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DOCUMENTI Indagini difensive e giusto processo
     Seminario di studio - Bologna, 2 febbraio 2001



APPUNTI

Prof. NOBILI. Non ci sono aggettivi per esprimere le novità che si susseguono con schizofrenia nel processo. Solo ieri si parlava di negozialità, ma, oggi, è già categoria obsoleta, piuttosto si tratta di negozi unilaterali della difesa (giudizio abbreviato). In realtà, le nuove leggi (Indagini difensive e giusto processo) seppure chiudono lunghi travagli, ne aprono altri, anzi i problemi non si risolvono, ma si moltiplicano. Comunque, tutto si lega. Possono individuarsi tre punti centrali:
1. Indagini difensive = tutto ancora da fare: dove ci porterà la nuova legge? Tutto cambia per non cambiare nulla?
2. Testimonianza degli imputati: qual è l'estensione applicativa secondo il testo del Senato approvato il 21 dicembre? Al di là della radicalità degli "scontri", quali ricadute per un soggetto comunque nuovo (imputato con obbligo di collaborare)? E' certo una trasformazione storica: vi sono rischi in questo capovolgimento? Quanto inciderà sulla prassi?
3. Un nuovo rapporto fra indagini e dibattimento: v., il nuovo art. 500. Dietro questi punti, vi sono 2 "fondali":
- la nuova costituzione (art. 111), in un magma normativo con spezzoni sopravvissuti, grossi relitti lasciati.
- Uffici che non funzionano.
Quale sarà la portata delle innovazioni su questi fondali? Si avverte l'assenza di una linea coerente.
La nuova costituzione nacque da uno scontro fra Parlamento, da una parte, e Consulta e parte della magistratura, dall'altra, che visse come "offesa" l'introduzione del nuovo art. 111 C. L'atteggiamento della dottrina fu sbagliato: ritenne l'art. 111 C. un inutile contorno.
Invece dall'art. 111 C. nascono "nuovi mondi": "ragionevole durata" contraddittorio come valore epistemologico, pubblicistico: com'è possibile negoziarlo nella disponibilità di un singolo imputato e/o difensore?
Vi sono, poi, i quesiti sulle indagini difensive, rammentando che negli anni '60 la Consulta diede sviluppi enormi alla difesa in termini di poteri e diritti. Ma oggi, è legge di rottura. Abbiamo un difensore che da fa sé, c'è un mutamento genetico dell'avvocato: quanto costerà al difensore questo ruolo diverso? E', infatti, un ruolo "pubblicizzato". Ci si avvicina ad una funzione giudiziaria con gravi ricadute sul piano deontologico, ma anche su quello penale sostanziale.
Le conoscenze vengono acquisite non solo in funzione preparatoria, ma per spenderle in dibattimento. Vi è, inoltre, la "sensazione", ed altri dati normativi sembrano confermarla (audizione a seguito dell'esercizio della facoltà di non rispondere) che sorgono degli aspetti di collaborazione nei confronti del P. M., insomma, si tratta di un soggetto assolutamente inedito.
Vi sono, poi, seri problemi esegetici relativi al "giusto processo".
Per l'imputato/testimone funzionerà davvero l'incompatibilità della nuova lettera a) del 197? (testo Senato 21.12.2000), o nuove tecniche di formulazione dei capi di imputazione "sfuggiranno" l'art. 110 c. p.? oppure, il 110 e. p., verrà fuori in fasi successive, dopo acquisite le testimonianze?
E' esatto che la trasformazione da imputato a teste, può avvenire anche in atto di polizia (delegato o di iniziativa). S'applica, cioè, sempre il nuovo art. 64 c.p.p.? eppure le differenze sono enormi (teste davanti al giudice, oppure al p. m., o alla p. g.).
Questione tecnica, interpretativa che genera dubbi di costituzionalità: la seconda parte dell'art. 111, quarto comma, C., letteralmente consentirebbe l'utilizzo di ogni forma di controesame. Ed allora questo "pezzo" di norma può vivere in sé, o presuppone la preminenza del principio che ha valore di prova ciò che si è formato esso stesso in contraddittorio?
Infine, c'è contraddizione fra l'inutilizzabilità dell'art. 500, comma 2, fermo restando le eccezioni del IV e V comma, con il 526, comma 1 bis (Testo Senato del 21.12.2000) che riproduce inutilmente il IV comma, parte finale, del 111, anzi con differenze problematiche (111, "interrogativo", 526 "esame").

Sen. FASSONE. Ad oggi si contano 81 leggi sulla giustizia varate dalla XIII legislatura. Va registrato un grave malessere della legislazione, si pensi a processi in cui sono valsi 5 regimi probatori. Né basterà il "giusto processo". La verità è che in una materia specialistica è intervenuto il politico per "regolare i conti".
In realtà i nodi restano: il rapporto tra dibattimento e fasi precedenti (le osmosi). Non c'è mai stata netta distinzione, ma subito eccezioni, dal 1988. Il 512 esprime il principio di non dispersione; il 513, 1° comma, permetteva la lettura anche in pregiudizio di altri.
Invero, nessuno può sottrarre al processo elementi legittimamente acquisiti. Perciò, la Corte costituzionale nel 1992 disse che non si possono utilizzare elementi solo per la credibilità del teste, ma anche per le decisioni. In linea, poi, il carattere "fisiologico", assunto nella prassi dall'art. 507 c.p.p.
Nel 1997, il "pendolo" va ancora dall'altra parte. Il diritto al silenzio prevale sull'accertamento. Poi, le oscillazioni (vedi sentenza n. 361 della Corte costituzionale) diventano convulse. Il problema passa al legislatore. Il Parlamento, a questo punto "perturbato", modificò la Costituzione con il nuovo articolo 111: principio del contraddittorio e regole di esclusione.
Tuttavia, il cammino della legge di attuazione è stato tortuoso, per un periodo (v. art. 2 legge Cost.) vale anche un processo contro Costituzione.
Restano, dunque, ambiguità. Il contraddittorio deve esserci fin quando possibile: il processo non può essere una passerella per muti.
L'art. 111 costituzionalizza il principio di non dispersione (quando c'è consenso, illiceità di terzi e impossibilità): in questi casi si sacrifica il contraddittorio.
Vi sono alla base tre diritti non "unibili" (della difesa dell'imputato, del dichiarante, del contraddittorio), l'art. 111 pone, in tal senso, nuove logiche, senza giungere mai ad un sacrificio completo per nessuno dei tre principi. È certamente irrinunciabile la difesa dell'imputato; però, la difesa del dichiarante non può sacrificarsi, ha un ambito di incidenza più circoscritto. Il nuovo testimone non si sacrifica, quindi, quando l'obbligo di rispondere lo può danneggiare. La presunzione di danno in capo al dichiarante comporta il non sacrificio. Ma si sacrifica quando la connessione non è stringente, il processo non è in corso, quando la lesione non è configurabile. Va chiarito, inoltre, che la nuova veste di testimone si assume non solo davanti al giudice (come Nobili sembra intendere), perché in tal modo si aprirebbero nuovi spazi, eccessivi, al silenzio.
Si introduce un principio di responsabilità: non è consentito accusare e "ritirare la lingua". Su questa base, si è costruita una gabbia di protezione a tre diversi livelli: inutilizzabilità (forse insufficiente): diritto a non rispondere su domande che possono nuocere (198 comma 2); incompatibilità di status (197 e 197 bis).
Vi è, comunque, il rischio di uno "scivolamento" sull'incidente probatorio.
Il nuovo articolo 500 è discutibile, l'articolo 111 C. non dà cesure così forti: se si sottopone ad esame, l'innocenza può essere affermata, solo se si sottrae all'esame vi è inutilizzabilità totale. Si ritiene, perciò, che il 500 va oltre il dettato del 111.
Certo, da un punto di vista di principio, è corretto il nuovo 500, e questa èstata la scelta del legislatore. Ma è impensabile, innaturale, la falcidia delle notizie acquisite nelle indagini, oggi, anche difensive (si va sempre di più verso l'incidente probatorio).
Si tornerà al 1992, la Corte costituzionale riterrà assurdo che il giudice, in maniera schizofrenica, escluda dal giudizio le notizie da usare solo ai fini della credibilità.
Ed infatti, la Corte Europea ha sottolineato la presenza del "principio di realtà" e non ha accolto la tesi del condannato con dichiarazioni precedenti al dibattimento.
Attenzione, se il processo per autocelebrazione viene by-passato dalla società, la risposta passa altrove, così come in tema di sicurezza dei cittadini, si stanno trovando risposte di polizia.

Avv. FRIGO. L'esegesi non basta (critica a Nobili). Ognuno deve dichiarare la propria idea di processo senza nascondersi dietro il tecnicismo; buona parte della dottrina ha invece rinunciato alla progettualità.
Si è rinunciato a costruire in via interpretativa al processo di parti, si è rinunciato anche a contribuire ad una scelta costituzionale nuova.
Dov'era la cultura giuridica quando si doveva elaborare il modello costituzionale del processo? Se non ostile (è riduttiva l'analisi per cui il 111 è solo rivincita della politica), essa è rimasta estranea e disdegnosa, minimizzando i risultati del nuovo 111: ma ciò non è possibile. Già le sentenze nn. 439 e 440 della Consulta prendevano atto della riforma.
L'Avvocatura si è, invece, schierata con forza. Eppure, il Prof. De Luca ha invitato più volte la cultura giuridica verso scelte di valore.
Siamo di fronte a grandi momenti, certo c'è compromesso, ma sulle scelte di fondo occorreva l'accordo: la ricostruzione della separazione delle fasi, il ripristino del 500/503, la difesa del diritto al silenzio nel suo nucleo essenziale.
Resta l'urgenza della difesa dei non abbienti.
Fuori dell'emergenza, poi, il 111 esige una revisione organica del codice di procedura penale.
Venendo al quesito di Nobili: il 111, comma 4: è utilizzabile tutto ciò che Tizio ha dichiarato prima? fuori e dentro il dibattimento? Non è vero! Sarebbe incoerente con il Testo costituzionale. Tra una interpretazione coerente ed una incoerente va scelta la prima.
La regola del contraddittorio ha solo le eccezioni del V comma, non cene sono altre, se no il primo e secondo periodo dei comma 4 sarebbero contraddittori.
Invero, l'art. 111, comma 4 vuol dire che non si può utilizzare la dichiarazione accusatoria, pure resa in contraddittorio, se si è sottratta all'esame dell'altra parte: si garantisce, cioè, il contraddittorio effettivo.
Nuovo comma 2 del 500: nessun rammarico per l'esclusione della parola "soltanto": è una norma indicativa di direzione, la regola di esclusione é nel primo comma del 500.
Attenzione, ci siamo dimenticati la funzione intrinseca della contestazione, strumento per elaborare le prove, niente di più: tutto ciò è nella lettura del comma 1.
Chi accusa deve assumersene le responsabilità, principio fermo. Il problema è la forma mista della fonte.
Anche qui, ricordando Bricola, sarebbe stato meglio riformare insieme Procedura e codice penale. Circa il problema dove, come e quando garantire la possibile rinuncia del parlare in funzione della tutela della genuinità della prova, va detto che la rinuncia davanti al P.M. o in un ufficio giudiziario è rinuncia viziata. Altra cosa è la rinuncia davanti al giudice, garantita.
Sulle indagini difensive: non bastava il 38. Il diritto alla prova non era sempre assicurato. Certo, ci sono rischi nella attuale disciplina, non bisogna scimmiottare" le indagini del p. m.: sono diverse per finalità. Le indagini difensive non sono necessarie, sono eventuali, con funzione procedimentale. Da mostrare" se utili, se non il sistema diventa grottesco.
A conferma di ciò, si rammentano alcune misure (per esempio, il verbale si può redigere oppure no).
Si avverte, l'indagine difensiva travalica l'indagine preliminare, essa è assicurata al di là dei limiti di fase a differenza dei limiti temporali dell'indagine pubblica. Non bisogna, quindi, farle coincidere con le indagini del P. M.
Il fondamento costituzionale non sta tanto nelle condizioni di parità, ma nel diritto di difendersi provando e portare direttamente al giudice le prove, oppure utilizzare gli elementi acquisiti ai fini delle contestazioni nei limiti del 500.
Ferrua dice che si fanno due errori, no, si tratta di un'altra opportunità, ed entrambe non possono essere utilizzate per la prova.
Il difensore, comunque, non si snatura (critica a Nobili): in considerazione del fatto che il monopolio storico delle investigazioni è appartenuto al P. M. ed alla p. g., si sostiene che chi le fa diventa anch'essa parte pubblica: è un circolo vizioso; invero, il difensore compie da sempre atti del procedimento, ma non per questo èun pubblico ufficiale. Perciò il verbale lo può fare pure il difensore. La norma èdettata per un evidente bisogno di formalizzazione.
Ovviamente, si faranno gli aggiustamenti necessari, ma l'istituto non va toccato.
L'avvocatura italiana si è data regole di comportamento già in vigenza dell'articolo 38 disp. att., dopo la riforma del '95 ne abbiamo approvate delle altre, oggi c'è bisogno di discutere prima di porre mano ad ulteriori regole in tal senso, per tale motivo le Camere penali si riuniranno a Roma il 7 e l'8 aprile.

Prof. RUGGERO. Invero, nell' 88 i nodi sono stati sciolti: privilegio per il dibattimento ed opzione per la difesa dell'accusato. Fassone sbaglia sostenendo la coerenza della Corte costituzionale, ed in tal senso "glissa" sulla verità materiale.
La Corte costituzionale, al contrario, non è stata tutrice della coerenza: c'era coerenza nell'affermare per analogia che la condizione del dichiarante che tace è equiparata al dichiarante irreperibile?
Ed allora, i nodi erano stati effettivamente sciolti, ma non come li voleva qualcuno. Né coerenza c'è nell'interpretazione costituzionale dell'articolo 507, che ha permesso ai P. M. di indulgere, anche sulle liste testimoniali.
Per quanto attiene alle indagini difensive, non si rischia una collaborazione vera e propria (per il difensore della parte offesa, però, sì), ma una compartecipazione di parti comunque contrapposte.

APPUNTI SUGLI INTERVENTI DAL PUBBLICO

Non è sempre vero (critica a Frigo) che il difensore documenta ed utilizza quello che vuole: vds. articolo 391-decies, commi 3 e 4, dove il "materiale" degli accertamenti tecnici irripetibili vanno nel fascicolo del P. M.
L'avvocatura avrà dei costi altissimi dalla riforma: rinunciare o passare "al buio" al P. M. (391 bis, comma 10). Ed ancora, prima della legge n. 307/2000, era possibile, come "territorio di indagine", che il difensore registrasse la propria telefonata con un terzo: oggi non più, paradossalmente sono stati limitati gli ambiti della difesa.


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