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Sette volte sette
Giorgio Pressburger, Di vento e di fuoco, Torino, Einaudi, 2000

Di Graziano Pampaloni

 

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a Erzsébet

 

Cercare di risalire alle origini della propria realtà, ripercorrere la genealogia, in fondo è un tentativo di trovare un senso, un ordine "cosmos" nei confronti di qualcosa che si presenta per lo più sconosciuto, spesso intricato e come un vuoto che interroga "caos". Questo fa anche Sara, una settimana prima di partorire, richiedendo informazioni alla madre e ad alcune donne che hanno avuto relazioni col padre. E pur scatenando un inferno (p.122), viene a sapere i nomi e le vicende di molte persone in qualche modo legate al padre e quindi in relazione anche con lei. Ma, come spesso avviene nelle vicende umane, rimane qualcosa di oscuro e incerto:

In questi giorni ho appreso tante cose attraverso le lettere e gli altri messaggi che mi sono arrivati. La mia origine, l'antefatto della mia vita, ora mi è un po' più chiara e nello stesso tempo più confusa (p.123).

Tutto ciò costituisce l'artificio narrativo che usa l'autore per costruire un romanzo che, tuttavia, presenta molte questioni sia nell'intreccio che nella simbologia. Qui si cercherà di districare qualche nodo. Il testo si presenta come appartenente al genere epistolare, ma è costruito in maniera curiosa, infatti il narratore si presenta come:
1. un cronografo che scandisce i 7 giorni, che, in verità, risultano 8 (in sintonia con la tradizione ebraica che calcola il giorno da sera a sera), infatti nel settimo giorno Sara si rende conto che ora è l'alba (p.123);
2. un suddivisore delle giornate nella sequenza canonica di Mattina-Mezzogiorno/-Pomeriggio-Sera-(Notte-Alba), ma nella quinta giornata a una Sera (p.91) segue Pomeriggio, per due volte (p.95), e un'altra Sera (p.101);
3. una voce, fuori campo, che introduce l'antefatto (p.3), dà alcune spiegazioni (p.19; p.30; p.81; p.105), ma in chiusura (p.123) invece rientra nella scansione con cui
4. un ordinatore numera i vari messaggi, per un totale di 31, che in realtà sono 28 (è il risultato della somma dei numeri da 1 a 7), perché il 26 (p.117) rompe il messaggio 25, il 30 risulta qualcosa di estraneo e il 31 non è una missiva; poi
5. ci sono quattro voci, ma in verità sono 5, dato che una contiene anche la voce del padre; di queste voci solo 3 sono richieste da Sara, la quarta è convocata (p.32) dall'ordinatore; inoltre
6. l'unico testo di Sara (pp.122-123) non è una lettera ma una pagina personale, il che fa presupporre un diario più che una raccolta epistolare; infine
7. la settimana: sono gli ultimi momenti di questo secolo (p.112), sembra appartenere al 2000 (1) , ma è antecedente di dieci anni, infatti Rachele dice: Quattro anni dopo la mia nascita, scoppiò una guerra spaventosa (p.58), dunque è nata nel 1935 (2). E ho cinquantacinque anni, [...] ho cinquantacinque anni (p.33), evidentemente 1990. Simile continua e sistematica 'frattura' di una regolarità rimette molto probabilmente a un senso generale: la vita stessa non è mai univoca, sequenziale. Se si trascura la data, affiora il numero 6, simbolo dell'imperfezione: la caratteristica degli umani. Ma probabilmente questo aspetto contraddittorio rimette alle peculiarità del protagonista: Andreas, il cui vero nome era [...] Gershon (p.25): il padre di Sara. Egli è un essere segnato in molti modi. Subisce un trauma tremendo a 12 anni a causa del nazifascismo: assassinio scientificamente progettato e realizzato (p.24), che gli deporta e poi uccide il padre e fa impazzire la madre, che, con il suo triplice tentativo di suicidarsi all'irruzione dei tedeschi, mia madre, voleva lasciarci soli, soli, soli (p.35), induce in lui un ulteriore trauma, quello dell'essere abbandonato: il mio ottuso terrore di perderla (p.107), il terrore dell'abbandono mi perseguita (p.109). Dopo un'esperienza che ne rafforza l'istinto aggressivo, lo addestrarono subito a difendersi e ad attaccare (p.36), in un paese dove erano nati mille anni prima i suoi antenati (Israele, Germania Orientale, Polonia, Ucraina?), viene adottato da una famiglia statunitense. Diventa ufficiale dell'aviazione e, la guerra era finita da dieci anni (p.20), nel 1955 a Palermo, incontra Sara(3) , una bella ragazza di ventidue anni (p.19), che poi sposa, ritorna negli Usa, dove ha un'amante, una indossatrice bellissima (p.84) e, all'improvviso, nel '61 lascia la moglie, senza sapere che è incinta, né lui né io lo sapevamo (p.38), chiede il divorzio e scompare. Si mette a studiare e diventa un professore di scienze, nel frattempo ha varie avventure sessuali, ma incontra Rachele, un'attrice, la prima donna, nella mia vita, che non somiglia a mia madre (p.98), con cui si sposa e fa, volutamente, un figlio: Gabriele, ma dopo dieci anni di matrimonio (p.31), l'abbandona per ritornare dalla prima moglie, già dichiarata vedova. In seguito incontra altre passioni, in particolare per un'aristocratica croata, nata nel 1946. Finí anche quella guerra [...] un anno dopo nacqui io (p.78), Rivcà, che induce ad abortire: feci in modo che quel bambino non nascesse (pp.114-115), ed infine con una disegnatrice, Lia, nata nel 1954. Allora [nel 1968] avevo quattordici anni (p.49). Si ritira nel deserto palestinese a Safed(4) dove si dedica all'ascesi per intraprendere il Viaggio celeste (p.82) ed ha una visione che, prima di morire, a Gerusalemme, vuol riferire alla figlia (p.91): ho fatto quello che ho fatto, soltanto per te, per il tuo mondo. E per i tuoi figli e per i figli dei figli (p.87). Si potrebbe dire che alla tradizionale tripartizione indoeuropea (scriba, militare, artigiano)(5) qui si aggiunge la condizione di trauma, di ferita insanata, che scatena il perenne mutare, la fuga, la sofferenza e lo stato di continuo disagio che caratterizza Andreas, anche perché autocentrato: Pensavo soltanto a me (p.87) e in ogni caso Gershon: cioè "straniero là" (p.25), quindi perennemente estraneo e in preda a una spinta continua ad errare (p.73). Ma non solo spazialmente, soprattutto razionalmente e metafisicamente, alla ricerca del senso, del fondamento:

Devo capire dove si nasconde il Principio (p.39), per sottrarmi alla penosa percezione dell'insensatezza (p.90). Dovevo raggiungere quell'unico essere che aveva dato origine a tutto, di cui, dentro di me, mi sono sempre considerato un interlocutore (p.90).

Sette sono le donne (ancora una volta questo numero, anche se l'autore se ne serve sempre sottolineandone l'ambiguità: completezza non comporta perfezione) con cui Andreas ha un rapporto complesso: la Madre, l'Indossatrice, Sara moglie, Rachele, Rivcà, Lia e Sara figlia(6) . Della madre, ridotta a una larva (p.36) dagli eventi della Storia (ibid.), è la follia ad impadronirsi, riducendola all'afasia; l'unica parola che riuscirà a ripetere, sarà amore (p.43). Si trasforma nella controfigura della "pazzia" di Andreas, non a caso essa muore nello stesso giorno del figlio. L'aveva accompagnato, da lontano, in tutta la vita (p.123). Neanche dell'Indossatrice ci sono messaggi, per come è rappresentata sembra adombrare la Lilith della tradizione midrashica, in fondo la seduttrice senza scrupoli. Di Sara figlia si trova una riflessione (pp.122-123) ma è dal suo bisogno che prende avvio il carteggio delle altre quattro donne. Esse rappresentano i quattro temperamenti, che insieme fanno l'essere umano (p.117). D'altra parte nella tradizione ebraica l'uno significa l'uomo, il quattro la donna. Dalle loro lettere e dai messaggi si delinea uno scenario quadruplice che si allarga ai genitori delle donne e di Andreas, per cui 7 sono le coppie menzionate: 5 di genitori effettivi e 2 di adottivi (ancora una volta il numero 7 e il suo doppio), con qualche riferimento ad ulteriori antenati come un vecchio anarchico, nonno di Lia (pp.14-15), uno stupratore aristocratico di una donna sposata, la nonna di Rivcà (pp.75-76), fino ad ascendenze antichissime, per un albero genealogico che risale al mondo grecolatino (p.41), o addirittura mitiche cinquemilasettecento anni fa (p.41): rimandanti ad Adamo ed Eva. Lo scenario che si apre riguarda vicende di persone di tutto l'occidente, in un panorama spazio-temporale molto vasto anche se, complessivamente, riconducibile ad un periodo di circa 100 anni, da fine 800 a fine 900, con uno sguardo privilegiato alla I e alla II guerra mondiale, e al secondo dopoguerra. Tutti eventi che influirono profondamente nelle storie personali dei vari personaggi. Quello che però risalta, al di là delle storie, è l'emergere, come portato significativo, della mescolanza di persone, cromosomi, culture, lingue, religioni, tradizioni, gastronomie, civiltà, a produrre realtà sempre nuove. Un tema del libro è proprio la celebrazione del misurare come via che moltiplica le qualità e le possibilità. Infatti è proprio la varietà a permettere la curiosità, la domanda per sapere e di conseguenza la risposta che è il raccontare, quella descrizione privilegiata che produce la scoperta, in fondo la ricostruzione di un percorso che conduce ad un'origine e ad una rivelazione: chi e che cosa si è. Ecco perché il libro insiste, fin dall'inizio, su questi aspetti. Basti osservare la sezione iniziale (p.3), nelle prime 19 righe:

  • il campo del quesito: mi poni delle domande sulle tue origini / chi ti ha dato la vita / come sei venuta al mondo;

  • il campo del narrare: devo risponderti / Hai diritto di sapere / proverò a raccontarti / Il mio racconto / voglio parlarti / Ti voglio parlare / Sappi;

  • il campo dello svelamento: tu lo conosci poco / non ne ho più notizie / Sai abbastanza poco / li hai conosciuti / li hai visti.

Ma già la lettera: Sua madre le scrisse una lettera (incipit, p.3) è una risposta, non a caso appare la storia che sentirai (riga 20, p.4), in quanto la storia, che è visione, è anche racconto, solo chi conosce può narrare. Questa relazione vedere/riferire diventa ossessiva in Andreas. Ma, sotto la domanda, giace il tema della ricerca, cioè del viaggio, nella triplice accezione di:

  • ricerca del proprio passato: è invece bene che tu gli possa tramandare ciò che ti scrivo: anche lui, un giorno, dovrà mettersi in cerca del mondo e di se stesso (p.9);

  • ricerca dello stare nel mondo, dato che gli eventi della Storia determinano, spesso, a nostra insaputa e senza nostro intervento, la nostra storia personale. Quindi della condizione umana non a caso paragonata a un vagare nella solitudine: andare, muoversi nella brughiera: questa è la vita della maggior parte dell'umanità (p.4);

  • ricerca del fondamento del tutto: il Volto inconoscibile dell'Eterno (p.110).

Così si intrecciano nel testo le storie delle persone, delle famiglie, i richiami alla Storia, la ricerca spirituale: il viaggio che Andreas intraprende ma che anche la figlia un giorno compirà:
Sento che lo cercherò anch'io, ora o tra qualche anno, forse alla fine dei miei giorni. La nascita del bambino penso che già faccia parte di questa ricerca. Il resto dovrò faticosamente ricostruirlo in me, nell'intimo (p.123).
È questo il tema più ampiamente sviluppato, nel libro, attraverso la ricerca di Andreas: La sete di conoscenza ci spinge oltre. Non avanti, oltre (p.73). Simile riferimento ad un oltre rimanda alla tradizione ulissica, dell'incessante spinta verso un bisogno, inevaso, di risposta. Le vie percorse da Andreas sono quelle che tradizionalmente hanno esercitato gli umani: il bellico, il sesso, la scienza, che non a caso corrispondono alle modalità praticate da Andreas nella sua vita, anche se non conducono ad alcun risultato: Ho penato inutilmente. Più passava il tempo, più cresceva la mia angoscia. Di nuovo dovevo fuggire. Fuggire da tutti e da tutte (p.89). Questo spiega come l'essere ferito, traumatizzato, tenti: Decisi di tornare su antiche strade (p.89), come ultima via il percorso ascetico, che, non a caso, richiede un tirocinio lungo e martoriante, con i topoi dell'isolamento: sono sparito dal mondo (p.82), Ho cancellato le mie tracce. Sono fuggito. (p.82), Mi misi a sedere nel deserto (p.89); della rottura col passato: Avevo escluso l'intera mia vita dai miei pensieri (p.90); dello studio: Per cinque anni, giorno e notte, ho letto gli antichi testi (p.82), Di nuovo mi misi a studiare (p.89); del digiuno: Dopo mesi di digiuno (p.91), quanto tempo fosse passato dall'inizio del digiuno non lo ricordavo più. Dovevano sicuramente essere stati centoventi giorni e notti, più uno (p.101); della preghiera: Pregavo sulle loro tombe, gridando, invocando, per notti e notti (p.82), ricominciavo le mie preghiere fatte di suoni privi di significato (p.102); della nekya, la catabasi ad mortuos, di tradizione antichissima in occidente: Per cinque anni ogni giorno, ogni notte ho visitato il cimitero dove sono seppelliti i grandi sapienti (p.82), io aprii quella tomba, ripresi quel libro (p.101); dell'apprendimento di una tecnica: Ogni giorno, per quindici ore, ho ascoltato gli insegnamenti per conoscere le vie e ascendere fino al Tribunale (p.82), tale da permettere l'ascesa, cioè l'andare oltre se stessi, mediante un viaggio celeste: Prendo ad alzarmi da terra, è una sensazione naturale, senza meraviglia. Mi alzo sempre di più, sempre più in alto (p.102) per accedere al principio ultimo. È evidente, tuttavia, che la salita avviene non tanto mediante una pratica ascetica di fede, quanto piuttosto come pratica esoterica. I riferimenti a Enoch (p.101), fra l'altro settimo patriarca biblico, ma anche rimandante agli scritti che a lui si richiamano, non a caso appartenenti ai libri "hisonim" (= che sono al di fuori, apocrifi, e quindi non accettati nel canone sia per ebrei che cristiani); a Metatron (p.105) l'angelo del Volto; l'ossessione numerica che si stende lungo tutto il testo e rinviante ad una ghematria, di tradizione qabbalistica, interpretativa delle valenze simboliche delle cifre, sono le spie più eclatanti di un processo razionale e mentale piuttosto di quello a-razionale, tipico della mistica. Per certi versi il viaggio di Andreas è il percorso, escluso ai profani, di un essere eletto: Perché proprio a me è stato concesso tutto questo? (p.103). Andreas, infatti, è un uomo che possiede un'aura che lo distingue e che seduce, ed è ciò che le donne subito notano:

Poteva essere un uomo davvero insignificante, ma era vero, terribilmente, pesantemente vero. Questa verità si diffondeva intorno a lui come un alone luminoso: per un istante lo vidi avvolto da fiamme iridescenti ;(Lia, p.14); avevo l'impressione che dovesse esserci nel suo mondo interiore qualcosa di eccezionalmente forte, che mi incuriosiva (Sara, p.21); aveva qualcosa di molto strano, un alone intorno alla sua persona, non saprei come dirlo in altro modo (Rachele, p.32); Sentivo come uno spessore, come un alone intorno a lui (Rivcà, p.42).(7) (8) (9) (10).

NOTE

(1) - Così pensa, ad es, R. Ceserani, Donne in amore di un errante, in: "Il Manifesto", 14 dicembre 2000. Riprendi la lettura
(2) - Dato che sia nella prima che nella seconda mondiale l'Italia entrò in guerra un anno dopo l'inizio, si potrebbe anche spostare in avanti di un anno sia la nascita di Rachele, che viveva in territorio italiano, sia la venuta in Italia della nonna di Sara (p.6) e il suo matrimonio (p.9). Quindi i 7 giorni andrebbero collocati nel 1991, fra l'altro l'anno della guerra del Golfo e dell'implosione della Russia bolscevica: Ora tutto è in movimento, ovunque scoppiano guerre (p.4). Tutto si sta riorganizzando ora, sul nostro pianeta (p.58). Riprendi la lettura
(3) - L'opzione dell'autore per l'omonimia fra madre e figlia genera una sottile sfumatura di ambiguità. Riprendi la lettura
(4) - È la città per antonomasia della tradizione qabbalistica, dove si ritirò il grande Lurija. Riprendi la lettura
(5) - Ma vale la pena ricordare che anche per Baudelaire solo santo, militare e poeta, proprio perché sanno sacrificarsi per un futuro, danno senso alla vita. Riprendi la lettura
(6) - Essendo i nomi tutti biblici, anche se non in ordine, secondo l'opzione dell'autore, si potrebbe anche ipotizzare una simbologia del genere: Madre = Eva, Indossatrice = Lilith, Sara madre = Sara moglie di Abramo, Rachele = Agar schiava di Abramo (non a caso viene abbandonata e del figlio, Gabriele = Ismaele, non abbiamo una parola), Rivcà = Rebecca moglie di Isacco, Lia e Sara figlia = Lia e Rachele mogli di Giacobbe. Mentre Andreas = Adamo (generatore), Abramo (errante), Isacco (traumatizzato), Giacobbe (lottatore). Riprendi la lettura
(7) - B. Marniti, Più forte è la vita, pref. di G. Ungaretti., "Lo Specchio", Milano, Mondadori, 1957. Riprendi la lettura
(8) - O. Sobrero, L'infini contre rien, in Letteratura, n. 35 - 36, pp. 358 - 359. Riprendi la lettura
(9) - G.Ungaretti, Vita di un uomo. Saggi e interventi, a cura di Mario Diacono e Luciano Rebay, Milano, Mondadori, 1986, IV ed., p.948, p. 430 -450 ove è riportato il seguito del discorso con il titolo Immagini del Leopardi e nostre, quale fu pubblicato in "Nuova Antologia", Roma, a. 78, fasc. 1702, 16 febbraio 1943, pp. 221 - 232, ma acefalo dell'inizio qui riproposto. Riprendi la lettura
(10) - G. Bartolozzini, Il professor Ungaretti, in "Atti del Convegno Internazionale su G. Ungaretti", Urbino, 3-6 ottobre 1979, Ed. 4 Venti, 1981, vol. I,. pp. 381-395. Riprendi la lettura

 

 

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