GIORGIO PETROCCHI
Introduzione a "La Divina Commedia dipinta da Achille Incerti"
Moltissimi, in seicentocinquant' anni e
più, gli artisti che, sollecitati dalla potente visività della Commedia, si sono
misurati con "l'alta fantasia" dantesca, nell'audace tentativo di tradurre in
termini figurativi personaggi ed episodi del poema. Pochi hanno però avuto forza e
costanza bastanti a concepire e condurre a compimento una "lettura" completa e
organicamente articolata dell'opera; e di questi, troppi sono restati contenti alla resa
del sensus litteralis, alla pura illustrazione del dato narrativo, evitando più o meno
consapevolmente di cimentarsi nel compito arduo ma fondamentale di dar linea e colore al
portato anagogico del testo.
Non così, direi, Achille Incerti: che in molte delle sue
tele privilegia proprio l'elemento figurale, il più delle volte intervenendo audacemente
ad aggiornarne le simbologie là dove gli pare che la patina degli anni possa sottrarre
forza all'intenzione del poeta. Si veda, per esempio, il suo Lucifero: non più
apparizione granguignolesca, spauracchio per anime semplici, e pertanto realizzazione
grafica risibile per l'uomo d'oggi: ma un Lucifero arcimboldesco, strutturato con tutti i
micidiali, sofisticati strumenti di morte del secolo XX: bombe, testate nucleari, missili.
Gli incubi quotidiani di ognuno di noi sono qui assemblati a rappresentare un'idea del
male che, come un tempo il mostruoso digrignante osceno pipistrello di tantissime
figurazioni, realizza pienamente l'intento di turbare l'osservatore.
Ma al di là delle soluzioni figurative via via adottate,
al di là dei singoli esiti ora più ora meno convincenti ma sempre meditati e inediti, il
ciclo dantesco di Incerti presenta non pochi titoli di suggestiva originalità.
Colpisce, anzitutto, la coerenza d'impianto e di
svolgimento dell'opera nel suo complesso: al punto che resta difficile credere ch' essa
abbia preso forma nel lungo spazio temporale di un ventennio, e che sia frutto di un
occasionale incontro fra il poeta e il pittore. D'altra parte la profondità
dell'approccio conduce a supporre una familiarità di intensa e lunga frequentazione,
sorretta fra l'altro da un'adeguata formazione culturale: formazione che Incerti non
possedeva al momento dell'incontro con la Commedia, e forse non possiede interamente
neppure oggi.
Resta il fatto che la sua interpretazione del poema, o
almeno i momenti più felici del suo appassionato "commento", presuppongono e
illustrano acquisizioni critiche di notevole livello specialistico. Ma si sa quanta forza
posseggano intuito e sumpàtheia d'artista. Certo è che colori e forme dell'Inferno
-crude e taglienti atmosfere tutte in bruno e rosso, armi e sbarre e temibili lame
-impongono lo stigma di una violenza esclusivamente e squisitamente umana, inventata
dall'uomo per l'uomo e in contrappasso riciclata a suo eterno danno: una lettura dunque
della prima cantica che penetra piuttosto a fondo nell'intenzione dantesca.
Così nel Purgatorio: colori di timbro metallico, acceso,
che si fanno appena più caldi in prossimità del Paradiso terrestre; paesaggi stilizzati
agli estremi della geometria solida; atmosfere di un plein air visionario che
intenzionalmente trascende ogni grossolana rispondenza naturalistica, convergono a
rappresentare suggestivamente un "secondo regno" nel quale i richiami alla vita
terrena, quei richiami così fitti e pressanti nel testo dantesco, vengono figuralmente
significati da forme e oggetti del paesaggio umano trasferiti in dimensione metafisica.
Sempre teso, come pochissimi altri pittori, al sensus
anagogicus del poema, Incerti realizza infine un Paradiso tramato sulle dominanti della
luce, della circolarità, dell'interconnessione di tinte e di sfere; e gli accenni,
coloristicamente più corposi, a una lussureggiante naturalità, oltre a costituire uno
specifico richiamo alle bellezze del mondo umano, intendono evidentemente promuovere
nell'osservatore, a mezzo di una fruizione visiva convincente perché non definita in
termini troppo banalmente naturalistici, una più immediata accessibilità del
"premio" eterno riservato al "novo peregrin d'amore".
Quella di Incerti si propone dunque, ed è di fatto, come
una delle più originali e insieme fedeli lecturae figurative del poema dantesco;
costituendo naturalmente, nel contempo, l'ulteriore e certo non ultima testimonianza della
vitalità artistica e ideologica del "poema sacro": un'opera che, a distanza di
così tanti secoli, riesce a trasmettere ancora, immutato nella sostanza, l'altissimo
messaggio che ne ispirò e ne sorresse la mirabile concezione.
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