SCETTICI
La corrente
filosofica dello scetticismo, caratterizzata da un atteggiamento che nega ogni
possibilità di conoscere il vero, sorge e si sviluppa nel mondo antico fra il IV
secolo a.C. ed il II secolo d.C.; essendo tradizionalmente suddiviso in tre
fasi:
-
Pirronismo: la prima fase, ricondotta a Pirrone e
a Timone di Fliunte si colloca tra la seconda metà del IV secolo a.C. e il
secolo III a.C. La scepsi, in questo primo momento, diventa negazione
dell’esistenza di un significato assoluto della realtà: è allora più
opportuno che il saggio rimanga senza parole, arrivando all’αφασία, ovvero
l’interruzione di ogni discorso positivo e dal punto di vista pratico, l’αταραξία,
ossia l’imperturbabilità, capaci, di dare all’uomo la felicità e realizzare
il fine ultimo dell’indagine filosofica.
-
Scetticismo dell’Accademia: la seconda fase si
innesta nell’Accademia platonica con Arcesilao di Pitane e Carneade nei
secoli III e II a.C.; in questo momento le posizioni dello scetticismo si
fanno più radicali, non viene enunciata una verità, ma la scuola si limita a
confutare le tesi dei dogmatisti, in particolare gli stoici; a tale fine, è
indispensabile assumere un atteggiamento di εποχή (sospensione del
giudizio), che potrebbe andare a compromettere anche lo stesso discorso
degli scettici: non è possibile nemmeno affermare di non sapere. Guida
dell’azione diventano il criterio del “ragionevole” di Arcesilao e del
“persuasivo” di Carneade, che rimangono solamente un orientamento alla
prassi, con il riconoscimento di ciò che è opportuno, secondo la
considerazione di un numero di ragioni (probabilismo).
-
Neoscetticismo: la terza fase si estende dalla
fine del I secolo a.C. all’intero secolo II d.C., suddividendosi nel
neopirronismo dialettico di Enesidemo e di Agrippa, e nel neopirronismo
empirico di Sesto. La ricerca del neoscetticismo si orienta a questo punto
sul problema dell’εποχή, con la formulazione di τρόποι, obiezioni opponibili
ai dogmatismi, in qualità di negazioni radicali dell’esistenza del vero, non
come criterio dogmatico di verità, ma come negazioni che annullano anche
loro stesse, eliminando il valore di verità persino al loro negare.
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