a Erzsébet
Cercare di risalire alle origini della propria realtà,
ripercorrere la genealogia, in fondo è un tentativo di trovare un
senso, un ordine "cosmos" nei confronti di qualcosa che si presenta
per lo più sconosciuto, spesso intricato e come un vuoto che interroga
"caos". Questo fa anche Sara, una settimana prima di partorire,
richiedendo informazioni alla madre e ad alcune donne che hanno
avuto relazioni col padre. E pur scatenando un inferno
(p.122), viene a sapere i nomi e le vicende di molte persone in
qualche modo legate al padre e quindi in relazione anche con lei.
Ma, come spesso avviene nelle vicende umane, rimane qualcosa di
oscuro e incerto:
In questi giorni ho appreso
tante cose attraverso le lettere e gli altri messaggi che mi sono
arrivati. La mia origine, l'antefatto della mia vita, ora mi è
un po' più chiara e nello stesso tempo più confusa (p.123).
Tutto ciò costituisce l'artificio narrativo che usa l'autore
per costruire un romanzo che, tuttavia, presenta molte questioni
sia nell'intreccio che nella simbologia. Qui si cercherà di districare
qualche nodo. Il testo si presenta come appartenente al genere epistolare,
ma è costruito in maniera curiosa, infatti il narratore si presenta
come:
1. un cronografo che scandisce i 7 giorni, che, in verità,
risultano 8 (in sintonia con la tradizione ebraica che calcola il
giorno da sera a sera), infatti nel settimo giorno Sara si rende
conto che ora è l'alba (p.123);
2. un suddivisore delle giornate nella sequenza canonica
di Mattina-Mezzogiorno/-Pomeriggio-Sera-(Notte-Alba),
ma nella quinta giornata a una Sera
(p.91) segue Pomeriggio, per due volte
(p.95), e un'altra Sera (p.101);
3. una voce, fuori campo, che introduce l'antefatto (p.3),
dà alcune spiegazioni (p.19; p.30; p.81; p.105), ma in chiusura
(p.123) invece rientra nella scansione con cui
4. un ordinatore numera i vari messaggi, per un totale di
31, che in realtà sono 28 (è il risultato della somma dei numeri
da 1 a 7), perché il 26 (p.117) rompe il messaggio 25, il 30 risulta
qualcosa di estraneo e il 31 non è una missiva; poi
5. ci sono quattro voci, ma in verità sono 5, dato che una
contiene anche la voce del padre; di queste voci solo 3 sono richieste
da Sara, la quarta è convocata (p.32) dall'ordinatore; inoltre
6. l'unico testo di Sara (pp.122-123) non è una lettera
ma una pagina personale, il che fa presupporre un diario più che
una raccolta epistolare; infine
7. la settimana: sono gli ultimi momenti
di questo secolo (p.112), sembra appartenere al 2000 (1)
, ma è antecedente di dieci anni, infatti Rachele dice: Quattro
anni dopo la mia nascita, scoppiò una guerra spaventosa (p.58),
dunque è nata nel 1935 (2).
E ho cinquantacinque anni, [...] ho
cinquantacinque anni (p.33), evidentemente 1990. Simile continua
e sistematica 'frattura' di una regolarità rimette molto probabilmente
a un senso generale: la vita stessa non è mai univoca, sequenziale.
Se si trascura la data, affiora il numero 6, simbolo dell'imperfezione:
la caratteristica degli umani. Ma probabilmente questo aspetto contraddittorio
rimette alle peculiarità del protagonista: Andreas,
il cui vero nome era [...] Gershon
(p.25): il padre di Sara. Egli è un essere segnato in molti modi.
Subisce un trauma tremendo a 12 anni a causa del nazifascismo: assassinio
scientificamente progettato e realizzato (p.24), che gli
deporta e poi uccide il padre e fa impazzire la madre, che, con
il suo triplice tentativo di suicidarsi all'irruzione dei tedeschi,
mia madre, voleva lasciarci soli, soli, soli
(p.35), induce in lui un ulteriore trauma, quello dell'essere abbandonato:
il mio ottuso terrore di perderla (p.107),
il terrore dell'abbandono mi perseguita
(p.109). Dopo un'esperienza che ne rafforza l'istinto aggressivo,
lo addestrarono subito a difendersi e ad attaccare
(p.36), in un paese dove erano nati mille anni prima i suoi antenati
(Israele, Germania Orientale, Polonia, Ucraina?), viene adottato
da una famiglia statunitense. Diventa ufficiale dell'aviazione e,
la guerra era finita da dieci anni (p.20), nel 1955 a Palermo,
incontra Sara(3)
, una bella ragazza di ventidue anni
(p.19), che poi sposa, ritorna negli Usa, dove ha un'amante, una
indossatrice bellissima (p.84) e, all'improvviso, nel '61
lascia la moglie, senza sapere che è incinta, né
lui né io lo sapevamo (p.38), chiede il divorzio e scompare.
Si mette a studiare e diventa un professore di scienze, nel frattempo
ha varie avventure sessuali, ma incontra Rachele, un'attrice, la
prima donna, nella mia vita, che non somiglia a mia madre
(p.98), con cui si sposa e fa, volutamente, un figlio: Gabriele,
ma dopo dieci anni di matrimonio (p.31),
l'abbandona per ritornare dalla prima moglie, già dichiarata vedova.
In seguito incontra altre passioni, in particolare per un'aristocratica
croata, nata nel 1946. Finí anche quella guerra
[...] un anno dopo nacqui io (p.78),
Rivcà, che induce ad abortire: feci in modo
che quel bambino non nascesse (pp.114-115), ed infine con
una disegnatrice, Lia, nata nel 1954. Allora
[nel 1968] avevo quattordici anni (p.49).
Si ritira nel deserto palestinese a Safed(4)
dove si dedica all'ascesi per intraprendere
il Viaggio celeste (p.82) ed ha una visione che, prima di
morire, a Gerusalemme, vuol riferire alla figlia (p.91): ho
fatto quello che ho fatto, soltanto per te, per il tuo mondo. E
per i tuoi figli e per i figli dei figli (p.87). Si potrebbe
dire che alla tradizionale tripartizione indoeuropea (scriba, militare,
artigiano)(5)
qui si aggiunge la condizione di trauma, di ferita insanata, che
scatena il perenne mutare, la fuga, la sofferenza e lo stato di
continuo disagio che caratterizza Andreas, anche perché autocentrato:
Pensavo soltanto a me (p.87) e in ogni caso Gershon: cioè
"straniero là" (p.25), quindi perennemente estraneo e in preda a
una spinta continua ad errare (p.73). Ma non solo spazialmente,
soprattutto razionalmente e metafisicamente, alla ricerca del senso,
del fondamento:
Devo capire dove si nasconde
il Principio (p.39), per sottrarmi
alla penosa percezione dell'insensatezza (p.90).
Dovevo raggiungere quell'unico essere che aveva dato origine a
tutto, di cui, dentro di me, mi sono sempre considerato un interlocutore
(p.90).
Sette sono le donne (ancora una volta questo numero, anche se
l'autore se ne serve sempre sottolineandone l'ambiguità: completezza
non comporta perfezione) con cui Andreas ha un rapporto complesso:
la Madre, l'Indossatrice, Sara moglie, Rachele, Rivcà, Lia e Sara
figlia(6)
. Della madre, ridotta a una larva
(p.36) dagli eventi della Storia (ibid.),
è la follia ad impadronirsi, riducendola all'afasia; l'unica parola
che riuscirà a ripetere, sarà amore
(p.43). Si trasforma nella controfigura della "pazzia" di Andreas,
non a caso essa muore nello stesso giorno del figlio.
L'aveva accompagnato, da lontano, in tutta la vita (p.123).
Neanche dell'Indossatrice ci sono messaggi, per come è rappresentata
sembra adombrare la Lilith della tradizione midrashica, in fondo
la seduttrice senza scrupoli. Di Sara figlia si trova una riflessione
(pp.122-123) ma è dal suo bisogno che prende avvio il carteggio
delle altre quattro donne. Esse rappresentano i quattro
temperamenti, che insieme fanno l'essere umano (p.117). D'altra
parte nella tradizione ebraica l'uno significa l'uomo, il quattro
la donna. Dalle loro lettere e dai messaggi si delinea uno scenario
quadruplice che si allarga ai genitori delle donne e di Andreas,
per cui 7 sono le coppie menzionate: 5 di genitori effettivi e 2
di adottivi (ancora una volta il numero 7 e il suo doppio), con
qualche riferimento ad ulteriori antenati come un vecchio anarchico,
nonno di Lia (pp.14-15), uno stupratore aristocratico di una donna
sposata, la nonna di Rivcà (pp.75-76), fino ad ascendenze antichissime,
per un albero genealogico che risale al mondo grecolatino (p.41),
o addirittura mitiche cinquemilasettecento
anni fa (p.41): rimandanti ad Adamo ed Eva. Lo scenario che
si apre riguarda vicende di persone di tutto l'occidente, in un
panorama spazio-temporale molto vasto anche se, complessivamente,
riconducibile ad un periodo di circa 100 anni, da fine 800 a fine
900, con uno sguardo privilegiato alla I e alla II guerra mondiale,
e al secondo dopoguerra. Tutti eventi che influirono profondamente
nelle storie personali dei vari personaggi. Quello che però risalta,
al di là delle storie, è l'emergere, come portato significativo,
della mescolanza di persone, cromosomi, culture, lingue, religioni,
tradizioni, gastronomie, civiltà, a produrre realtà sempre nuove.
Un tema del libro è proprio la celebrazione del misurare come via
che moltiplica le qualità e le possibilità. Infatti è proprio la
varietà a permettere la curiosità, la domanda per sapere e di conseguenza
la risposta che è il raccontare, quella descrizione privilegiata
che produce la scoperta, in fondo la ricostruzione di un percorso
che conduce ad un'origine e ad una rivelazione: chi e che cosa si
è. Ecco perché il libro insiste, fin dall'inizio, su questi aspetti.
Basti osservare la sezione iniziale (p.3), nelle prime 19 righe:
il
campo del quesito: mi poni delle domande
sulle tue origini / chi ti ha dato la vita / come sei venuta al
mondo;
il
campo del narrare: devo risponderti / Hai
diritto di sapere / proverò a raccontarti / Il mio racconto /
voglio parlarti / Ti voglio parlare / Sappi;
il
campo dello svelamento: tu lo conosci poco
/ non ne ho più notizie / Sai abbastanza poco / li hai conosciuti
/ li hai visti.
Ma già la lettera: Sua madre
le scrisse una lettera (incipit, p.3) è una risposta, non
a caso appare la storia che sentirai
(riga 20, p.4), in quanto la storia, che è visione, è anche racconto,
solo chi conosce può narrare. Questa relazione vedere/riferire diventa
ossessiva in Andreas. Ma, sotto la domanda, giace il tema della
ricerca, cioè del viaggio, nella triplice accezione di:
ricerca del proprio passato: è invece bene
che tu gli possa tramandare ciò che ti scrivo: anche lui, un giorno,
dovrà mettersi in cerca del mondo e di se stesso (p.9);
ricerca
dello stare nel mondo, dato che gli eventi della Storia determinano,
spesso, a nostra insaputa e senza nostro intervento, la nostra
storia personale. Quindi della condizione umana non a caso paragonata
a un vagare nella solitudine: andare, muoversi
nella brughiera: questa è la vita della maggior parte dell'umanità
(p.4);
ricerca
del fondamento del tutto: il Volto inconoscibile
dell'Eterno (p.110).
Così si intrecciano nel testo le storie delle persone,
delle famiglie, i richiami alla Storia, la ricerca spirituale: il
viaggio che Andreas intraprende ma che anche la figlia un giorno
compirà:
Sento che lo cercherò anch'io, ora o tra qualche
anno, forse alla fine dei miei giorni. La nascita del bambino penso
che già faccia parte di questa ricerca. Il resto dovrò faticosamente
ricostruirlo in me, nell'intimo (p.123).
È questo il tema più ampiamente sviluppato, nel libro, attraverso
la ricerca di Andreas: La sete di conoscenza
ci spinge oltre. Non avanti, oltre (p.73). Simile riferimento
ad un oltre rimanda alla tradizione ulissica, dell'incessante spinta
verso un bisogno, inevaso, di risposta. Le vie percorse da Andreas
sono quelle che tradizionalmente hanno esercitato gli umani: il
bellico, il sesso, la scienza, che non a caso corrispondono alle
modalità praticate da Andreas nella sua vita, anche se non conducono
ad alcun risultato: Ho penato inutilmente.
Più passava il tempo, più cresceva la mia angoscia. Di nuovo dovevo
fuggire. Fuggire da tutti e da tutte (p.89). Questo spiega
come l'essere ferito, traumatizzato, tenti: Decisi
di tornare su antiche strade (p.89), come ultima via il percorso
ascetico, che, non a caso, richiede un tirocinio lungo e martoriante,
con i topoi dell'isolamento: sono
sparito dal mondo (p.82), Ho cancellato
le mie tracce. Sono fuggito. (p.82),
Mi misi a sedere nel deserto (p.89); della
rottura col passato: Avevo escluso
l'intera mia vita dai miei pensieri (p.90); dello
studio: Per cinque anni, giorno e notte,
ho letto gli antichi testi (p.82),
Di nuovo mi misi a studiare (p.89); del digiuno:
Dopo mesi di digiuno (p.91),
quanto tempo fosse passato dall'inizio del digiuno non lo ricordavo
più. Dovevano sicuramente essere stati centoventi giorni e notti,
più uno (p.101); della preghiera:
Pregavo sulle loro tombe, gridando, invocando,
per notti e notti (p.82), ricominciavo
le mie preghiere fatte di suoni privi di significato (p.102);
della nekya, la catabasi ad mortuos,
di tradizione antichissima in occidente: Per
cinque anni ogni giorno, ogni notte ho visitato il cimitero dove
sono seppelliti i grandi sapienti (p.82),
io aprii quella tomba, ripresi quel libro (p.101); dell'apprendimento
di una tecnica: Ogni giorno, per quindici
ore, ho ascoltato gli insegnamenti per conoscere le vie e ascendere
fino al Tribunale (p.82), tale da permettere l'ascesa,
cioè l'andare oltre se stessi, mediante un viaggio celeste: Prendo
ad alzarmi da terra, è una sensazione naturale, senza meraviglia.
Mi alzo sempre di più, sempre più in alto (p.102) per accedere
al principio ultimo. È evidente, tuttavia, che la salita avviene
non tanto mediante una pratica ascetica di fede, quanto piuttosto
come pratica esoterica. I riferimenti a Enoch
(p.101), fra l'altro settimo patriarca biblico, ma anche rimandante
agli scritti che a lui si richiamano, non a caso appartenenti ai
libri "hisonim" (= che sono al di fuori, apocrifi, e quindi non
accettati nel canone sia per ebrei che cristiani); a Metatron
(p.105) l'angelo del Volto; l'ossessione numerica che si stende
lungo tutto il testo e rinviante ad una ghematria, di tradizione
qabbalistica, interpretativa delle valenze simboliche delle cifre,
sono le spie più eclatanti di un processo razionale e mentale piuttosto
di quello a-razionale, tipico della mistica. Per certi versi il
viaggio di Andreas è il percorso, escluso ai profani, di un essere
eletto: Perché proprio a me è stato concesso
tutto questo? (p.103). Andreas, infatti, è un uomo che possiede
un'aura che lo distingue e che seduce, ed è ciò che le donne subito
notano:
Poteva essere un uomo davvero insignificante,
ma era vero, terribilmente, pesantemente vero. Questa verità si
diffondeva intorno a lui come un alone luminoso: per un istante
lo vidi avvolto da fiamme iridescenti ;(Lia,
p.14); avevo l'impressione che dovesse esserci nel suo
mondo interiore qualcosa di eccezionalmente forte, che mi incuriosiva
(Sara, p.21); aveva qualcosa
di molto strano, un alone intorno alla sua persona, non saprei come
dirlo in altro modo (Rachele, p.32);
Sentivo come uno spessore, come un alone intorno a lui (Rivcà,
p.42).(7)
(8)
(9)
(10).
NOTE
(1) - Così pensa, ad es, R. Ceserani, Donne in amore di
un errante, in: "Il Manifesto", 14 dicembre 2000. Riprendi
la lettura
(2) - Dato che sia nella prima che nella seconda mondiale
l'Italia entrò in guerra un anno dopo l'inizio, si potrebbe anche
spostare in avanti di un anno sia la nascita di Rachele, che viveva
in territorio italiano, sia la venuta in Italia della nonna di Sara
(p.6) e il suo matrimonio (p.9). Quindi i 7 giorni andrebbero collocati
nel 1991, fra l'altro l'anno della guerra del Golfo e dell'implosione
della Russia bolscevica: Ora tutto è in movimento, ovunque scoppiano
guerre (p.4). Tutto si sta riorganizzando ora, sul nostro pianeta
(p.58). Riprendi
la lettura
(3) - L'opzione dell'autore per l'omonimia fra madre e figlia
genera una sottile sfumatura di ambiguità. Riprendi
la lettura
(4) - È la città per antonomasia della tradizione qabbalistica,
dove si ritirò il grande Lurija. Riprendi
la lettura
(5) - Ma vale la pena ricordare che anche per Baudelaire
solo santo, militare e poeta, proprio perché sanno sacrificarsi
per un futuro, danno senso alla vita. Riprendi
la lettura
(6) - Essendo i nomi tutti biblici, anche se non in ordine,
secondo l'opzione dell'autore, si potrebbe anche ipotizzare una
simbologia del genere: Madre = Eva, Indossatrice = Lilith, Sara
madre = Sara moglie di Abramo, Rachele = Agar schiava di Abramo
(non a caso viene abbandonata e del figlio, Gabriele = Ismaele,
non abbiamo una parola), Rivcà = Rebecca moglie di Isacco, Lia e
Sara figlia = Lia e Rachele mogli di Giacobbe. Mentre Andreas =
Adamo (generatore), Abramo (errante), Isacco (traumatizzato), Giacobbe
(lottatore). Riprendi
la lettura
(7) - B. Marniti, Più forte è la vita, pref. di G. Ungaretti.,
"Lo Specchio", Milano, Mondadori, 1957. Riprendi
la lettura
(8) - O. Sobrero, L'infini contre rien, in Letteratura, n.
35 - 36, pp. 358 - 359. Riprendi
la lettura
(9) - G.Ungaretti, Vita di un uomo. Saggi e interventi, a
cura di Mario Diacono e Luciano Rebay, Milano, Mondadori, 1986,
IV ed., p.948, p. 430 -450 ove è riportato il seguito del discorso
con il titolo Immagini del Leopardi e nostre, quale fu pubblicato
in "Nuova Antologia", Roma, a. 78, fasc. 1702, 16 febbraio 1943,
pp. 221 - 232, ma acefalo dell'inizio qui riproposto. Riprendi
la lettura
(10) - G. Bartolozzini, Il professor Ungaretti, in "Atti
del Convegno Internazionale su G. Ungaretti", Urbino, 3-6 ottobre
1979, Ed. 4 Venti, 1981, vol. I,. pp. 381-395. Riprendi
la lettura