Il
curioso peccato della cultura turca
Molti di noi hanno avuto l'occasione di incontrare uomini o donne dall'aspetto
trasandato, individui sporchi, vestiti malamente, con occhi stralunati,
camminare o sostare nei luoghi più disparati delle nostre città. Molti
di noi hanno pensato, poiché pare impossibile evitarlo, alla loro dignità
perduta, alla loro folle scelta o alla loro sfortunata esistenza. Eppure,
dietro la figura ossuta e malata di queste persone, si nasconde a volte
una storia straordinaria. Massimo Fagioli, psichiatra, in una recente
intervista, parlando del suo primo e forse ultimo film realizzato sia
come regista che come attore e sceneggiatore, descrive il personaggio
di un barbone, rappresentandolo come un professionista di successo che
ad un certo punto della sua vita decide di lasciarsi andare, per amore
di una donna. Dei barboni dice: "Sono persone deluse, ferite, così frequenti
nella vita sociale. E, lo ribadisco, non sono affatto malate di mente.
Si dice sempre che questa società é la migliore di tutte e in una cultura
così si pensa che la libertà porti alla follia. Invece il rischio é
proprio questa società indifferente, senza passioni, senza sentimenti".
Il film di Massimo Fagioli ha per titolo "Il cielo della luna" e verrà
rappresentato in giugno al festival "Adriaticocinema". Tutto ciò per
introdurre il tema della paura della follia e di coloro che si presume
ne siano portatori. Con questo non voglio assolutamente affermare che
la follia, o malattia mentale, non esista; mi preme evidenziare invece
l'aspetto creativo e geniale del "matto" ritenuto tale in quanto terribilmente
diverso. Uno degli ultimi testi scritti di Antonin Artaud, artista notoriamente
"squilibrato", come del resto lo sono gli amanti dell'eccesso, dice:
"Un tempo l'anima non esisteva, lo spirito nemmeno, quanto alla coscienza
nessuno ci aveva mai pensato, ma dov'era, del resto, il pensiero in
un mondo fatto unicamente di elementi in piena guerra subito distrutti
non appena ricomposti, perché il pensiero é un lusso di pace. Allora,
il vecchio Van Gogh era re, e contro di lui, mentre dormiva, fu inventato
il curioso peccato detto della cultura turca, ...... l'umanità non vuole
darsi il fastidio di vivere...., ha preferito sempre accontentarsi di
esistere. Quanto alla vita, ha l'abitudine di andarla a cercare nel
genio dell'artista..." Così scriveva Antonin Artaud nel 1947, un anno
prima di morire da internato a Ivry-sur-Seine. Scrisse su Van Gogh,
da lui definito "il suicidato della società", e introdusse questo concetto
della cultura turca per definire, attraverso la figura e la vita del
pittore olandese, il vero rapporto esistente tra genio artistico e società
civile. Chi é il turco di cui parla Artaud? Probabilmente una sorta
d'individuo regolare che, schermato dal proprio gruppo di appartenenza
osserva con desiderio di appropriazione i modi ed i riverberi di bellezza
che un artista é in grado di esprimere. Oppure é un essere collettivo
che subisce il fascino e la giustezza dell'arte di un genio che ha il
vizio di tagliarsi le orecchie, o di bruciarsi le mani quando é in preda
alla follia. Dice ancora Artaud a proposito del male che lo stava divorando:"...e
il re Van Gogh sonnecchiava, incubando l'allarme imminente dell'insurrezione
della sua salute. Come? Per il fatto che la buona salute è pletora di
mali collaudati, di formidabili ardori di vivere, da cento ferite corrosi,
e che bisogna comunque far vivere, che bisogna indurre a perpetuarsi....Ma
il Turco, mostrando una faccia onesta, si avvicinò delicatamente a Van
Gogh per cogliere in lui la pralina, per staccare la pralina (naturale)
che si andava formando. E Van Gogh vi perdette mille estati. Di questo
é morto a trentasette anni, prima di vivere, perché ogni scimmia ha
vissuto prima di lui con le forze che aveva raccolto...." Artaud sembra
dire che solo chi è in buona salute può sfidare le forze della natura
e tentare, come Van Gogh, di trasmettere sulla tela il primordiale ritmo
della vita. Un sogno folle, come folle sarebbe da ritenere l'alchimista,
l'astronauta, l'alpinista o chiunque cerchi di superare se stesso, spinto
da una malattia interiore che ha bisogno paradossalmente di forza e
di "buona salute". Per essere degni di "essere vivi", diceva Artaud,
occorre gettarsi, come egli stesso si gettò, in esperienze ai limiti
della sopportazione umana, divenendo un atleta della mente, ormai irraggiungibile
dai suoi simili o, al contrario, ormai perso per i suoi simili, che
di lui ha comunque trattenuto l'opera di attore, regista, poeta e grande
teorico di teatro.
(Ivan Ceruti)
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