamare di Stabia. La cosa fu fatta con successo ma furono presto ricacciati dalle forze governative. 

Il duca di Collepietro, Alfonso Carafa, fu imprigionato a Siena nel 1655.

Privato dei suoi feudi e dei suoi beni in seguito al suo tradimento, Collepietro passò allora ad un certo Giulio Pezzolla il quale oltre ad essere barone fu anche un bandito. Fenomeno, questo del brigantaggio, sempre presente che si intensificò in maniera particolare con la guerra antispagnola.

Collepietro si prestava, per la sua posizione geografica, quale rifugio di ricercati e luogo di transito attraverso il quale i malviventi potevano passare da una vallata all'altra in breve tempo, evitando strade maestre e sfuggendo così ai controlli. Il nostro borgo diede il suo contributo a questo "mestiere" non solo geograficamente, in quanto fra i giustiziati per questo reato vi furono anche dei collepetrani condannati alcuni alla forca ed altri all'esilio.

Nel 1659 Gaspare de Guzman di Brancamonte divenne viceré, non si sa esattamente per quale motivo, ma egli restituì il feudo di Collepietro ad Alfonso Carafa. Quest'ultimo però non vi fece più ritorno e cedette il posto a suo fratello Carlo Carafa, ritirandosi a Napoli dove trascorse gli ultimi anni della sua vita sino al 1638, anno della sua morte.

Non ci sono pervenuti avvenimenti di rilievo da segnalare di quegl'anni. Dopo alcune discendenze il feudo passò ai Caracciolo. Gli esponenti di questa famiglia ebbero in Collepietro solo interessi economici, non furono protagonisti nella storia del feudo che non ebbe quindi rilievo negli avvenimenti regionali o provinciali del tempo.

Con l'avvento di Napoleone, diventato arbitro delle sorti dell'Europa, salì al trono di Napoli il fratello Giuseppe.

Stemma di Collepietro. Nel 1806 la legge napoleonica abolì finalmente il regime del feudalesimo.

Ebbe inizio così la storia municipale d'Italia.

Gli ultimi massari e primi amministratori di Collepietro furono Pasquale Iannarella e Giampietro D'Alfonso; il primo sindaco fu Gioacchino D'Alfonso, correva l'anno 1807.

Egli non fu un vero e proprio sindaco ma un primo eletto, un facente veci, in quanto in questo periodo Collepietro, Civitaretenga e San Benedetto in Perillis condividevano lo stesso destino essendo assoggettati a Navelli che era il comune centrale al capo del quale vi era il vero e proprio sindaco. Questa assoggezione a Navelli non era ben vista dai collepetrani che tentarono in ogni modo di uscirne e vi riuscirono in seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nel 1814 Collepietro riacquistò la propria indipendenza separandosi da Navelli, mentre S. Benedetto in Perillis decise spontaneamente di unirsi in un unico comune con Collepietro.

La storia degli anni successivi fu segnata, dalla restaurazione borbonica, con la deposizione e successiva uccisione di Gioacchino Murat e il ritorno a Napoli di Ferdinando che assunse il titolo di re delle due Sicilie e dai moti napoletani, sino all'avvento di Garibaldi e dell'unità d'Italia.

Con il governo unitario si ebbero nuovi organismi, nuovi metodi e nuove divisioni amministrative. Una delle novità più sconcertanti per i collepetrani fu nella legge elettorale che oltre ad altri requisiti di età e di rendita esigeva dall'elettore la capacità di leggere e scrivere. Secondo la legge erano considerati analfabeti coloro che non sapevano scrivere il proprio nome e leggere quello degli altri. Ne avvenne che nel 1861 Collepietro con i suoi 845 abitanti poteva contare solo su 20 elettori, mentre  S. Benedetto con 670 abitanti ne poteva annoverare 31. Fu così che i frazionisti ebbero la meglio nelle elezioni e venne eletto sindaco Domenico Tesone. Diversamente andò nelle successive elezioni quando fu eletto sindaco Giuseppe Giustizia con una formazione amministrativa che rispettava le proporzioni delle parti.

Nel frattempo andava maturando quello che sarà per Collepietro un periodo buio e di recessione, cioè lo stabilirsi di un regime feudale fuori periodo. Fautore di questo regime ventennale fu il cavaliere Beniamino De Jorio. Già la travisazione del suo nome, che originariamente non era De Jorio ma bensì Di Iorio, trasformato per dare credito alle sue origini nobiliari, fa trasparire segni del suo carattere che si rivelerà in seguito essere cinico, arrivista ed imbroglione. Secondo molti, egli non si addottorò mai e nel periodo trascorso a Napoli, dove avrebbe dovuto studiare e laurearsi, egli ebbe una condotta di vita non certo onorevole. Mentre il suo titolo di cavaliere lo ottenne tramite intrallazzi e raccomandazioni.

Il suo genio malefico e la sua perseveranza nel raggiungere il potere gli permisero di intraprendere quella scalata verso le alte cariche del paese e non solo, che ebbe il culmine nel 1877 quando oltre alla carica di presidente della Congregazione di Carità, riuscì ad ottenere quella di sindaco di Collepietro e la nomina a membro della Commissione Mandamentale per l'imposizione dell'imposta di ricchezza mobile.

Il suo modo di concepire e di gestire la cosa pubblica fu alquanto singolare, infatti considerava l'amministrazione come un fatto privato, tanto da installare la sede comunale nel proprio palazzo ed approfittare degli atti di ufficio per interessi personali. Basti pensare che nel 1888, quando fu impiantato l'orologio della chiesa, fece avanzare 4000 mattoni per uso proprio.

La sua crudeltà verso i suoi nemici, i Giustizia e i Ferzacca in testa, si spinse sino alla profanazione dei corpi dei genitori di Francesco Giustizia; con una banale scusa della  "pubblica igiene",  li fece disseppellire dalla cappella di famiglia, eretta nella chiesa della Madonna delle Grazie per farli seppellire in una fossa comune nel cimitero provvisorio.

Il paese fu letteralmente spaccato in due, ma l'arroganza del sindaco finì con l'impensierire gli stessi suoi sostenitori, tanto che fu messo in minoranza nel consiglio ed in seguito gli fu preferito come sindaco Angelo Ferzacca, il quale cedette il posto ad Antonio D'Abrizio. Con lui fu eletto segretario Enrico Giustizia.

Il De Jorio però non si diede per vinto, creò disordini, disserzioni nelle sedute tramite minacce, battaglie nel consiglio, insomma questi furono gli anni più caldi della storia collepetrana. Ma fu proprio in seguito ad una denuncia di Beniamino nei confronti del comune che giunse nel paese Giulio Cesare Orgera nella figura di autorità tutoria, il quale condannò l'amministrazione De Jorio ed ebbe approvazione per i suoi nemici quali i Giustizia. Ebbe fine così la presenza in consiglio comunale della fosca persona che fu in seguito denunciata per molti torti che aveva perpretato sotto il suo governo. La sua vecchiaia non cambiò il suo carattere, morì nel 1921 all'età di circa 83 anni. Dei suoi beni posti all'asta per i suoi debiti, una parte del suo palazzo fu acquistato dall'amministrazione comunale e divenne sede municipale sino alla costruzione dell'attuale edificio.

Gli anni della guerra, anche per i collepetrani furono anni bui. I tedeschi sistematicamente facevano bottino di animali di allevamento e cibarie varie, unico sostentamento della gente che in quegli anni conobbe il terrore e la fame. A complicare le cose fu l'insediamento di un comando tedesco in Collepietro che era ritenuto postazione strategica. Questo stato di cose durò sino al 1944 quando i tedeschi prima di abbandonare Collepietro per dirigersi a Cassino sabotarono l'acquedotto e fecero saltare un passaggio della strada per Popoli. Naturalmente il ricordo più struggente è per tutti i paesani caduti per la patria in entrambe le guerre.

L'immediato dopoguerra fu segnato dal distacco dei frazionisti che divennero comune autonomo, mettendo fine a una difficile convivenza che si era dimostrata tale sin dall'inizio.

Il resto è storia recente.. 

 

 

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