La
leggenda del distillato di poesia
Savio
era l’essere mortale più saggio mai esistito sulla terra, e si spostava
da una parte all’altra del mondo per trasmettere il proprio sapere a tutta
l’umanità. Dopo aver viaggiato molto e mangiato pane di molti forni, giunse
in un paese sconosciuto. Lì fu invitato da un gruppo di nani a partecipare
ad un banchetto nella loro grotta sotterranea. Finito di pranzare,
due nani lo convinsero a seguirli in un luogo appartato con la
scusa che volevano discutere con lui, in privato, questioni di vita e
di morte. Savio, che era sempre ben disposto verso il prossimo,
acconsentì senza fiatare. Ma una volta tratto in disparte fu aggredito
dai nani, i quali, tolsero da sotto le tuniche i loro pugnali e lo colpirono
più volte fino ad ucciderlo. Poi, legarono il corpo dell’ospite
come un salame e incominciarono a spremere dalle numerose ferite il
suo sangue intriso di saggezza e di poesia. Raccolsero il sangue
in un paiolo di ferro, lo mescolarono con il miele, quindi lo riposero
in tre contenitori sigillati in un luogo fresco e asciutto affinché
fermentasse e si trasformasse in un liquore dai poteri soprannaturali.
Ma ben presto la notizia del prezioso distillato di poesia e di
sapere giunse alle orecchie di un gigante di nome Baghì Bagù, che
abitava nei paraggi.
Costui, menestrello per diletto e grande bevitore per vocazione,
dopo aver saputo che quel liquido inebriante così carico d’ispirazione
dava a chi lo beveva il dono della poesia, rubò ai nani il liquore
magico. Neppure il gigante, comunque, trasse un duraturo vantaggio
dalla sua impresa, perché la fama del liquore salì fino al Regno dei
Cieli e mosse la curiosità del Re degli dei. Per ottenere la bevanda,
il Re in persona si travestì da contadino e scese sulla terra. Raggiunse
il Paese dei Giganti e si presentò alla fattoria di Baghì Bagù come
un qualsiasi straniero in cerca di un riparo per la notte. Trovò
il gigante davanti al fuoco, pieno fino all’orlo di cibo e di
vino, e subito approfittò della situazione: si offrì di farsi carico
dei lavori della fattoria per tutta la stagione estiva in cambio di
una coppa della bevanda magica. Sulle prime, Baghì Bagù si mostrò
titubante. Poi, però, gli piacque l’idea che qualcuno al posto
suo sudasse per curare il bestiame, falciare i prati, legare i
covoni di paglia e preparare nuovi campi per la coltivazione. “Tanto”,
pensò, “di liquore ne ho in cantina tre damigiane, e dunque posso
pur concederne una coppa al forestiero”. I due conclusero il patto,
e quando la stagione del raccolto giunse al termine, il Re degli Dei
ricordò al gigante la sua promessa.
Con uno sguardo minaccioso, Baghì Bagù negò i termini dell’accordo uno
per uno, e rifiutò di dare anche una sola goccia di liquore al
contadino. Il Re restò impassibile, ma chiese al gigante il permesso
di fermarsi in casa sua per un’altra notte, prima di riprendere il
viaggio. Problemi non ce n’erano, rispose Baghì Bagù, che pernottasse
pure; ma il mattino seguente doveva alzare i tacchi all’alba, perché
lui quella faccia da bifolco del contadino non la voleva mai più rivedere
lì attorno.
Il Re diede la sua parola, e non appena il gigante prese sonno,
bevve tutte le tre damigiane del magico nettare, si trasformò
in un’aquila gigantesca e volò via. Svegliato dai vortici d’aria
prodotti dal battito delle immense ali, il gigante s’avvide del raggiro.
Invocò i propri poteri ultraterreni, si trasformò a sua volta in un’aquila
e partì all’inseguimento del ladro.
A questo punto, tutte le creature del cielo si misero in stato
di all’erta. Il vento dello spirito soffiava fra i due, attizzando
le fiamme. Entrambi gli avversari erano agguerriti come non mai,
sicché, in capo a pochi minuti, l’intera pianura fu inondata di piume
e, da verde speranza che era, divenne nera come la rinuncia. Ma
poiché la magia del Re degli dei era più potente di quella
di Baghì Bagù, il gigante fu infine sconfitto.
Il Re poté così fare ritorno alla sua reggia, dove gli altri dei, che
nel frattempo avevano appreso della sua missione, non vedevano l’ora
di poter assaggiare l’ormai celebre bevanda. Quando lo videro arrivare
sotto forma di aquila, quindi, s’affrettarono a preparare un mastello
di legno nel quale il Re, un attimo prima di ridiventare dio,
sputò gran parte del prezioso liquore contenuto nel lungo collo
aquilino. Nel trambusto generale nessuno s’accorse che alcune gocce
del liquore, schizzate fuori dal mastello, trapassarono le nubi
e piovvero fin sulla terra. Fu uno scherzo del destino; non era nelle
intenzioni degli dei donare agli uomini la poesia per far sì
che anch’essi diventassero immortali. Ma neppure loro poterono farci
niente perché, alla fin fine, le cose della vita imboccano sempre la strada
che pare e piace a loro.
(Rita
Remagnino)
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