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Giurisprudenza 2001 Consiglio di Stato sez. IV - sentenza 22 marzo 2001 n. 1686

Fatto. Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio la Società R.Edil.Mo impugnava la delibera del Consiglio comunale di Roma del 23/24 luglio 1991, n. 279, di adozione della “Variante di salvaguardia” al Piano regolatore generale del 1965, posta in pubblicazione fino al 16 dicembre 1991, nonché ogni altro atto precedente, contemporaneo o successivo.
Esponeva la parte ricorrente di essere proprietaria in Roma, località Cesarina, di un appezzamento di terreno avente destinazione G/4 (case unifamiliari con giardino).
Deduceva che il Comune di Roma, anziché addivenire alla sistemazione urbanistica della zona, con la variante impugnata aveva inopinatamente, illogicamente e immotivatamente mutato la destinazione edificatoria della area assegnando alla stessa destinazione agricolo (Agro Romano) e, tra le varie, la destinazione maggiormente vincolata (sottozone H/2 e H/3), per la quale la variante stessa ha introdotto ulteriori limiti e vincoli tali da ridurne l’utilizzazione edificatoria pressoché a zero.
Venivano dedotti molteplici ed articolati motivi di ricorso.
Con decisione 21 giugno 1993, n. 960 il T.a.r. adito ha accolto il ricorso con riguardo al quarto motivo, punti a), b) e d), con cui era stata censurata censurava l’introduzione della destinazione agricola di aree di proprietà della società ricorrente in precedenza destinate all’edificazione, disattese le altre censure.
Il Giudice di prime cure, dopo aver respinto e dichiarato inammissibili gli altri motivi del ricorso di primo grado, ha rilevato la carenza di motivazione specifica in ordine alla scelta compiuta dal Comune di Roma, singulatim, ovvero con riferimento, sia pure sintetico, alle aree di volta in volta interessate dal mutamento di destinazione, specie avuto riguardo alla conseguente perdita delle chances edificatorie.
Avverso detta pronuncia ha interposto appello il Comune di Roma con atto notificato il 21 giugno 1994 e depositato il 13 luglio 1994, deducendo le seguenti doglianze:
1) Il mancato sfruttamento del terreno non consolida la ipotetica destinazione edificatoria dello stesso.
2) Il T.a.r. ha operato un inammissibile sindacato delle scelte di merito compiute dall’Amministrazione quanto all’assetto delle zone intermedie, che possono discrezionalmente essere destinate dal P.R.G. a verde agricolo o all’edificazione limitata.
3) Le aree per cui è causa, già destinate a zona G4, non sono aree urbanizzate, nemmeno in parte, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di prime cure.
4) La scelta dell’Amministrazione di estendere la zona H, sottozona H3, ad aree contermini è stata adeguatamente motivata in relazione allo stato dei luoghi.
5) Un appezzamento di notevole estensione, quale è quello della ricorrente, prossimo ad altre aree destinate a zona H, possiede ictu oculi consistenza tale da garantire una conduzione agricola valida e produttiva, essendo state ponderatamente escluse dal Comune altre possibili destinazioni dell’area, quali ad esempio quelle a zona N.
Resiste all’appello la Società R.Edil.Mo con controricorso ed appello incidentale notificato il 5 ottobre 1994 e depositato il 14 ottobre 1994, insistendo per il rigetto dell'appello principale e riproponendo le censure respinte, dichiarate inammissibili o assorbite dai primi giudici.
Con memoria depositata il 3 novembre 2000 la detta Società ha ribadito le proprie difese, anche in considerazione del fatto che l’impugnata variante non è stata ancora definitivamente approvata dalla Regione Lazio ed alla luce delle previsioni della l.r. Lazio 22 dicembre 1999, n. 38.
All’udienza di discussione del 14 novembre 2000 la causa è stata trattenuta in decisione

Diritto. 1. L’appello proposto in via principale dal Comune di Roma è fondato.
I principi di diritto su cui si fonda la pronunzia di accoglimento di tale gravame sono stati già compitamente enunciati da questa Sezione, in relazione a controversia di analogo oggetto, con la decisione 8 maggio 2000, n. 2639, a cui il Collegio ritiene di doversi richiamare.
In particolare con tale arresto - esaminate congiuntamente le questioni sottese al gravame, tutte afferenti all’esatta individuazione della latitudine dei poteri pianificatori del Comune di Roma in sede di adozione di variante al piano regolatore generale - si sono affermati i seguenti principi.

Le varianti ai piani regolatori generali, possono essere distinte, in relazione alla loro funzione ed estensione, in varianti specifiche, varianti normative e varianti generali, queste ultime consistendo, in sostanza, in una nuova disciplina generale dell’assetto del territorio, resasi necessaria perché il piano regolatore generale ha durata indeterminata e, quindi, deve essere soggetto a revisioni periodiche. Nel caso di specie il Comune di Roma, come risulta dall’ampia ed esauriente relazione tecnica facente parte integrante della delibera di adozione della variante, ha inteso perseguire, fra gli altri obbiettivi, quello inerente uno sviluppo razionale ed ecocompatibile della politica urbanistica, informando le scelte contenute nella variante, a svariati parametri generali; tra questi viene in risalto, ai fini della presente controversia, quello concernente la tutela dell’agro romano.

L’indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione, implica importanti conseguenze in ordine al sindacato di legittimità esigibile dal giudice amministrativo, ed al contenuto della motivazione in concreto indispensabile, specie in considerazione di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, laddove esclude dall’obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale (nel cui novero rientra lo strumento urbanistico generale).

Coerentemente, si è affermato che: a) le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione del piano regolatore costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr. ex plurimis e di recente, C.d.S. sez. IV, 8 febbraio 1999, n. 121); b) in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali - di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell’impostazione del piano stesso (cfr. C.d.S., Ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 245; sez. IV, 24 dicembre 1999, n. 1943; sez. IV, 2 novembre 1995, n. 887, sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99), essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.

Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali (non presenti nell’odierna fattispecie), sono state ravvisate dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Ad. plen. n. 24 del 1999 citata): a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive disovra_ dimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) nella lesione (parimenti non ricorrente nella specie), dell’affidamento qualificato del privato, come quello derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, oppure da aspettative conseguenti a giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione (cfr. Ad. plen. n. 24 del 1999, cit.; 8 gennaio 1986, n. 1); c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. sez. IV, 9 aprile 1999, n. 594);

"Non è comunque configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell’amministrazione, ma soltanto un’aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell’immobile"; pertanto ". . . la polverizzazione della motivazione sarebbe in contrasto con la natura della variante generale, che non richiede altra motivazione che quella dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano" (cfr. Ad. plen. n. 24 del 1999 citata).

La zona agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano e assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano. Siffatto convincimento è espresso dalla giurisprudenza di questo Consiglio ormai da alcuni lustri (cfr. sez. IV, n. 245 del 2000 citata; id., n. 1943 del 1999 citata; id. 13 marzo 1998, n. 431; id., 1 ottobre 1997, n. 1059; id., 28 settembre 1993, n. 968; id., 1 giugno 1993, n. 581; id., 19 settembre 1991, n. 1168; id., 11 giugno 1990, n. 464, id., 17 gennaio 1989, n. 5).

Logico corollario, sul piano della istruttoria e della motivazione di una variante dichiaratamente destinata a tutelare l’ambiente (ed in particolare le caratteristiche storiche e culturali delle residue zone di agro romano secondo le indicazioni contenute nell’omonima Carta dell’Agro romano, adottata con delibera consiliare n. 959 del 18 marzo 1980), anche quando si risolve nell’imprimere ad un’area il connotato di zona agricola, è che non si richiede una diffusa analisi argomentativa, avuto riguardo al valore, del paesaggio, fondamentale a mente dell’articolo 9 della Costituzione (cfr. ex plurimis sez. IV, n. 245 del 2000 citata; 4 dicembre 1998, n. 1734; Corte costituzionale n. 170 del 1997; n. 416 del 1996; n. 417 del 1995; n. 379 del 1994; n. 282 del 1992; n. 327 del 1990; nn. 302 e 1112 del 1988; nn. 151, 152 e 153 del 1986).

Circa il rapporto fra piano regolatore generale o sue varianti da un lato, e vincoli e destinazioni di zone a vocazione storica, ambientale e paesistica, dall’altro, è sufficiente richiamare i precedenti indirizzi espressi da questo Consiglio (sez. IV, n. 1734 del 1998 citata) e dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana (30 giugno 1995, n. 246): "Secondo il n. 5 dell’art. 7 della legge urbanistica, il piano regolatore generale deve contenere i vincoli da osservare nelle zone di pregio culturale e ambientale. Sia per i centri storici che per le zone di interesse naturale, si rileva come sussista una speciale legislazione statale che tutela sia i singoli immobili che complessi di immobili e addirittura vaste zone di territorio. A prescindere dal concetto unitario o meno di ambiente, è certo comunque che molteplici siano i profili di interesse oggetto di tutela sussumibili in tale genus, e parimenti numerosi gli strumenti a disposizione della amministrazione bisognosi di coordinamento e quantomeno di considerazione a livello notiziale. Per cui, evidentemente, la disciplina del p.r.g. in materia si estenderà oltre le situazioni di particolare rilevanza di cui alle varie leggi speciali, visto anche il riferimento al termine " zone " contenuto nel n. 5 dell’art. 7 cit. Sicché si possono identificare nei piani regolatori due tipi di vincoli del genere: a) vincoli ricognitivi, in quanto costituiti (come nel caso di specie) autonomamente in virtù di leggi speciali, e soggetti a peculiare disciplina (vincoli militari, idrogeologici, forestali, di parco, paesistici ecc.). Tali vincoli sono contenuti nel piano regolatore per fini di pubblicità e di coordinamento con lo strumento urbanistico che non può derogarli (come stabilito dall’art. 10 legge urbanistica). Ne deriva, fra l’altro, che per essi la mancanza di previsione non comporta la inesistenza del vincolo in quanto appunto sussistente in virtù di separati atti e competenze; per cui ogni atto di autorizzazione o comunque di gestione dell’interesse specifico, da parte della autorità speciale posta a tutela del vincolo, non è impedito nel suo effetto dalla relativa annotazione nelle tavole del piano regolatore. In questo senso si è affermato che i vincoli imposti a tutela delle bellezze naturali hanno una operatività giuridica indipendente dalle concorrenti prescrizioni eventualmente contenute negli strumenti urbanistici comunali (cfr. Cons. giust. amm. sic. 14 gennaio 1998, n. 2); conseguentemente si è reputato irrilevante, ai fini della tutela ambientale il mancato inserimento di una zona paesisticamente protetta in un piano regolatore (cfr. Cons. Stato, sez. II, 28 giugno 1995, n. 61); b) vincoli costitutivi, che sorgono direttamente ed originariamente per effetto della previsione da parte dello strumento urbanistico. Possono avere carattere di limitazione della edificazione, ossia in concreto finalità essenzialmente estetiche (centri storici, e simili ad es.), ma costituire anche vincoli di inedificabilità (come nel caso di tutela paesistico ambientale). In questo caso, ovviamente, la competenza anche in sede di controllo specifico della edificazione rimane propria del comune, così come il potere sanzionatorio, trattandosi di prescrizioni aventi natura squisitamente urbanistica. Pertanto i beni costituenti bellezze naturali possono formare oggetto di distinte forme di tutela ambientale, anche in via cumulativa, a seconda del profilo considerato; conseguentemente, la tutela paesaggistica è perfettamente compatibile con la tutela urbanistica o ecologica, trattandosi di forme complementari di protezione, preordinate a curare, con diversi strumenti, distinti interessi pubblici, con la conseguenza che, pur non sussistendo alcuna fungibilità fra le varie legislazioni di settore, le stesse possono riferirsi contestualmente allo stesso oggetto".

2. Sulla scorta delle argomentazione ora illustrate l’appello principale, proposto dal Comune di Roma, è fondato e meritevole di accoglimento.
Va considerato che, in concreto, l’area di proprietà della Società R.Edil.Mo. appare idonea ad un effettivo sfruttamento ad uso agricolo, in ragione della sua estensione e del fatto di essere contigua ad altre aree destinate a zona H, sicché le scelte pianificatorie compiute dall’Amministrazione comunale non risultano palesemente illogiche ed incongrue in relazione alla situazione dei fondi interessati.
Viceversa, esaminando nel merito le censure di primo grado riproposte con appello incidentale dall’originaria ricorrente, la Sezione osserva che queste ultime devono essere tutte disattese.

3. Preliminarmente va confermata la statuizione, contenuta nel relativo capo dell’impugnata sentenza -pagina 7 - secondo cui sono inammissibili, per difetto di interesse le censure che riguardano altre destinazioni di zona rispetto a quelle impresse alle aree di proprietà dei ricorrenti; invero "le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale vanno considerate scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale; pertanto, nel caso in cui il ricorso prospetti vizi relativi solo ad alcune determinazioni, l’annullamento del provvedimento non può essere che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi proponibili nei ricorsi davanti al giudice amministrativo" (C.d.S. sez. IV, 15 ottobre 1999, n. 1586).

3.1 Con il primo motivo (pagina 5 del ricorso introduttivo), si contesta: l’ammissibilità del ricorso allo strumento della variante generale; gli effetti di salvaguardia scaturenti dall’adozione della stessa; la mancanza di soluzioni determinate e concrete; il carattere pleonastico della variante con riferimento alla tutela di interessi pubblici diversi da quello urbanistico, con la connessa violazione del principio di economia dell’azione amministrativa; lo sconfinamento nella competenza di altri soggetti pubblici; il blocco di ogni pratica attività edilizia.
Tutte le doglianze sono prive di pregio.
La contestazione della scelta di politica urbanistica sottesa alla destinazione a zona agricola delle aree interessate è inammissibile perché investe il merito dell’azione amministrativa. Invero, la drastica riduzione dell’edificabilità concreta è una fisiologica conseguenza di tale scelta. Ad ogni modo, "la previsione di una determinata tipologia urbanistica non è un vincolo preordinato all’espropriazione né comporta l’inedificabilità assoluta, trattandosi invece di una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall’art. 11 l. 17 agosto 1942 n. 1150" (cfr. sez. IV, 2 dicembre 1999, n. 1769).
La variante, in base all’esame del suo contento come integrato dalla relazione tecnica, si rivela coerente e puntuale. Essa non può che disporre per il futuro, valorizzando, in via autonoma quelle esigenze di tutela del bene primario del paesaggio e di razionalizzazione con gli interessi (di altri enti) ed interventi, che sul territorio si annunciano o sono in fieri, pure se affidate anche ad altre autorità, senza per questo che si registrino sconfinamenti o superfetazioni di tutela, come rilevato sub VIII).

3.2 Anche il secondo originario motivo (pagina 8 del ricorso), non è suscettibile di favorevole esame.
Lo strumento urbanistico generale, non presuppone affatto, inderogabilmente, tendenze espansive edilizie e demografiche. Al contrario, una moderna e realistica concezione dell’urbanistica, appare incentrata sulla necessità di tenere conto della fortissima antropizzazione del territorio nazionale concentrata in specifiche aree, del calo demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela delle ormai rare zone non edificate. Gli strumenti urbanistici, quindi, possono e devono essere costruiti intorno a linee guida tendenzialmente restrittive, che esaltino il momento del recupero e della razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, se non abusivo.

3.3 Miglior sorte non tocca alle doglianze contenute nel terzo motivo (pagina 10 del ricorso).
Come osservato in precedenza, l’autonoma e legittima considerazione di interessi pubblici pertinenti ad altre autorità o enti, ma tutti incidenti sul territorio, e comunque connessi alla tutela del paesaggio, della vocazione culturale, storico - agricola dell’agro romano, anche in prospettiva della realizzanda città metropolitana (ex art. 18, l. 8 giugno 1990, n. 142, ed ora ai sensi dell’articolo 23, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), non configura alcuna ipotesi di incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere.

3.4 Ugualmente infondato è il quarto motivo (pagina 13 del ricorso), con cui si lamentano: gli abbattimenti indiscriminati degli indici di insediamento e di conseguente edificabilità; la vastità dell’area destinata a zona agricola; la violazione delle precedenti scelte, operate sempre in sede di variante al piano regolatore che tutte consentivano un certo grado di edificazione; l’omessa valutazione degli insediamenti abitativi e commerciali e dei nuclei urbani abusivamente sorti; la mancata pregressa colposa realizzazione delle previsioni del piano (zona G\4). Per tutte le ragioni dinanzi esposte, tali censure si risolvono o in una richiesta inammissibile di sindacato dell’operato politico del Consiglio e delle scelte discrezionali che ne sono corollario; ovvero in richieste di tutela, di fatto, degli insediamenti abusivi realizzati nella zona.
Quanto alle censure inerenti le destinazioni N -verde pubblico-(pagina 16 del ricorso), non interessando le aree di proprietà dei ricorrenti, sono inammissibili per difetto di interesse ad agire.
Parimenti inaccoglibile è la censura inerente alla asserita illegittima soppressione di 45 milioni di metri cubi di edificazione precedentemente ammessa, con la corrispondente soppressione di 500.000 abitanti (pagine 16-17 del ricorso).
Contrariamente a quanto affermato nel ricorso introduttivo (pagina 17), nell’operato del Comune di Roma non si registra, per tutte le ragioni anzidette, alcuna “coattiva riduzione di un’ampia fetta della popolazione”.

4. In conclusione, l’appello principale del Comune di Roma deve essere accolto; quello incidentale della società R.Edil. Mo. Va, invece, respinto. Tuttavia la Sezione, ravvisando giusti motivi, compensa integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in Sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato:
- accoglie l’appello principale proposto dal Comune di Roma, e per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, respinge il ricorso proposto dalla Società R.Edil.Mo;
-respinge l’appello incidentale proposto dalla suddetta Società R.Edil.Mo.;
compensa tra le parti le spese di ambo i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


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