Verso
la riapertura dei manicomi
Quello che stupisce nella attuale
maggioranza di governo è la capacità di questi signori di far passare
come assolute novità i più biechi ritorni a un antico ordine gerarchico.
La legislazione sul lavoro, infatti, è pienamente improntata al ritorno
di un "sano" ordine dove i padroni comandano e i lavoratori
ubbidiscono e stanno zitti, quella sull'assistenza con l'introduzione dei
LEA (vedi l'ultimo numero di Wild Cat) e la reintroduzione del pagamento
per i servizi e del ruolo garantito alla pelosa carità cattolica non è
da meno, per quanto riguarda la sanità il buon Sirchia aveva proposto il
ritorno alle mutue di categoria...
Fedeli a questo principio un pattuglione di deputati di Forza Italia (ma
con adesioni, modernità oblige, ferreamente trasversali) si sono proposti
di dare l'ultima mazzata all'edificio faticosamente costruito della Legge
180. Come è noto questa legge aveva recepito alcuni principi di libertà
che una generazione di psichiatri, rigorosamente nemici dell'internamento
e della soppressione dell'identità del sofferente psichiatrico, aveva
iniziato a sperimentare un decennio prima.
La legge 180, ovviamente, non recepiva interamente quell'impianto dal
momento che questo era basato sulla messa in discussione dei ruoli medici
all'interno della psichiatria e su una pratica di accoglienza del
sofferente psichiatrico, al quale non doveva essere tolta la libertà. La
180, però, aveva comunque un merito: dichiarava illegittimo
l'internamento su semplice richiesta del medico curante, chiudeva quei
lager innominabili chiamati manicomio e prevedeva la possibilità della
cura attraverso presidi sanitari e ambulatori. Insomma il matto cessava di
essere una strana bestia, degna al contempo di orrore e pietà, da
rinchiudere in appositi luoghi per non turbare la serenità della società
"normale", per diventare una persona sofferente e in quanto tale
depositaria del diritto a essere assistita senza lederne la libertà.
Tutto questo non è mai stato applicato fino in fondo: nel centro e nel
sud del paese i manicomi non sono mai stati chiusi, i fondi per la
deistituzionalizzazione sono sempre stati pochi e risicati, le ASL,
soggetti ai quali competeva la costruzione di presidi e luoghi di cura,
hanno sempre evitato di attivarsi in questo senso preferendo investire
denaro in affari più lucrosi, non poche delle comunità sorte per
sostituire i vecchi manicomi sono state fin troppo simili ai vecchi
lager... Nonostante tutto questo, decine di migliaia di persone hanno
finalmente trovato una dimensione più umana nella quale vivere, alcune
migliaia di loro hanno iniziato un percorso che le ha portate a una
maggiore o minore autonomia, altre migliaia hanno potuto evitare la
carcerazione a vita in quei luoghi indecenti. Tutto questo non è andato
bene a un sacco di gente: non è andato bene agli psichiatri che, tranne
le eccezioni che dettero vita alla stagione antipsichiatrica, hanno
continuato a maledire una legge che toglieva loro l'assoluto potere sulle
vite dei ricoverati, non è andato bene ai custodi dell'ordine sociale che
ritengono eretico pensare che una società debba accogliere al proprio
interno chi soffre proprio a causa delle storture dell'ordine dominante,
non è andato bene, infine, a tutte quelle figure che campano sulle rigide
suddivisioni tra "sani" e "malati", cani da guardia
dell'ordine sociale e mentale e ben decisi a perpetuarlo all'infinito.
Queste figure e le lobby influenti alle quali hanno dato vita, hanno
continuato dall'emissione della legge 180 (1978) fino a oggi a soffiare
sul fuoco delle "povere famiglie abbandonate" che avrebbero
dovuto gestirsi "il matto in casa", evitando ovviamente di dire
loro che se questo accadeva non era certo colpa della 180 quanto del
boicottaggio effettuato proprio contro di essa, lesinando i fondi,
impedendo gli inserimenti lavorativi, privando i soggetti psichiatrizzati
della possibilità di affittare casa, di avviare relazioni stabili e, in
generale, di vivere una vita non diversa dai "sani".
La distruzione della 180 è stata così avviata con la complicità dei
pennivendoli di regime, sempre pronti a denunciare i delitti commessi dai
"fuori di testa" e a richiedere l'immediato ritorno
dell'internamento coatto. I tagli sempre più forti e sempre più mirati
effettuati in questo decennio hanno fatto il resto, privando i progetti di
autonomia e di cura della sofferenza del terreno concreto sul quale
svilupparsi. Le ASL hanno sempre più lesinato i fondi per tutti i
progetti che non prevedevano la preminenza degli psichiatri nei percorsi
di cura, le comunità di eccellenza, quelle con pochi utenti e molti
educatori, sono state penalizzate mentre sono state premiate quelle che
ripetevano in piccolo lo schema dei vecchi manicomi. Per quanto riguarda i
presidi locali, poi, questi si sono trasformati in centri di spaccio di
psicofarmaci e dispensatori di "buoni consigli". Le ultime leggi
regionali che hanno riordinato in tutta Italia il settore hanno, infine,
privilegiato le riduzioni della spesa, la costruzione di strutture
residenziali per la cura della sofferenza psichiatrica gestite dalle
vecchie figure mediche e con presenza di personale educativo ridotta al
minimo e la centralità del ruolo dello psichiatra nel determinare il
percorso istituzionale dell'utente.
Dulcis in fundo è stata riordinata la figura dell'educatore il quale è
stato privato di tutte le competenze propriamente educative per
trasformarlo in una figura assistenziale non diversa dall'infermiere o
dall'assistente domiciliare. In pratica un altro controllore sociale
sottoposto agli ordini dello psichiatra di turno, senza possibilità
progettuali e incaricato di impedire qualsiasi progresso o autonomia delle
persone affidategli. Insomma il "matto" è già tornato quello
di prima: una bestia da rinchiudere e sul cui fascicolo scrivere:
"fine pena mai".
In questo quadro arriva la ciliegina finale con questa iniziativa
legislativa che permette la costruzione di luoghi di cura per centinaia di
utenti segnalati dai servizi psichiatrici e con la possibilità data agli
psichiatri di disporre internamenti coatti senza trovare opposizione
legale da parte di nessuno. In pratica niente di più e niente di meno del
vecchio ordinamento. Grandi strutture residenziali, monitorate da uno o più
psichiatri, con grandi camerate per dormire, mangiare e passare il tempo
(ovviamente per tutti, tranne per chi pagherà e potrà avere la sua linda
stanzetta...), tanti infermieri e assistenti domiciliari (che costano
poco, non rompono le balle e non hanno pretese educative) e qualche
educatore per fare finta che si persegua una qualche idea di
riabilitazione.
Resteremo ancora zitti di fronte a tutto questo? Continueremo a pensare
che le disgrazie legislative sono come la grandine? Cercheremo ancora un
percorso di salvezza individuale sperando di lavorare in un qualche centro
di eccellenza? Oppure finalmente, di fronte a provvedimenti che sono
antiumani e tolgono qualsiasi senso al nostro lavoro, troveremo la forza
di opporci a questa deriva dichiarandoci non disponibili a essere complici
dell'ennesima forma di restaurazione dell'ordine sociale?... Ai posteri...
Testo di Giacomo Catrame
Fonte : http://www.ecn.org/
Da
"Umanità Nova" n. 34 del 20 ottobre 2002
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