Odori e sapori     

Varietà e aree di produzione prevalente:

     

      Olio delicato con sensazione dolce, leggermente velato, di colore giallo paglierino.

         

      Olio fruttato, di colore verde oro, con sapori di erbe mediterranee.

         

      Olio fruttato, armonico, di coloro giallo oro, con riflessi verdi e aranciati.

   

      Olio delicatamente fruttato e molto aromatico, di colore oro carico.

         

      Olio molto fruttato con retrogusto amaro e piccante, di colore giallo verdognolo.

 

        Olio fruttato, armonico, di colore verde con riflessi dorati.

 

        Olio delicato lievemente fruttato, di colore oro pallido con intensi riflessi verdi.

     

        Olio fruttato, medio ed equilibrato, di colore giallo oro, assai fluido.

     

      Olio fruttato intenso e verde fresco con sensazione di amaro e piccante.

     

      Olio fruttato e maturo con sensazione di dolce e di mandorla.

     

      Olio fruttato medio di colore giallo dorato e di caldi toni verdi.

   

        Olio fruttato persistente con complesse note erbacee.

     

26 novembre 2000  - Corriere della Sera

     

         

Olio, la UE boccia l'Italia: sì all'uso di olive straniere

MILANO - L’olio d’oliva torna nella bufera. La Corte di Giustizia europea ha infatti respinto ieri, a Lussemburgo, il ricorso dell’Italia sull’etichettatura dell’extravergine, e ha riconosciuto valido il regolamento comunitario in base al quale la dicitura «made in Italy» non deve necessariamente indicare il luogo da dove proviene la materia prima, è sufficiente che si riferisca alla località dove si trova il frantoio. In altre parole, l’olio extravergine italiano potrà essere ottenuto anche da olive che arrivano da altri Paesi, basta che la spremitura sia avvenuta in Italia. Una sentenza che non mancherà di suscitare polemiche da parte di quanti (sempre più numerosi in questi ultimi tempi) si battono perché l’origine e la tipicità di un prodotto alimentare sia indissolubilmente legata alla terra che lo ha fatto nascere.
La decisione dei giudici europei non è comunque una sorpresa, perché le conclusioni dell’avvocato generale della Corte l’avevano anticipata già da un paio di mesi. Ieri, a caldo, le organizzazioni agricole facevano notare come la sentenza fosse contraddittoria rispetto alle norme sull’etichetta delle carni e sulle denominazioni d’origine dei vini. Quasi a rispondere a queste critiche i magistrati hanno comunque precisato che il loro giudizio non è sul merito del regolamento Ue, ma sul fatto che questo non sia «né illogico né incoerente».
A pesare sulla sentenza è stata soprattutto la convinzione della Corte europea che questa etichetta non fosse ingannevole (ma davvero non lo è), come sostenevano le associazioni dei consumatori. Una scelta che getterà benzina sul fuoco delle polemiche tra produttori e industriali. Convinti, questi ultimi, che esista anche una qualità del blend   italiano da tutelare all’estero.
Non tutti gli agricoltori hanno però letto in negativo la sentenza. Anzi c’è chi vi ha visto l’occasione perché, finalmente concluso il ricorso, si possa tornare a discutere del regolamento. Dopotutto - si fa notare - questa normativa è del 1998, quando la questione della sicurezza alimentare non era così prepotentemente venuta alla ribalta come dopo il rieplodere del caso mucca pazza. «Oggi a Bruxelles c’è una sensibilità in più - dice Renato Ruggero, presidente dell’Unaprol, una delle maggiori associazioni tra i produttori olivicoli - e la sentenza offre al governo e al Parlamento italiani l’opportunità di ridiscutere in sede politica a livello europeo le nuove norme sull’origine e la tracciabilità dei prodotti agricoli, e in particolare dell’olio d’oliva».
Una linea d’attacco che il ministro delle Politiche agricole, Alfonso Pecoraro Scanio, ha promesso da subito, annunciando che il problema sarà indubbiamente al centro delle trattative per la riforma degli interventi a favore dell’olio d’oliva, già in agenda per il prossimo anno. «Si potrebbero indicare due indicazioni in etichetta - ha suggerito - una sul luogo dell’uliveto, l’altra su quello della trasformazione». Vedremo come reagirà la Commissione di Bruxelles che, al di là dei giudizi di merito, in questa occasione non sta certo mostrando coerenza.

15 dicembre 2000  - Renzo Ruffelli - Corriere della Sera

 

Allarme negli oliveti della Toscana

Servono corsi e incentivi per assicurare la sopravvivenza delle caratteristiche coltivazioni regionali Non si trovano potatori.

FIRENZE - «Non è lontano il giorno che segnerà la fine degli oliveti coltivati come giardini, secondo l’antica tradizione toscana. Non è lontano il momento in cui l’olio sopraffino vergine cambierà le sue qualità. E che cambierà aspetto anche la collina toscana, quella tenuta a terrazze digradanti grazie alla presenza degli olivi dalle possenti radici. Se dovremo affrontare un futuro senza olivi anche l’ecosistema della Valle d’Arno soffrirà molto. Le colline che salgono oltre i 700-800 metri saranno meno stabili, pericolose per smottamenti e frane». Massimo Sottani, sindaco di Reggello, lancia il grido di dolore con l’orgoglio di uno che rappresenta 121 chilometri quadrati di collina che da Vallombrosa scendono in riva d’Arno arricchite da castelli, pievi, ville e da 2.000 ettari coltivati con la densità di 120-150 olivi per ettaro. Giovane, energico, Sottani riassume i tre motivi di ansia dei produttori di un olio considerato tra i migliori d’Italia.

Perché a Reggello si teme il futuro? «Il nostro equilibrio è in pericolo per tre molto diversi motivi. Primo: le regole comunitarie ci mettono oggi alla pari con produttori italiani e stranieri di bassa qualità, che nel migliore dei casi mandano sul mercato quale vergine l’olio fatto con olive coltivate in terreni di ogni genere, raccolte nel fango anziché brucate dal ramo, lasciate ad ammuffire per settimane e non defogliate, lavate e spremute entro 72 ore secondo il nostro uso. Come possiamo reggere il confronto con i prezzi di tale produzione massiccia?».

La preoccupazione si aggiunge ad altre ansie. «Vediamo sparire le generazioni di potatori che hanno reso possibile la vita di piante speciali, tagliate a monocono, a vaso, a cespuglio, secondo le esigenze». Non ci sono corsi di istruzione bastanti per i ragazzi, né provvidenze per le famiglie che li mantengono. Niente potatori, niente olivi.

«E poi, vediamo sempre più in sofferenza i raccoglitori volontari, quasi tutti anziani. Sono colpiti da una fiscalità pesante, esosa, i pensionati parenti dei produttori, che vanno ad aiutare la raccolta senza essere pagati, senza vedere denaro, ma ricevendo secondo l’uso 6 chili di olio per la famiglia, per ogni quintale di olive raccolte. Multe milionarie sono imposte da un paio di anni a vecchi e a massaie che si sono portati a casa qualche litro d’olio». Lo scontento dilaga. «Credetemi - insiste Sottani -, non scherzo quando dico che ci aspetta un futuro senza olivi».

   

24 dicembre 2000  - Wanda Lattes - Corriere della Sera

Un extravergine della Liguria franto all'antica

Olive raccolte a mano, una spremitura immediata e soffice: così era "l'olio dei re"

Non passa ora del giorno e della note in cui non arrivino notizie orrorizzanti. Ciascuno, ad ogni livello, dagli opinion-leaders, ai politici, ai militari, sino al più "elementare" tra i cittadini, propone una sua propria soluzione. Anch'io. Da quell'11 settembre del terrore, ho cercato il mio equilibrio con il ritorno ancor più esasperato alla terra e ai suoi valori. Attento! E' l'unica strada, non solo per me, per tutti.

L'ho fatto anche con la rilettura dei classici, Catone e Columella, in primis. Logico, in Agrodolce scrivo di Columella e del suo "De re rustica" (pensa te: nella prefazione lamenta la decadenza dell'agricoltura). Mi soffermo sul capitolo relativo all'olio di oliva che è divenuto la bandiera decisiva - già trionfante il vino - per l'affermazione mondiale della nostra agricoltura etica e utilizzo le parole di Marc Tibaldi, E.V. n.61, ottobre/novembre: " … raccolta a mano nel momento dell'invaiatura, spremitura immediata e soffice - senza rompere il nocciolo - filtrazione>. L'olio snocciolato era l'<olio dei re>, l'<olio verde> era l'extravergine di oggi, l'<olio degli schiavi> era fatto con le olive raccolte a terra". Verifico quel capitolo, nella traduzione dal latino di Carlo Carena e ne traggo due frasi "…frangerai quanto prima le olive appena sono state raccolte e subito le metterai sotto il torchio" e "non schiaccerai il nocciolo, che vizierebbe il sapore dell'olio".

Ho convinto numerosi ulivicultori a munirsi di denocciolatori così che frangano all'antica- con piccoli frantoi di proprietà- le drupe dei propri uliveti. Uno è Domenico Ruffino da Varigotti. All'invaiatura delle olive mi chiama. L'assaggio di quel primo olio, di monocultivar taggiasca, sarà la giovinezza. Ripercorrerò allora le Manie, la strada alta che porta su per i Colli da Final Pia a Spotorno. Della Manie - attenzione all'accento sulla a; va sottolineato pronunciandolo - amo ogni pietra di pria di prima, ogni zolla, ogni stelo, ogni albero e siepe per l'asperità e le dolcezze: sono in me da che mi hanno fatto. Mi fermerò al numero 3 per i vini: il Pigato, il Vermentino e, rarissimo , il Passito. Vladimiro Galluzzo - Azienda Agricola Terre Rosse- aprirà una delle sue poche bottiglie. Al termine (della bottiglia) sarò certo del realizzarsi d'un sogno. Nelle etichette degli oliandoli italiani sarà scritto, oltre al nome dell'azienda e del comune in cui ha gli oliveti: "olio ottenuto da numero --- di olivi della cultivar…; le drupe sono state colte, snocciolate e subito frante; la loro conservazione avviene in recipienti di acciaio; è commercializzato in bottiglie di vetro scuro".

21 ottobre 2001  - Luigi Veronelli - Corriere della Sera

   

Olio Extravergine, da giovedì le nuove etichette

 

ROMA - L'olio "made in Italy" è salvo. Dopo un lungo braccio di ferro con Bruxelles, il nostro Paese segna finalmente un punto a suo favore nella battaglia per un'etichettatura più chiara e trasparente della confezioni in vendita sugli scaffali di negozi e supermercati.

D'ora in poi, infatti, non sarà più possibile spacciare per italiano un olio prodotto con olive importate da Grecia, Marocco o Tunisia, solo per il fatto che la spremitura è avvenuta sulla penisola. Solo l'olio prodotto in Italia a partire da olive raccolte nei nostri oliveti potrà fregiarsi dell'indicazione d'origine che ne attesta la matrice italiana. E se il paese di provenienza della materia prima non coincide con quello di frangitura delle olive, questo dovrà essere specificato in etichetta.

E' l'importante principio sancito da un regolamento licenziato nei giorni scorsi dal Comitato di gestione delle materie grasse dell'Ue, un organismo tecnico che dà pareri sui provvedimenti adottati dalla commissione. Il Comitato doveva avallare un progetto di revisione del regolamento 2815/98, il vecchio testo-base sulla nazionalità degli oli d'oliva che lega l'identità del prodotto al luogo di spremitura delle olive, anche se queste provengono da un altro Paese.

La nuova disciplina, che scatterà giovedì, capovolge questa impostazione, affermando a chiare lettere che sulla paternità dell'olio fa fede il Paese di origine della materia prima, salvo - come detto - i casi di doppia etichettatura.

Nonostante questo successo, la guerra dell'olio che da anni l'Italia combatte contro Bruxelles per garantire più trasparenza al mercato non può dirsi vinta, almeno non completamente. Sul tappeto restano aperte diverse questioni. Innanzi tutto con il nuovo regolamento, che resterà in vigore fino a giugno, l'indicazione di origine è solo facoltativa, e non un obbligo, come invece chiedevano i nostri produttori. Poi c'è il problema delle miscele di oli di diversa provenienza: con le nuove regole sarà possibile etichettare con il marchio Italia anche le con confezioni che contengono fino al 25% di olio straniero: "Noi invece chiediamo che l'origine sia collegata al cento per cento ad un solo Paese - sostiene Nicola Ruggiero, presidente di Unaprol, una delle associazioni tra i produttori - oppure che in etichetta sia indicata la provenienza degli altri oli".

Intanto sta per partire la nuova campagna olearia, che quest'anno si annuncia più scarsa del previsto: i primi dati sono stati forniti dalla Confagricoltura parlano di una produzione sui 6 milioni di quintali. La stima è emersa durante la presentazione di "Frantoi aperti" un'iniziativa per avvicinare il grande pubblico al mondo dell'olio, che sarà celebrata in undici città dell'Umbria nel weekend del 10 e 11 novembre.

 

28 ottobre 2001  - Giancarlo Martelli - Corriere della Sera

 

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