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Giurisprudenza 2001 TAR Veneto sez. II - sentenza 4 gennaio 2001 n. 27

Fatto. I ricorrenti, proprietari nel Comune di S. Maria di Sala di un appezzamento di terreno sul quale insisteva un vecchio edificio a destinazione residenziale e deposito hanno presentato, in data 23 febbraio 1989, una istanza di ristrutturazione dell'edificio che veniva assentita con concessione datata 21 luglio 1989, previo computo degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione pari a lire 68.673.340.
In sede di sopralluogo effettuato in data 15 maggio 1992 da funzionari dell'ufficio tecnico comunale, ai ricorrenti veniva contestata la totale demolizione del manufatto e la sua ricostruzione in difformità dalla predetta concessione edilizia.
L'amministrazione comunale ordinava, in data 28 maggio 1992, la sospensione dei lavori e successivamente rilasciava, su domanda dei ricorrenti, una concessione in sanatoria e variante previo pagamento della sanzione amministrativa che veniva determinata in lire 100.475.664. I ricorrenti hanno versato la somma anzidetta con riserva di ripeterla ed hanno proposto il presente ricorso, con cui chiedono l'annullamento dell'atto impugnato per i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per difetto di presupposto e di istruttoria.
Sostengono che poiché la concessione era stata rilasciata per ristrutturazione ed il recupero di un edificio fatiscente era implicito che l'intervento comportasse la demolizione di tutte le strutture pericolanti e delle parti oggetto di crolli spontanei; che pertanto l'ordinanza che irroga la sanzione è illegittima perché l'opera realizzata corrisponde al progetto approvato e la demolizione parziale dell'edificio preesistente è compatibile con la nozione di ristrutturazione edilizia.
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 10 comma 1^ della legge n. 47/85 e dell'art. 97 comma 1^ della legge regionale n. 61/85.
Si sostiene che non sussistendo difformità progettuale non sussistevano i presupposti per l'irrogazione della sanzione e che comunque si sarebbe dovuto applicare la norma che prevede la sanzione minima per il caso di autorizzazione richiesta in corso d'opera, ovvero di variazioni sanabili prima del rilascio di abitabilità e non soggette ad alcuna sanzione amministrativa. 3) eccesso di potere per difetto di motivazione.
Si sostiene che l'amministrazione ha applicato la sanzione pecuniaria corrispondente al doppio del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse senza indicare il criterio seguito per determinare detto valore, che si è tradotto in una sanzione abnorme ed assolutamente ingiustificata.
4) eccesso di potere per violazione del principio di tipicità e per sviamento.
Si sostiene che il pagamento della sanzione è stato imposto come condizione per dar corso al rilascio della concessione in sanatoria, che invece non era necessaria per completare l'intervento già assentito.
5) violazione dell'art. 3 della legge n. 241/90.
Si sostiene che i ricorrenti non hanno mai avuto conoscenza del parere dell'ufficio tecnico comunale richiamato ob relationem nel provvedimento impugnato.
In data 23 dicembre 2000, avendo conosciuto, in seguito al loro deposito in giudizio, la delibera che ridetermina la sanzione pecuniaria riducendola da lire 100.475.664 a lire 81.633.798 hanno dedotto i seguenti motivi aggiunti:
6) violazione dell'art. 3 della legge n. 241/90.
Si sostiene che l'amministrazione ha dapprima ingiunto il pagamento della sanzione edilizia e solo in seguito ha specificato i criteri di calcolo in base ai quali essa è stata determinata, sovvertendo il principio della motivazione contestuale dei provvedimenti amministrativi. 7) eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità.
Si sostiene che mentre nel provvedimento si fa riferimento alla sanzione di cui all'art. 10 comma 1^ della legge n. 47/85 (doppio dell'aumento del valore venale) l'ufficio tecnico l'ha determinata ai sensi dell'art. 97 comma 1^ delle legge regionale n. 61/85 (doppio del contributo di concessione).
8) violazione dell'art. 97 della legge regionale n. 61/85 e dell'art. 9 della legge n. 122/1989; eccesso di potere per difetto di presupposto.
Si sostiene che la sanzione comprende anche il contributo per l'ampliamento dei garage interrati che è soggetta ad autorizzazione gratuita ed in caso di difformità a sanzione pecuniaria ridotta (da 500.000 a 2.000.000).
In data 28 novembre 1992 si è costituita in giudizio l'amministrazione comunale eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso e comunque la sua infondatezza, chiedendone la reiezione con vittoria di spese.
Alla pubblica udienza del 29 giugno 2000, previa audizione dei difensori delle parti, la causa è stata introitata per la decisione.

Diritto. L'amministrazione resistente ha eccepito, in via pregiudiziale, l'inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione dell'ordine di sospensione dei lavori emesso in data 28 maggio 1992 e per il fatto che dopo tale ordine sia stata presentata una richiesta di sanatoria incompatibile con l'impugnativa della sanzione.
Ambedue le eccezioni vanno disattese.
Quanto alla prima perché la giurisprudenza ritiene che tra l'ordine di sospensione dei lavori ed i successivi ed eventuali provvedimenti sanzionatori non sussista un rapporto di pregiudizialità che implichi sul piano processuale la necessità dell'impugnazione dell'atto di sospensione, salvo che non si voglia far valere l'eventuale vizio che inficia "ex se" il provvedimento cautelare in sede di successivo ricorso avverso l'atto definitivo sanzionatorio (cfr. T.A.R. Campania sez. II, Napoli, 9 novembre 1992, n. 289; T.A.R. Umbria 9 giugno 1994 n. 366).
Va soggiunto, peraltro, che nella specie l'ordine di sospensione dei lavori non contiene una contestazione precisa e circostanziata dell'abuso successivamente sanzionato.
Esso è, infatti, così motivato: "vista la relazione di sopralluogo dell'ufficio tecnico e della polizia municipale prot. 7348/90 dalla quale risulta che sono state accertate alcune difformità rispetto al progetto approvato di cui alla concessione edilizia n. 3489/90"….ordina….
Quali fossero tali difformità, peraltro, non è specificato neanche nella relazione richiamata, la quale si limita a riportare la situazione di fatto riscontrata dagli agenti nel corso del sopralluogo ed in particolare l'avere essi appreso, interrogando il responsabile del cantiere, che l'edificio era stato demolito e ricostruito sullo stesso sedime in tre stralci.
E poiché i ricorrenti non contestano in sé il fatto accertato ma la sua rilevanza ai fini della sanzione pecuniaria irrogata con gli atti successivi, la Sezione ritiene, anche per questa ragione, che nessuna preclusione processuale può farsi derivare dall'omessa impugnativa dell'ordine di sospensione dei lavori, che, oltretutto, è stato revocato in concomitanza con la concessione in sanatoria coevamente rilasciata.
Quanto al secondo profilo, consistente nell'avere i ricorrenti presentato una domanda di concessione in sanatoria implicitamente ricognitoria dell'abuso commesso, la Sezione osserva che la domanda di sanatoria è generica almeno quanto la contestazione che l'ha generata e non è affatto scontato che essa implicasse il riconoscimento dell'abuso più grave tra quelli cui erano riconducibili le opere oggetto di sanatoria.
I ricorrenti sostengono, infatti, di non essersi resi conto delle implicazioni che tale domanda comportava poiché ritenevano di dover sanare non già un abuso integrale (art. 97 comma 3^ L.R. n. 61/85) ma una mera variazione esecutiva apportata in corso d'opera e dunque non soggetta a sanzione perché non implicante difformità di sagoma, di superfici utili e di destinazione d'uso del manufatto (art. 97 comma 1^ legge citata).
L'amministrazione d'altra parte, come già osservato, non aveva contestato l'abuso più grave essendosi limitata a rilevare l'esistenza di alcune difformità e dunque non può sostenere, come di fatto sostiene in questa sede, che la sanatoria implicasse acquiescenza alla più grave delle ipotesi di abuso contestata e che fosse prevedibile, se non scontata, l'applicazione della corrispondente sanzione.
In ogni caso, poiché non è in discussione la sussistenza di un abuso ma la sua classificazione giuridica ai fini sanzionatori, la presentazione della domanda di sanatoria non appare decisiva ai fini della dedotta consequenziale inammissibilità del ricorso avverso la determinazione della sanzione.
Anche la seconda eccezione pregiudiziale va quindi respinta.
Nel merito, con le prime due censure che possono essere congiuntamente trattate, i ricorrenti contestano che l'intervento edilizio potesse essere implicitamente classificato "in totale difformità rispetto alla concessione edilizia" per il solo fatto che esso fosse stato attuato previa demolizione integrale del preesistente edificio e non con il recupero e la progressiva la ristrutturazione del manufatto esistente.
Sostengono infatti che il progetto evidenziava ab origine la necessaria demolizione di strutture portanti e che l'abbattimento dell'intero manufatto, di cui erano note le precarie condizioni strutturali, si sostanzia in una modalità d'intervento assolutamente necessaria ai fini della successiva operazione di recupero.
L'intervento attuato, in quanto consistito nella fedele ricostruzione dell'edificio demolito, sarebbe, comunque, compatibile con il concetto di ristrutturazione previsto dall'art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457, nell'interpretazione prevalente recepita dalla giurisprudenza amministrativa.
In realtà è noto che la giurisprudenza formatasi sul concetto di ristrutturazione non è univoca e riflette l'ambigua formulazione della norma (art. 31 lett. d) della legge n. 457/1978), che definisce quel tipo di intervento edilizio.
In particolare la Sezione non ignora il contrasto che sussiste tra l'indirizzo dei giudici penali (per tutte Cass. Pen. 3^ sez. 1 luglio 1999; idem 17 gennaio 1994) e quello dei giudici amministrativi (per tutte C.d.S. sez. 5^ 24 febbraio 1999 n. 197; C.d.S. sez. 5^ 28 marzo 1998 n. 369; C.d.S. sez. 5^ 12 luglio 1996 n. 1359) che appare tuttavia sufficientemente consolidato nel senso di ritenere che ove la concessione rilasciata ex art. 31 non prescriva espressamente il divieto di demolizione per ragioni inerenti alla conservazione del manufatto preesistente in funzione delle sue caratteristiche intrinseche o per la necessità di rispettare peculiari vincoli di protezione (sul punto cfr. T.A.R. Veneto sez. 2^ n. 898 dell'11 aprile 2000 ), nella nozione di ristrutturazione rientrino anche gli interventi consistenti nella demolizione e nella successiva ricostruzione del fabbricato purché quest'ultima sia "fedele" (C.d.S. sez. 5^ 12 luglio 1996 n. 861 e 9 luglio 1990 n. 594) e cioè che vengano conservate e riprodotte le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente (C.d.S. sez. 5^ 20 novembre 1990 n. 786) e che il nuovo edificio risulti quanto a sagoma e volumi identico a quello demolito (C.d.S. sez. 5^ 14 novembre 1996 n. 1359).
Recependo tale ultimo indirizzo la Sezione rileva che nel caso di specie l'amministrazione comunale ha irrogato la sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 97 comma 3^ assumendo come presupposto determinante ed esclusivo il fatto che l'intervento di ristrutturazione sia stato realizzato attraverso la demolizione integrale del manufatto preesistente, mentre avrebbe dovuto dimostrare che la ricostruzione ed il recupero non è stato fedele e che le opere realizzate sono sostanzialmente diverse rispetto a quelle assentite con la concessione originaria.
Questa contestazione, peraltro, non è formulata negli atti impugnati e viene evidenziata solo negli atti difensivi, che, tuttavia, anche a prescindere dalla loro inidoneità ad integrare la motivazione non specificano in alcun modo, in quali opere di contenuto sostanzialmente diverso rispetto alla concessione (ampliamento, mutamento di sedime, diversità di caratteristiche tipologiche etc.) l'abuso maggiore si sia concretizzato.
E questa omissione appare un elemento decisivo in quanto, a fronte del parere asseverato dal direttore dei lavori (doc. n. 3 depositato il 10 novembre 1999) che attesta la corrispondenza tra progetto concessionato ed opere realizzate, l'amministrazione non ha né dimostrato né confutato alcunché, confermando implicitamente la sussistenza del dedotto vizio di difetto di presupposto e di motivazione.
Vizio che si sostanzia altresì nella violazione dell'art. 97 della L.R. n. 61/85 per non avere l'amministrazione provato, nel contesto di un procedimento peraltro assai confuso, i caratteri essenziali dell'abuso sanzionato ed in particolare la rilevanza delle opere contestate in funzione della qualificazione implicita di intervento difforme dalla concessione.
Sul piano sintomatico, la circostanza che l'amministrazione abbia agito in maniera confusa e senza la percezione della necessità di qualificare in maniera chiara e coerente l'abuso condonato è provato dal fatto che, né l'ordinanza di accoglimento della domanda di sanatoria, né quella che quantifica la sanzione menzionano l'art. 97 comma 3^ della L.R. n. 61/85 ed anzi la seconda richiama inspiegabilmente l'art. 10 della legge n. 47/85 che riguarda le opere eseguite senza autorizzazione.
I vizi sopraevidenziati, per il loro carattere assorbente, rendono superflua anche la valutazione dei motivi riferiti all'omessa indicazione dei criteri di quantificazione della sanzione, criteri che effettivamente risultano essere state esplicitati solo a posteriori e precisamente nel computo datato 24 settembre 1992, predisposto per la riduzione della sanzione originaria. L'incidenza del vizio è inoltre tale, sul piano logico, da travolgere, in via derivata, pure i successivi atti di parziale rideterminazione della sanzione, che muovono dal medesimo presupposto già riconosciuto erroneo.
Anche l'operazione di ricalcolo, che ha dato luogo alla parziale riduzione e restituzione della somma inizialmente determinata in circa 100 milioni, è invero apodittica in quanto assume che l'ufficio tecnico "ha effettuato una verifica" ma non chiarisce la sostanza delle difformità riscontrate tra il progetto concessionato e quello realizzato, posto che la cubatura indicata appare la stessa (4729,37) e non si accenna agli elementi che hanno indotto a qualificare non fedele la ristrutturazione.
Ne consegue che la posizione dell'amministrazione comunale finisce sostanzialmente per far leva, anche negli atti che riducono la sanzione, sulle modalità dell'intervento (demolizione in luogo di sostituzione progressiva degli elementi da ristrutturare) anziché sul suo risultato complessivo, nel senso sopra chiarito.
Per tale ragione gli atti che quantificano la sanzione pecuniaria vanno annullati. In forza della presente pronuncia di annullamento viene meno per l'amministrazione comunale il titolo a trattenere le somme versate dai ricorrenti in esecuzione degli atti impugnati, con conseguente obbligo di dar corso alla loro restituzione, incrementate dai relativi interessi a partire dal momento della loro percezione.
Resta salva per l'amministrazione intimata unicamente la possibilità di rideterminare l'eventuale sanzione applicabile ex art. 97 comma 1^, per la variante in corso d'opera oggetto della domanda di sanatoria, attraverso il raffronto analitico tra ciò che costituisce oggetto delle opere sanate con la concessione n. 3489/2, che non è coinvolta dalla presente pronuncia, e ciò che è stato autorizzato con la concessione originaria.
Quanto alle spese e competenze di causa la Sezione ritiene equo disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, accoglie il ricorso e per l'effetto annulla i provvedimenti impugnati con le conseguenze di cui in motivazione.
Spese e delle competenze di causa compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


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