SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 6.4.1994 il Tribunale di Venezia affermava la
penale responsabilità di M. E., imputato: a) del reato di cui
all'art.521, 61 n. 9 c.p., perché abusando delle sue funzioni di
amministratore straordinario della USSL n.15 (omissis) e pertanto
superiore gerarchico di D.R. A., il 10.3.1993, in (omissis), compiva
sulla predetta atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale,
consistiti nel palpeggiare il sedere della vittima contro la sua
volontà, b) del reato di cui agli artt.56, 610 comma primo, 61 n. 9
e n. 11 c.p., perché nei giorni successivi al 10.3.1993, minacciando
ripetutamente a D.R. A. un ingiusto danno e problemi alla sua
carriera, valendosi delle sue funzioni e delle influenti amicizie
presso detta USSL, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco
a convincere la donna a non denunciarlo per gli atti di libidine di
cui al capo che precede.
Il Tribunale, riconosciute al M. le generiche attenuanti prevalenti
sulle contestate aggravanti, unificati i reati sotto il vincolo
della continuazione, lo condannava alla pena, condizionalmente
sospesa, di un anno e sei mesi di reclusione (applicando, inoltre,
la pena accessoria della interdizione dai pp. uu. per la durata di
un anno) ed al risarcimento dei danni ed alla refusione delle spese
in favore della costituita parte civile.
A seguito dell'impugnazione proposta dal M., la Corte di Appello di
Venezia, con sentenza in data 11.4.2000, in riforma della impugnata
sentenza, assolveva l'imputato dal reato di cui al capo a) perché il
fatto non costituisce reato e dichiarava non doversi procedere per
il reato sub b), perché estinto per prescrizione.
La sentenza è stata gravata da ricorso per cassazione, proposto sia
dal Procuratore Generale presso la Corte veneziana. sia
dall'imputato, tramite il proprio difensore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico articolato motivo, il P.G. deduce manifesta illogicità
della motivazione quanto alla pronuncia di assoluzione dell'imputato
dal reato di cui al capo a), per avere la Corte, erroneamente
interpretando le risultanze processuali, ritenuto assente un
qualsiasi intento dell'imputato di arrecare, con il suo gesto,
offesa alla sfera sessuale della D.R.
Il ricorso si risolve in una censura in punto di fatto alla
decisione impugnata, con la quale i Giudici di secondo grado hanno
invece offerto un'adeguata e non manifestamente illogica spiegazione
del convincimento raggiunto.
Sicché, le relative valutazioni non possono essere sindacate in
questa sede sulla base delle diversa lettura ed interpretazione
delle risultanze processuali che la parte propone, tenuto conto che
al Giudice di legittimità compete soltanto di verificare la
esistenza o meno di un apparato motivazionale adeguato e coerente
del provvedimento impugnato.
Nella specie, la Corte veneziana, con puntuali richiami alle
acquisite risultanze probatorie, ha ritenuto per un verso dimostrato
che un'isolata e repentina pacca sul sedere della donna vi fu, e,
per l'altro, che l'imputato non intese compiere un vero e proprio
atto di libidine sulla donna, non essendo emersi elementi per
ritenere che il gesto, e cioè quel toccamento, fosse rappresentativo
di un gesto di concupiscenza di natura sessuale.
Orbene, tale motivazione non evidenzia alcuna manifesta illogicità:
sicché, il ricorso del PG, basato com'è soltanto su una diversa
valutazione delle prove raccolte, va, per quanto finora rilevato,
dichiarato inammissibile.
Quanto all'imputato, il medesimo deduce violazione di legge
sostanziale (521 c.p.) processuale (530 c.p.p), per avere la Corte
territoriale erroneamente ritenuto insussistente solo l'elemento
soggettivo del reato contestato: senza considerare che, in realtà,
non è stata raggiunta la prova dell'esistenza dello stesso elemento
materiale del reato contestato (nella specie, il c.d.
palpeggiamento); sì che la pronuncia assolutoria avrebbe dovuto
essere quella più ampia, perché il fatto non sussiste.
Ritiene questa Corte che la censura sia manifestamente infondata,
dal momento che il gesto incriminato risulta avere pur sempre
un'obbiettiva incidenza sulla sfera della riservatezza sessuale:
sicché, giuridicamente corretta è la decisione impugnata laddove
solo per la mancanza di prova di un intento propriamente libidinoso
dell'agente ha ritenuto, con riguardo al caso di specie, non
punibile il fatto addebitato M.
Quanto, poi, alla richiesta del ricorrente di annullamento della
sentenza in ordine alla pronuncia di non doversi procedere per il
reato di tentata violenza privata , in quanto logicamente e
probatoriamente collegato al reato a sfondo sessuale, è appena il
caso di rilevare che il relativo accertamento richiederebbe il
rinvio al Giudice di merito, mentre tale regressione è incompatibile
con la esistenza di una causa di improcedibilità dell'azione penale,
già accertata e dichiarata dalla Corte veneziana.
La richiesta, nei limiti in cui si risolve in una censura in diritto
alla impugnata decisione, è pertanto manifestamente priva di
fondamento. Il ricorso del M. deve essere dunque dichiarato
inammissibile ed il ricorrente condannato, ai sensi dell'art.616
c.p.p, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di
L.1.000.000 alla Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi.
Condanna il ricorrente M. E. al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di L. 1.000.000 alla Cassa delle ammende.