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DOCUMENTI In materia di collazione d'immobili
     (nota a nota a Cassazione 14 dicembre 2000 n. 15778, di Massimiliano Vela, Avv. in Napoli)



L'intestazione di beni in nome altrui. Accade spesso nella pratica che un soggetto desideri far acquistare ad un discendente un immobile, fornendo la somma necessaria al pagamento del prezzo.
Tale esigenza viene assecondata in concreto con varie modalità, tutte riconducibili al fenomeno della c.d. intestazione di beni in nome altrui. Il problema che si pone in questi casi è, in particolare, stabilire quale debba essere l'oggetto della collazione lì dove sopravvenga la morte del disponente: se il denaro speso per l'acquisto dell'immobile o l'immobile stesso.
Dall'impostazione prescelta derivano diverse e pregnanti conseguenze: se, infatti, si considera essere oggetto di donazione la somma di denaro, la collazione si concretizzer­à in un obbligo di valuta regolato dal principio­ n­ominalistico ed il donatario sarà tenuto a collazionare la somma ricevuta in donazione, maggior­ata degli interessi legali; di contro, ove si ri­tenga che oggetto della donazione sia il bene immobile, il donatario sarà tenuto a collazionare il cespite immobiliare (collazione in natura) o una somma corrispondente al suo valore di mercato al momento dell'apertura della successione (collazione per imputazione).

La collazione. E' regolata dall'art. 737 e seguenti del c.c. Obbligatoria per legge, salvo che il donatario ne sia stato dispensato, l'istituto mira a rimuove la disparità di trattamento che le donazioni potrebbero creare tra i coeredi, sul presupposto che la donazione fatta agli eredi necessari - discendenti e coniuge - debba considerarsi un'anticipazione dell'eredità.
Secondo l'ampia dizione dell'art. 737 c.c., sono soggette a collazione le donazioni aventi ad oggetto l'usufrutto ed i redditi in genere; le liberalità contenute in un negotium mixtum cum donatione; le donazioni modali; le donazioni remuneratorie; le donazioni di modico valore; le donazioni condizionate risolutivamente; in particolare, le liberalità indirette, ossia tutti quegli atti che, pur se non formalizzati attraverso lo strumento della donazione, realizzano lo stesso risultato (contratto a favore del terzo; accollo di debito altrui; adempimento del terzo; remissione del debito etc.).

La questione relativa all'oggetto della collazione in caso di intestazione di beni in nome altrui è divenuta di particolare interesse nel momento in cui alcuni giudici, dalla seconda metà degli anni '80 in poi, hanno disatteso l'allora prevalente orientamento dottrinale, cui fino a quel momento an­che la giurisprudenza di legittimità si era attenuta.

La dottrina. Secondo la dottrina dominante il principio generale da applicarsi in materia è desunto dalla stessa lettera dell'art. 737 c.c.: oggetto della collazione non sarebbe ciò di cui si è effettivamente arricchito il donante ma ciò di cui si è impoverito il donatario.
Di conseguenza la maggior parte delle ipotesi riconducibili alla c.d. intesta­zione di bene immobile a nome altrui sono qualificate come donazioni dirette o indirette di denaro, oggetto della eventuale collazione. A sostegno dell'assunto la soppressione, nella stesura definitiva del codice, dell'art 357 del progetto preliminare, ove si prevedeva l'obbligo di conferimento dell'immobile nel caso in cui questo fosse stato acqui­sito con denaro fornito dall'ascendente ovvero questi avesse provveduto al paga­mento del prezzo con intestazione del bene al discendente.
Secondo la maggior parte degli studiosi è opportuno comunque operare dei distinguo.
Così, ad esempio, nel caso di intestazione di bene a nome altrui sotto la forma di contratto a favore di terzi ex art. 1411 cc, lì dove il genitore conviene con il venditore che gli effetti traslativi della proprietà del contratto di compravendita si devono produrre in capo al fi­glio, si sarebbe in presenza di una donazione indiretta dell'immobile, apparendo chiaro che lo scopo perseguito è esclusiva­mente quello di far pervenire al figlio il bene, non la somma di danaro. La qualifica di donazione indiretta deriva na­turalmente dall'utilizzo di uno strumento negoziale diverso da quello, tipico, del contratto di donazione.
Nel caso, invece, in cui l'acquisto sia effettuato dal genitore in nome e per conto del figlio, ma in virtù di un pagamento effettuato mediante denaro proprio, parti del rapporto contrattuale di compravendita sono esclusivamente venditore e figlio ­beneficiano: in questo modo, ricostruita la fattispecie come un adempimento di terzo ad un obbligo altrui, si sarebbe in presenza di una donazione indi­retta avente ad oggetto la somma di denaro.
Parimenti, realizzerebbe una donazione indiretta del denaro l'ipotesi in cui l'acquisto fosse effettuato dal figlio ma con paga­mento contestuale del prezzo operato dal padre: anche in questo caso si sarebbe in presenza di un adempimento del terzo ex art. 1180 secondo uno schema analogo a quello illustrato in precedenza.

La giurisprudenza. Già con sentenza 943/1949 la Suprema Corte aderiva alle esposte posizioni della dottrina maggioritaria.
Ma la necessità di superare la disparità di trattamento tra i coeredi, e quindi tra chi doveva collazionare una somma di denaro soggetta al principio no­minalistico e chi invece doveva conferire un im­mobile o imputare alla propria quota il valore corrispondente, ha condotto la Suprema Corte dapprima ad eccepire la pretesa illegittimità co­stituzionale dell'art. 751 c.c. per contrasto con l'art 3 Cost (ordinanza 29 gennaio 1983: la Corte Costituzionale dichiarò tale eccezione inammissibile per questioni di rito - Corte Cost. 17 ottobre 1985 n. 230); successivamente, ad operare un deciso renvirement con sentenza 31 gennaio 1989 n. 596

L'intestazione al discendente di un immobile da parte dell'ascendente il quale abbia provveduto direttamente al pagamento del prezzo al venditore, configura una donazione indiretta dell'immobile (realizzata attraverso un procedimento complesso del quale è parte essenziale un negozio assimilabile al contratto a favore del terzo), in quanto, secondo la volontà del disponente alla quale aderisce il donatario, di tale bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario, nel quale invece non è mai entrata, perchè non voluta, la disponibilità del denaro utilizzato per acquistarlo

e sentenza 6 maggio 1991 n. 4986

Nel caso in cui l'ascendente provveda con proprio denaro al pagamento del prezzo di un immobile che risulta acquistato dal discendente, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l'attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario di detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del danaro, ma dell'immobile, perchè secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest'ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario, nel quale, invece, non è mai entrato il danaro utilizzato per l'acquisto"

In entrambe le decisioni si tende ad evidenziare il collegamento funzionale tra la messa a disposizione del denaro ed il successivo acquisto dell'immobile.
Quindi, secondo il "nuovo" orientamento, nel caso di intestazione di beni in nome altrui va ripudiata l'impostazione formalistica valida per la donazione diretta, secondo cui oggetto della liberalità può considerarsi solo ciò che è effettivamente fuoriuscito dal patrimonio del donant­­e, apparendo invece rilevante la valutazione sostanziale, secondo cui oggetto della liberalità è ciò di cui il beneficiario si è arricchito.
Autorevole avallo a tale ricostruzione è stato fornito dalle sezioni unite della Corte di Cassazione con sentenza 5 agosto 1992 n. 9282:

Nell'ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il soggetto medesimo intende in tal modo beneficiare con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e quindi integra donazione indiretta del bene stesso e non del denaro. Pertanto in caso di collazione, secondo la previsione dell'art. 737 c.c. il conferimento deve avere ad oggetto l'immobile non il denaro donato per il suo acquisto

E ciò sia con riferimento all'ipotesi in cui il genitore paghi direttamente il prezzo all'a­lienante, sia a quella in cui fornisca preventiva­mente al figlio la somma necessaria.
Infatti, anche per le sezioni unite devono essere privilegiati "gli aspetti sostanziali della vicenda", ossia il collegamento essenziale "tra la elargizione del denaro paterno e l'acquisto del bene immobile da parte del figlio": la sussistenza di tale collegamento fa ritenere che il bene che il di­sponente vuole mettere a disposizione del bene­ficiario sia proprio l'immobile.
Fermo restando che, nel caso in cui venga elargita una somma di denaro in un momento precedente rispetto alla vendita, la donazione indiretta dell'immobile ricorrerà solo nel caso in cui il versamento sia stato finalizzato alla compravendita, altrimenti realizzandosi una donazione diretta di denaro.

Tale impostazione è stata riproposta dalle sentenze n. 1257/1994, 5895/1994, 4231/97, 11237/97, 4680/98, 5310/98 e da ultimo, dalla sentenza che qui si annota.
Infatti (anche) secondo Cassazione 15778/2000

si deve distinguere l'ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l'acquisto dell'immobile, che costituisce il fine della donazione. Nel caso infatti in cui il denaro è dato al precipuo scopo dell'acquisto immobiliare e, quindi, o pagato direttamente all'alienante dal genitore stesso, presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell'immobile, o pagato dal figlio dopo averlo ricevuto dal padre in esecuzione del complesso procedimento che il donante ha inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità, con o senza la stipulazione in proprio nome di un contratto preliminare con il proprietario dell'immobile...il collegamento tra l'elargizione del denaro paterno e l'acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto

Le critiche. Il "nuovo" orientamento della Cassazione, inaugurato con la pronuncia 596/1989, ha suscitato non poche perplessità. In particolare, ciò che si rimprovera alla Suprema Corte è il perseguimento di scopi di giustizia sostanziale, estranei ai criteri di norma adottati dalla giurisprudenza di legittimità, nel momento in cui conferisce esclusiva importanza al collegamento originario esistente fra la elargizione di denaro e l'acquisto dell'immobile.
L'impostazione adottata pare infatti scarsamente coordinata rispetto all'istituto della collazione, il cui scopo è quello di ri­costituire l'originario assetto del patrimonio del defunto, facendovi rientrare ciò che ne è uscito attraverso donazioni dirette o indirette: ne deriva che la ricostruzione operata dalla Cassazione si pone inevitabilmente in contrasto con il dato che dal patrimonio del de cuius non è mai fuoriuscito altro se non la somma di denaro.

Donazione indiretta e comunione legale. Altro aspetto considerato dalla sentenza che si annota: stabilito che l'elargizione di denaro finalizzata all'acquisto di un immobile deve considerarsi donazione indiretta dell'immobile, rientra tale atto nel disposto dell'art. 179, lettera b), c.c., con la conseguente esclusione dell'acquisto dalla comunione legale?
Il punto non è pacifico. Per risolvere il quesito è infatti necessario interpretare l'inciso "atto di liberalità" contenuto nel richiamato art. 179, lett. b), c.c.: saranno tali solo le donazioni tipiche o anche quelle indirette?
Una parte minoritaria di dottrina e giurisprudenza propende per la soluzione negativa. Secondo Corte d'Appello Napoli 19 luglio 1994

In caso di donazione indiretta di un immobile, da parte del genitore al figlio coniugato in regime di comunione dei beni, l'immobile stesso entra a far parte della comunione legale dei beni, non essendo invocabile l'art. 179 lett. b) c.c. che, riferendosi alla sola donazione, non è applicabile a differenti atti (nello specifico: compravendita) pur se posti in essere per spirito di liberalità

A fronte di ciò, la maggioranza degli arresti giurisprudenziali (in conformità alla dominante dottrina) ritiene invece che anche le donazioni "indirette" rientrino nell'ambito dell'art. 179 lett. b) c.c. Tra le più recenti pronunce, Cassazione 15 novembre 1997 n. 11327

Il tenore letterale dell'art. 179 lett. b), c.c. che parla di "liberalità" e non di "donazione" non consente di limitarne la portata alle sole liberalità previste dall'art. 769 c.c. Consegue che la peculiare struttura della donazione indiretta non è assolutamente incompatibile con l'applicazione dell'art. 179 lett. b) c.c.

e Cassazione 8 maggio 1998 n. 4680

La donazione indiretta consiste nell'elargizione di una liberalità che viene attuata, anzichè con il negozio tipico dell'art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l'effetto diretto che gli e' proprio ed in collegamento con altro negozio, l'arricchimento "animo donandi" del destinatario della liberalità medesima. Ne deriva che non sussiste un'ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma dell'art. 179 lett. b) c.c., sicchè il bene oggetto di essa non deve necessariamente rientrare nella comunione legale A tale ultimo indirizzo si adegua la stessa pronuncia in commento, grazie ai seguenti passaggi:
a) in primo luogo, la bontà dell'assunto è confermata dal tenore dell'art. 809 c.c. che, nell'estendere sotto diversi profili la disciplina delle donazioni "dirette" a quelle "indirette", adopera lo stesso inciso "atti di liberalità";
b) inoltre, indicativa appare la precisazione conclusiva dell'art. 179, lett. b), c.c., che pone alla regola dell'esclusione dalla comunione di beni donati (o ereditati) l'eccezione di una diversa volontà del donante (o del testatore) che intenda attribuire proprio alla comunione quel bene. Orbene, sarebbe illogico pensare che mentre la "regola" fa riferimento alle sole donazioni dirette, la possibile "eccezione" riguardi il più ampio concetto di atto di liberalità;
c) mancano, poi, precise ragioni, anche di ordine sistematico, che giustifichino l'esclusione della donazione indiretta (o, meglio, del bene oggetto di essa) dall'ambito della norma medesima;
d) infine, deve considerarsi che la ratio della disciplina della comunione legale è quella di rendere comuni i beni alla cui acquisizione entrambi i coniugi abbiano contribuito, onde sarebbe iniquo (e, va precisato, contrario allo stesso principio informatore della comunione legale) ricomprendervi le liberalità a favore di uno solo dei coniugi, trattandosi di acquisti per i quali nessun apporto è stato sicuramente dato dall'altro coniuge.


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