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Poetica dell'aria Su
un lembo di cielo, in alto dal bordo di una finestra, passano, si disfano,
si ricompongono le nubi. Mostrano trafitture d'azzurro che subito si richiudono:
così il libro del cielo è continuamente sfogliato dal vento che con il
suo variabile ispirare modula una tastiera infinita di variazioni, partendo
dall'afonia della voce umana, prossima al nulla e oramai deprivata dai
respiri sonori fra le parole, attraversando quella che sopravviene e leggera
e che si temporalizza in un paesaggio, fino alle voci che si rivelano
per richiami di trasparenze rarefatte. Dopo la notizia quotidiana che
ha portato ai nostri occhi, un "vento analfabeta", come si definisce
con metafora di spoliazione Mario Luzi, sospinge un foglio di giornale
smosso sull'asfalto. Così in vento urbano si mostra nei segni interstiziali
della città, nei suoi esterni e nei suoi interni: la vibrazione di una
pensilina plastica durante l'attesa del bus, la vertigine paleiforme sotto
il soffitto del ventilatore sospeso, la frescura del neutro asettico degli
studi dentistici, la sua spazialità cubica nella cabina telefonica, mentre
si digita un numero. Ma poi, più sopra, ancora loro, le straniere, le
nuvole… La poesia è patri mobile di nuvole. Figure di unione e dissipazione,
di forma e movimento sono la mimesi mutevole del poeta. In esse egli cerca
una possibile appartenenza, solidale alla sua parola. Cieli di meditazione
trascorrono alterni, dove "noi siamo i mimi le nuvole i nostri maestri",
come afferma Wallace Stevens. Un maestro, l'aria addestrata nella nuvola,
che vive l'apparenza breve e immateriale prima della dissolvenza. A primavera,
nella luce fresca che approssima all'origine, il movimento dell'ascolto
ventoso, porta come chiosa Holderlin ad "Alitare e mormorare tra
corde d'arpa" (Flattern und fluster in saite spiele). (Alberto Mori) |