Olio d'oliva, Bruxelles taglia i sostegni    

"L'Italia ha fornito dati contraddittori". Il ricorso sull'etichetta d'origine verso la bocciatura

 

MILANO - Tutto comincia con l'ennesima bacchettata dell'Unione Europea. E con un taglio del 35% sugli aiuti all'olio d'oliva, circa centomila lire in meno al quintale. Una riduzione decisa da Bruxelles "in via cautelativa" che potrà essere recuperata, ma solo in parte: perché alla fine qualcosa l'Italia dovrà pagare, visto che nell'annata 1999-2000 produrrà oltre il tetto assegnato. "Senza contare che a causa di questa penalizzazione dovremo fare una trattativa in salita, partendo in svantaggio rispetto agli altri Paesi", puntualizza Massimo Pacetti, numero uno del Cno, il Consorzio nazionale olivicoltori. Nessun dramma, comunque: gli agricoltori non avranno meno soldi. Anzi, essendo prevista la possibilità di incassare i sostegni non utilizzati nella campagna precedente, il nostro Paese riceverà quest'anno 1.600 miliardi, contro i 1.100 del '99 e gli 800 del '98.

"E' la cifra più alta ottenuta fino a oggi dall'olio made in Italy - sottolinea Nicola Ruggero, presidente dell'Unaprol, una delle maggiori associazioni di produttori -. Con buona pace di quanti sostengono che il nuovo regime comunitario di sostegni alla produzione ci danneggia".

Allora, perché le organizzazioni agricole e i produttori sono andati su tutte le furie? Perché Bruxelles ha deciso il taglio dopo aver bollato come poco affidabili i nostri dati. Con tutte le ragioni. L'Italia è infatti arrivata alla riunione del comitato che doveva raccogliere le stime sulle produzioni dell'annata con quattro cifre differenti: 772 mila tonnellate secondo l'Istat, 833 mila stando ai calcoli dei frantoi, 853 mila per l'Aima, 862 mila nelle previsioni di Agecontrol, l'agenzia istituita per portare alla luce frodi e truffe. Così la Commissione europea, già critica e dubbiosa con i nostri dati dopo le vicende delle quote latte, ha applicato una penalità del 35% (in gergo comunitario: "margine di sicurezza"). E' la più alta rispetto a quelle decise per la Grecia (20%) e per Spagna, Portogallo e Francia (10%).

"Ancora una volta ci siamo presentati in ordine sparso", commenta Pacetti. "Non abbiamo imparato la lezione: a Bruxelles dobbiamo andare preparati, con una strategia", insiste Ruggero.

Il ministro per le Politiche agricole Alfonso Pecoraro Scanio ha comunque chiesto spiegazioni sia in Italia che all'Unione Europea. E dell'argomento si parlerà anche nell'incontro che il ministro avrà il 5 ottobre con il commissario Franz Fischler. Ma intanto la figuraccia è fatta. Un nuovo danno d'immagine che certo non gioverà alla battaglia che sta per aprirsi sulla riforma del sistema degli aiuti e sulla denominazione d'origine.

Già, perché se il taglio ai sussidi ha preoccupato gli agricoltori, questa settimana a riscaldare gli animi è arrivata anche un'altra cattiva notizia: la Corte di Giustizia europea ha di fatto respinto (la sentenza definitiva non è ancora arrivata) il ricorso dell'Italia contro il regolamento europeo sull'etichettatura e la commercializzazione dell'olio extravergine. Secondo il nostro Paese, l'origine del prodotto dev'essere legata al luogo di produzione delle olive, per l'Ue basta invece il luogo dove avviene la trasformazione industriale.

"Il giudizio della Corte va in direzione opposta a quello seguito per l'etichetta della carne o per l'imbottigliamento del vino", denuncia Ruggero. E Pacetti promette battaglia perché sia rifatto da capo tutto il regolamento. Il ministro è d'accordo: "È ora che Bruxelles capisca che la vera origine dei prodotti alimentari è là dove sono le piante", commenta Pecoraro Scanio. Ma, almeno sull'etichetta, non sarà facile spuntarla con Bruxelles, che sempre più guarda all'Italia come a uno scolaro insofferente alle regole. Se non addirittura come a un sorvegliato speciale.

   

Renzo Ruffelli

   

1 ottobre 2000  - Corriere della Sera

  webmaster@olio-oliva.it