Periodico Telematico del
Consiglia Licciardi Fan Club

Direttore: Antonio Grano

Anno I° N°3       

Settembre 2001

Omaggio a...

Raffaele Viviani

(Castellammare di Stabia, 1888 - Napoli, 1950)

A vent'anni Raffaele Viviani, vesuviano, approdo' a Roma per cercare una buona scrittura: aveva un bel repertorio di numeri di varieta' e una compagnia di fedelissimi all'altezza della capitale. E poi s'era innamorato di una ragazzina: aveva bisogno di non pensarci. I treni dal Sud scaricavano i viaggiatori vicino a Santa Bibiana e i pellegrini della nuova metropoli si diffondevano sull'enorme piazza enorme costeggiata dalle mura costruire dagli antichi romani. Berretti calcati e mani occupate, i viaggiatori calpestavano il terriccio che non aveva conosciuto il lusso dei sampietrini, ma che almeno ospitava i piaceri dell'illusione. Quello era il luogo dove gli accalappiasogni di Roma battezzavano alla fregatura i burini: c'erano i baracconi delle meraviglie, le sirene baffute, gli uomini orso,i banchi del tiro a segno, i maghi, gli incantatori, gli indovini, le giostre, i ragazzini che ti estorcevano l'elemosina e venditori di ceci e castagne secche. Poi c'erano gli stanziali; quelli che li' perdevano il giorno oppure ci andavano a fare la spesa, per farsi fare la barba, per assistere agli spettacoli di varieta', per seguire i drammi a puntate che le compagnie stabili completavano giorno dopo giorno. E c'erano i gendarmi, inerti, ben vestiti e impolverati, ai quali i ragazzini lustravano le ghette dopo avergliele pestate: militari con il cappello sulle ventitre' e lo spadino trascinato ciondoloni lungo la coda del pastrano. Poi c'erano i figli dell'aristocrazia in liberta' vigilata che entravano e uscivano dalle case chiuse, basse e ordinate come in un gioco di costruzioni di legno lungo le mura romane tra Porta Maggiore e Santa Bibiana. A vent'anni Viviani fu scritturato da don Peppe Jovinelli per l'inaugurazione del magnifico teatro che stava per nascere li' sul fianco della piazza. Viviani, che a Roma cercava distrazioni per dimenticare la sua brutta avventura amorosa, trovo' una paga di ottocento lire al mese. Un'enormita', per un comico tanto giovane: ma don Peppe voleva fare le cose in grande. Per il debutto allo Jovinelli, il vesuviano Raffaele Viviani scrisse una macchietta in romanesco, Ar tribbunale. Viviani e Petrolini avevano stretto un patto: chi dei due fosse sopravvissuto avrebbe interpretato una commedia dell'altro. Viviani, di soli quattro anni piu' giovane di Petrolini, sopravvisse quattordici anni all'amico e mantenne il promessa: mise in scena Chicchignola, che di Petrolini e' il testo piu' maturo e complesso. Fu un trionfo. Pochi, pero', hanno potuto fare l'inverso, perche' Viviani era inimitabile. Era uno scugnizzo formidabile col suo viso scolpito dalla vita difficile nei vicoli di Napoli. Era arrivato al teatro ragazzino nascondendosi nelle casse dei costumi preparati dai genitori sarti e sempre ragazzino era rimasto in scena. Scanzonato, duro, capace di aggirare gli ostacoli con un salto per andare dritto al cuore dei drammi della sua gente e della sua citta'. "Sono il re degli eleganti: / caramella tuba e guanti / non mi faccio mai mancare / e percio' mi fo ammirare. / Parlo il greco, il messicano, / molto ben l'americano, / e poi stando un poco a Orano mi so' infranciosato ben! / Ho molti cavalli / carrozze, villini e alcuni casini / possiede mamma'", cantilenava nella sua primissima macchietta, Fifi Rino. Il nome del personaggio non e' casuale perche' il ritornello diceva: "Son un de' membri grandi / nell'aristocrazia; / ovunque vo ho amanti / che dicono cosi': / Perche' non mi tasteggi? / Consolami un pochin! / Oh Rino di qua! / Oh Rino di la'! / Oh Rino di qua e di la'". Il doppio senso non e' elegante, ma nemmeno troppo ostentato. Dai tempi del suo debutto nel varieta', Viviani e' rimasto legato all'immagine dello scugnizzo, meta' furbo meta' innocente, che mette sempre il dito sulle piaghe del mondo. Anche visivamente, coltivo' quell'immagine. Poco prima della Seconda guerra, Viviani invito' tutti gli amici in un grande teatro napoletano preannunciando una sorpresa. La platea si riempi' in fretta di attori e attrici, di comici invidiosi e caratteristi volenterosi: tutti rumoreggiavano in sala prima dell'inizio dello spettacolo facendo a gara per indovinare la promessa sorpresa. Il buio porto' silenzio e all'apertura del sipario molte facce restarono appese per la delusione: in scena c'era solo un ragazzino vestito da scugnizzo che faceva mosse infantili e leziose. Ma fu la vocina dell'interprete, a soprattutto, a far smarrire il pubblico: "Che Raffaele ci abbia chiamato qui per presentarci suo figlio al debutto nell'arte?". L'idea si fece largo: il figlio di Viviani sembrava bravo anche a molti pareva un po' troppo piccolo ancora, per farsi interprete di drammi e commedie. Ma alla fine tutti applaudirono convinti, rumoreggiando, chiamando finalmente in scena anche il padre. Lo scugnizzo-ragazzino ringrazio' e da piccolo e curvo che sembrava, si raddrizzo'. La vergogna fu generale: era proprio lui, Raffaele Viviani, il ragazzino, e nessuno lo aveva riconosciuto. "Vi ringrazio, disse l'attore, per essere venuti qui a festeggiare insieme i miei cinquant'anni".

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