Interventi |
Disobbedienza d'amore L’azione
scenica sorprende una donna nella sua notte insonne. Nell’immobilità
di questo tempo, alla sua mente rinviene il luogo del dolore. Gli spettatori
sono coinvolti nell’eco dello strazio che non si può raccontare, ma
solo affidare a dure parole che si scagliano acute e risonanti contro
i muri del silenzio e cadono dal pensiero alle labbra come confitture
sulla carne. In una vita che non sa viversi, é l’amore disobbediente
che traghetta dalla devastazione allo spazio del sogno e del desiderio.
Viaggio dalle schegge del sacrificio ai sorrisi della rinascita,
poesia, prosa e musica si fondono in un linguaggio armonico
che interpreta il passaggio dalla separazione all’unità.Quello che
mia madre non dovrà mai sapere non tace e prosegue il suo corso
e quella parola sale - limo, tracce, sorgente, fondo -. L’incubo
é cupo e non si da speranza e quel rumore non tace - buio,
freddo, odore, postilla -. Quello che mia madre non dovrà mai sapere
é la coscienza straniata che porto al mondo il mondo che mi penetra,
m’invade io con le cosce chiuse, strette, perché niente esca - umido,
umore, urlo, utero -. E’ l’acciaio che non si piega l’anima che mi
regge - labbra, gelo, afasia, morte -. Quello che mia madre non
dovrà mai sapere é lo sguardo che dedichi tu, biancore nella luce,
al mio capo reclino e alla carezza a cui mi inchino. Terra, sotterra
me e lacera quel velo - imene, forbice, giro di boa -. E non ti spiego,
io so e non ti dico, né ti dedico tracce di luoghi incerti o insidie
di bivi sospetti - neon , città, macchina, rumori -. Quello che mia
madre non dovrà mai sapere nell’attesa che mi snerva e nelle pause
che angosciano, è il mio irritato sguardo al tuo ritardo, già di nuovo
é stata vertigine, sgomento, delirio d’abbandono. Vedi? Non guardo
più morti e viali di cipressi con forza, é mi attardo in un compassionevole
sguardo - violino, corda, arco che si tende -. Quello che mia madre
non dovrà mai sapere sussurra che a volte comprendo e spesso
non perdono ma sempre muto regge il cuore il peso di un rantolo
che in pietà si soglie - incenso, Pasqua, miseria e lotta -. Lo sai,
sai bene che non grido soffro e non lamento, se poi l’argine
si rompe, é solo per quel vizio di un lucido guardare - nenia,
gemito, memento mori -. Quello che mia madre non dovrà mai sapere:
a niente appartengo e nulla mi appartiene caprifogli e gerbere
consolano alla luce, poi l’incontro e lo sguardo e l’incapacità di
fingere, solerte ed insolente, io ero, qualcuno mi diceva, una vera
disobbediente - proverbi, anatemi, inevitabili minacce -. Certe parole
amo e in esse mi perdo, altre odio e mi trattiene a loro il ritmo cadenzato
dell’oscena esibizione, il prete mi chiedeva nella chiesa scura un
atto di dolore - valva, vulva, vagina, vigna -. Quello che mia madre
non dovrà mai sapere é la vergogna che mi marchia da quel primo
ricordo, del pranzo, della scheggia, della lacrima sfuggita e del suo
addio deluso. Accade, accade ancora che io mi spinga oltre il limite
di un sogno - oggi lo penso vero - e stringo senza crudeltà un fiore
spiumato che nessuno rifiuta e a nessuno si offre - lingua, lacrima,
saliva, umori di stagione -. Quello che mia madre non dovrà mai
sapere é l’angolo in cui conficco un corpo greve o lieve che mi
protegge, in angolo mi incuneo e divengo invisibile. Come ho potuto
esserlo, ah, come!E poi tutti lì, cena, benedetto*, pranzo o ristoro,
in carne, ossa e capelli e io lì anche, solo sguardo solo occhi.
Lo screzio, lo spazio, l’angoscia, la sigaretta, cenere, bruciore. (Mariella De Santis) *benedetto; tipico antipasto pasquale, composto da uova, ricotta, arance e salame, benedetto con acqua santa prima del pranzo. |