EPICUREI

 

La dottrina filosofica di Epicuro di Samo e della sua scuola, fondata alla fine del IV secolo a.C. e fiorente almeno fino al II secolo d.C. sia nel mondo greco che in quello romano, viene trasmessa dal maestro ai primi discepoli inizialmente a Mitilene, intorno al 312 a.C. poi a Lampsaco, sull’Ellesponto il κηπος arriva infine, attorno al 306 a.C. ad Atene.

Metrodoro e Colote di Lampsaco ed Ermarco di Mitilene, successore di Epicuro nella guida del “Giardino”, sono i primi ed i principali esponenti della scuola, la cui dottrina riesce a diffondersi in tutto il mondo antico.

Essenza delle cose sono, per Epicuro, gli atomi che, infiniti dal punto di vista quantitativo, si muovono nel vuoto infinito, andando a costituire le forme o figure dei corpi indivisibili, anch’esse di numero finito (concepibile persino dalla mente umana). Gli atomi, poi, essendo grandezze, sono riducibili idealmente a minimi matematici e dotati di un movimento eterno, che non è una disordinata dispersione, ma una caduta verticale, soggetta ad una quasi impercettibile declinazione (κλινάμην), che rende possibile la loro combinazione. La verità delle sensazioni è assicurata, nonostante le caratteristiche fondamentali degli atomi: essi sono impercettibili ed inalterabili; vi sono infatti proprietà interne dei corpi sensibili e di quelli intelligibili (come figura, grandezza e peso) e proprietà sintomali (come caldo e freddo, dolce e amaro…), che riguardano esclusivamente i corpi sensibili.

La dottrina dei principi e delle cause intelligibili, spiegando i fenomeni più vicini alla sensibilità, definisce anche quelli più lontani del cielo, riconducibili parimenti al moto degli atomi. Riconducendo la totalità delle cose e dei fenomeni sono allora annullati tutti i timori, incluso quello della morte, che si traduce in una mera insensibilità.

Un’etica della serenità viene allora costruita sul sapere dei principi, sulla conoscenza della natura delle cose e dei fenomeni: il fine della vita beata è la privazione del dolore fisico (απονία) e di quello morale (αταραξία). Il “piacere” di Epicuro, dunque, è di natura privativa e sono radicati nella fermezza d’animo dell’individuo (κατάστασις).

Il più autentico rappresentante delle dottrine epicuree a Roma è indubbiamente Lucrezio, il cui poema De rerum natura diventa occasione, interpretazione, difesa e divulgazione dell’epicureismo. Cicerone, insieme con Tito Pomponio Attico, seguace dell’epicureismo, determina sostanzialmente la pubblicazione dell’opera, dopo la morte dell’autore; l’Arpinate muove in seguito una dura polemica contro la dottrina.

 

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