Filosofia

Poesia e pittura

"(...)  tanta  essere  la  conformità della  poesia  con  la  pittura  che quasi nate a  un parto l'una pittura  loquace e l'altra poesia mutola s'appellarono".  Così  Giovanni Paolo  Lomazzo  scriveva  nel  suo Trattato  dell'Arte  della  Pittura  del 1585 ,  per  sostenere  la  contiguità, anzi  la  stretta  parentela  esistente tra le due arti, quell' ut pictura poesis oraziana che già l'estetica classica,  seppur in  modi diversi, aveva posto in essere da tempo; in verità, oggetto  principale  dell'indagine dei pensatori dell'antichità  non  era tanto  la  riflessione  sulle  arti  in quanto  tali  ma  la  natura  del  bello da una parte e la funzione dell'opera  creativa  dell'uomo  dall'altra, apprezzata  come  mimesis,  cioè attraverso la sua capacità oggettiva di riproporre una verità universale in  quanto parte  essa  stessa  della grande  armonia  presente  nel cosmo. Interrogarsi oggi sulla relazione che intercorre tra la poesia e l'arte  contemporanee  potrebbe apparire  una  questione  oziosa.Credo, tuttavia, che molte allusioni e tante idee sulla poesia, spesso implicite  nei  nostri discorsi, meritino  una  riflessione  ulteriore,  che qui provo solo a sollecitare dal mio punto  di  vista,  sperando  si  possa tornare in futuro, magari in  queste stesse  pagine,  sull'argomento. Innanzitutto  mi  pare  che  oggi  si debbano  meglio  valutare  i  frutti dell'esperienza  maturata  in  questi ultimi  anni:  molti  artisti  e  poeti, infatti, hanno continuato ad operare sulle linee tracciate dalle Avanguardie Storiche e dai  movimenti legati alla sperimentazione che dal  dopoguerra in avanti non hanno mai cessato di elaborare gli elementi  costitutivi  dell'oggetto  artistico:  cito,  ma solo  per  esemplificazione, il caso della Poesia Visiva da un  lato, quello dell'Arte Concettuale  dall'altro.  In  secondo  luogo, ritengo che in  questa fase, malgrado  l'omologazione crescente e l'interesse prevalentemente  mercantile  per l'oggetto artistico, ci si trovi di  fronte  ad  una  situazione nuova della creatività, soprattutto per ciò che riguarda la ricerca multimediale; questa sembra riaprirsi  sempre più  ad  una  concezione  di  ascendenza greca, quella poiesis con  cui si  intendeva  porre  l'accento  più sull'idea  del  "fare",  del  "creare", che  non  su  quella  di  testo. Tale apertura  è significativa  e  lascia sperare  che,  dopo  una  stagione assai affollata di etichette, il lavoro poetico torni ad una  dimensione essenziale,  ad  una  funzione  fondante  nella vita dei gruppi sociali. La linea di lavoro che pone il corpo al centro dell'operazione estetica,  come  l'happening  o  la  performance  ad  esempio,  rappresenta proprio  uno  sgretolamento  progressivo quanto  inevitabile  del genere di  partenza -  la  sua consumabilità  più evidente - e cede all'evento,  all'hic  et  nunc dell'essere, sempre più orientato ad una ritualità del fare che  non  al confezionamento o alla resa ipercodificata di una scrittura. E' interessante osservare come in questo  procedere, accanto al superamento dei generi, si  possa riconoscere anche la  progressiva neutralizzazione,  sulla base  di  una  marcata  antropologia del sacro, del confine tra lo spazio dell'arte e quello della natura, della  finzione  e  della  realtà.  Infine, penso che una visione matura dell'arte,  trovi una sua ragion d'essere entro un  orizzonte concettuale che prescinde la congiuntura della contemporaneità.  La  frammentazione delle  arti,  operata  sulla  base  del linguaggio usato, risponde, infatti, solo ad un'esigenza  esteriore di comprendere  i  codici  ed  il loro funzionamento dentro la macchina del senso che una cultura produce di sé; è un orizzonte scientifico utile allo storico, o al poeta; propenderei, al contrario, per il riconoscimento di un'arte  consapevole,  per certi versi oggettiva - come la volevano i pitagorici e Platone - distinta  da  un   genere  prolifico assai diffuso di arte meccanica; un tale  approccio  risponde  soltanto alla  mia  necessità  interiore  di vedere  come  l'uomo  interagisce con   la  sostanza  dell'opera  ad  un livello  profondo,  sul  piano,  cioè, della propria esistenza reale, della sua totalità. Certo, si può destinare l'attenzione ai sensi, alla percezione,  si  può  studiare  la  semiosi  nel suo  svolgersi  linguistico  -  e  sono convinto  che  questo  sia  un   buon lavoro  ancora  oggi  e,  soprattutto, che  costituisca  un   obiettivo  irrinunciabile, da sviluppare con  sempre  maggior  gusto  e  competenza, nella formazione dei giovani -;  non credo, però, che esso sia il nocciolo  della  questione:  fermarsi  ai meccanismi del testo o al tentativo di rinvenirvi una catena etico-ideologica attraverso cui poterlo valutare significherebbe per me rinunciare definitivamente ad un contatto con la vera sostanza della poiesis.Ciò che a me interessa è  andare all'essenza del lavoro e dell'opera, alla  sua  costituzione  genetica; intendo  riconoscere  il  punto  della sua  origine  dentro  l'artista  nonché gli elementi dentro di me a cui essa fa  appello.  La  sua  biologia  mi seduce più della sua maschera che, evidentemente, appartiene alla cultura,  all'uso  più  o  meno  sapiente della  citazione  e  della  riscrittura, dell'uso metalinguistico che il poeta fa  della  materia.  Ma  questo  è, appunto,  l'aspetto  meccanico  dell'arte, la sua tèchne, mentre il grado di coscienza che vi dimora si dà ad un livello diverso, difficilmente misurabile  quantunque  imprigionato  nelle forme del segno.

(Gaetano Barbarisi)