LE SINTESI DEGLI INTERVENTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE
"NUOVE REGOLE PER IL NUOVO MILLENNIO"
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  • CANI DA GUARDIA di Deepak Nayyar
  • HOMO BANDITUS di Dario Fo
  • POVERTÀ IN AUMENTO di Yilmaz Akiuz
  • GOVERNARE LA GLOBALIZZAZIONE SI PUÒ! di Roberto Bissio
  • "VI ASPETTO NEL TIMOR EST" di Mons. Carlos X. Belo
  • IL NUOVO LAVORO di Mario Agostinelli
  • BAMBINI SCHIAVI di Neal Kerny
  • IL POTERE DEI CONSUMATORI di Francuccio Gesualdi
  • RICONOSCERE L’ALTRO intervista ad Arturo Paoli
  • MICRO, MACRO intervista a Nicola Bullard

    CANI DA GUARDIA

    di Deepak Nayyar

    Nell’era della globalizzazione si parla di regole e condizioni. Allora è bene dire che attualmente ci sono regole diverse per sfere diverse: ad esempio vi è assoluta libertà di circolazione di capitali e freni invece alla mobilità del lavoro. Eppure i paesi sono obbligati ad aprire al massimo i mercati ma non è invece aperto loro il trasferimento tecnologico e il know how. La soluzione è di rendere omogenee le regole. Non solo. Le regole, poi, non valgono per tutti.

    POTENTI E DEBOLI

    I paesi potenti infatti non le rispettano (ad esempio gli USA e il Regno Unito ricorrono spesso a misure unilaterali), mentre i paesi deboli non possono ribellarsi, né difendersene. Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale impongono regole solo ai paesi debitori e sono regole che seguono l’interesse delle banche che hanno prestato i soldi. Le istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e Fondo Monetario) agiscono come cani da guardia per le banche. Occorre allora che le regole siano le stesse per tutti e che ci siano però delle flessibilità per garantire lo sviluppo.

    ANTI-TRUST

    Chi fa le nuove regole? L’incremento del livello di apertura per i mercati finanziari corrisponde al decremento del ruolo dei governi nei paesi più deboli. I diritti e la libertà degli investitori stranieri deve quindi avere come contrappeso degli obblighi ben precisi e delle severe regole anti-trust. L’insieme di queste regole danno comunque scarsa flessibilità e indipendenza nelle decisioni sullo sviluppo da parte dei governi di questi paesi. I diritti di proprietà intellettuale bloccano il loro sviluppo tecnologico, e negoziati come quello –arenatosi- su un possibile "Accordo Multilaterale sugli Investimenti" (AMI) rendono sempre più difficile la loro capacità di contrattazione. Il nuovo regime di globalizzazione ha delle regole ma sono unilaterali e non omogenee. Al ripensamento delle regole devono partecipare anche I paesi più poveri, e non solo I paesi industrializzati. Occorre fare leggi internazionali consensuali, simmetriche e applicabili ovunque.

    NON SOLO REGOLE

    Non si tratta semplicemente di regole e di arbitri. Si tratta anche della condizione dei giocatori. Se alcuni giocatori non hanno le risorse e le capacità iniziali per mettersi in campo, non si tratta più di un gioco con delle regole, ma una passeggiata per i paesi industrializzati. I paesi deboli devono essere messi in grado di giocare.

    FINANZA

    In certe sfere, poi, non ci sono regole: si guardi ad esempio alle transazioni internazionali di capitali, la cui vorticosa circolazione condiziona i paesi a tenere alti i tassi di cambio e i tassi di interesse con effetti negativi sull’economia reale e sull’occupazione (sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo). Una autorità finanziaria mondiale dovrebbe coordinare i movimenti finanziari e regolarne i flussi. Così come un quadro di regole multilaterali dovrebbe essere creato intorno alle leggi sull’immigrazione, basate su regole certe piuttosto che sulla discrezione dei singoli paesi. Il principio è quello di formulare regole internazionali che tengano in considerazione il livello di sviluppo e le specificità di ogni paesi, e diano anche l’opzione di tenersi fuori.

    SPAZI OCCUPATI

    La forza della globalizzazione è tale che il potere dei governi nazionali è ridotto e gli spazi sono presi da altri attori che non agiscono secondo comportamenti cooperativi. I risultati sono politiche ambientali insostenibili, sociali ed economiche sempre più fuori dal controllo. Il governo globale non è dunque un governo mondiale quanto una serie di regole e regolamenti che possono facilitare lo scambio e la crescita di tutti i paesi.


    "HOMO BANDITUS"

    di Dario Fo

    Quello che vorrei che tutti denunciassimo è la rapina, l'infamia che si sta perpetrando da anni ai danni dei paesi del Terzo Mondo, ai danni della gente povera, che non ha i mezzi per difendersi. Questa è a mio parere la necessità più impellente, quella di informare. Rivolgendosi ai giovani, nelle scuole per esempio, si capisce che c'è una "informazione dell'oblio": la volontà di non far sapere, di distorcere la realtà. Non solo si danno poche informazioni sulla situazione dei paesi del Sud, si mortificano continuamente e le uniche azioni che si portano avanti sono quelle di invaderli con le armi, di minarli con ordigni bestiali, ma la cosa peggiore è che si agisce con una grande ipocrisia. Quando le grandi organizzazioni si sentono attaccate riescono a portare avanti delle motivazioni false per il loro operato. Ad esempio per difendere la manipolazione genetica ci stanno dicendo che stanno lavorando per aumentare il benessere dei popoli poveri, per permettere a tutti di mangiare a basso costo. E' una infame bugia, perché in realtà si cerca sempre di rapinare con mezzi subdoli e con la collaborazione dell'indifferenza dei mass media, il che è anche più grave. I giovani sono generosi se informati correttamente, se messi di fronte alla realtà di come ad esempio le banche riescono a prendere per lo stomaco, per la gola i poveri del mondo. E' giusta la definizione di un delegato dell'ONU che ha detto che dopo "l'Homo sapiens" c'è "l'Homo banditus". Il pericolo sulla terra è proprio l'avidità dell'uomo. A tutti voi sollecito di continuare così, di utilizzare la grande arma della coscientizzazione, di informare con tutti i mezzi a disposizioni. L'aspetto più negativo di ogni battaglia è proprio il vuoto dell'informazione.


    POVERTÀ IN AUMENTO

    di Yilmaz Akiuz responsabile UNCTAD per le politiche macroeconomiche e lo sviluppo

    La globalizzazione non ha mantenuto le promesse: ci avevano detto che con la globalizzazione il divario tra paesi ricchi e paesi poveri si sarebbe ridotti. Ci avevano promesso che i salari dei paesi poveri si sarebbero avvicinati fino a coincidere con quelli dei paesi ricchi; o che il divario tra salari da lavoro specializzato e non specializzato sarebbero stati sempre meno consistenti. Tutto ciò non è accaduto.

    ATTO DI FEDE

    Gli studi dell’UNCTAD dimostrano come la fiducia nella globalizzazione sia solo un atto di fede: i divari e le disuguaglianze nel mondo sono drammaticamente cresciuti e la tendenza degli ultimi anni, non solo a livello internazionale, ma anche a livello nazionale, è verso una sempre più forte polarizzazione; i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri non migliorano le proprie condizioni, una fascia di paesi e ceti medi sprofondano nella povertà. I salari dei paesi poveri sono ben lungi dall’avvicinarsi a quelli dei paesi ricchi e il lavoro in generale perde il confronto coi profitti. Mentre i profitti crescono, si assiste all’incapacità di questi di generare lavoro. A fronte infatti di un’enorme libertà di movimento del capitale, altrettanto non può dirsi del lavoro; così accade che il capitale sfrutti questa sua libertà e facilità di movimento per accrescere il proprio potere di negoziazione rispetto al lavoro. A questi aspetti si affianca la completa liberalizzazione del settore finanziario, che agisce oggi in modo incontrollato e indisturbato.

    SELEZIONE

    Ma la globalizzazione è un processo selettivo ed instabile; globalizzazione significa liberalizzazione solo dove si vuole. Così settori che sarebbero cruciali per accrescere le esportazioni dei paesi poveri (tessile, agricoltura etc…) vengono protetti dalle politiche protezionistiche dei paesi ricchi. Nuovi protezionismi si affacciano sull’economia mondiale: l’imposizione di standard di sicurezza, sociali, ambientali diventano veri e propri vincoli per quei paesi che non sono in grado di garantirli. E’ quanto meno ironico che quegli stessi paesi che hanno reso possibile il loro formidabile sviluppo a spese dell’ambiente e della sicurezza si ergano oggi a giudici di ciò che è bene o male per l’ambiente, la sicurezza e le garanzie sociali.

    CHE FARE

    Ma allora, ci si chiederà, cosa si può fare? Innanzitutto è necessario garantire ai paesi poveri trattamenti differenziati, è necessario che in settori importanti come l’agricoltura siano concesse agevolazioni. In secondo luogo bisogna mettere sotto controllo la finanza, e la Tobin Tax è un importante dimostrazione che gli strumenti esistono. In terzo luogo è possibile promuovere il lavoro non specializzato, che oggi perde continuamente terreno rispetto a quello specializzato. Tutto ciò è però possibile in un quadro di partecipazione allargata, in cui la ‘global governance’ sia affare di tutti, in cui non siano pochi interessi forti a dettare le regole, ma in cui la voce di tutti possa farsi sentire a tutti i livelli


    GOVERNARE LA GLOBALIZZAZIONE SI PUÒ!

    di Roberto Bissio direttore dell’Istituto Tercer Mundo

    Il ventesimo secolo ha rappresentato nella storia dell'umanità un'epoca di grandi cambiamenti che hanno creato grande ottimismo e aspettative. Da molti viene detto che, come allora lo sviluppo tecnologico portò nuovi posti di lavoro e nuove occasioni di crescita, anche le nuove tecnologie rappresentano oggi un'opportunità per tutti. Ma la storia non si ripete.

    INCERTEZZE

    Siamo di fronte a gravi incertezze: l'economia, la finanza, il commercio, le nuove tecnologie sono prodotti dell'uomo e non rispondono a leggi di natura. Le decisioni politiche creano delle tendenze e influenzano l'andamento dell'economia mondiale, ma non si tratta di processi automatici e irrevocabili. Queste decisioni prese nei consessi internazionali dai rappresentanti dei governi diventano vincolanti, e così le dichiarazioni di principio dei capi di stato sull'importanza dei diritti umani e di uno sviluppo equo e solidale rimangono promesse. La politica e l'affermazione dei principi fanno un passo indietro rispetto alle decisioni e agli accordi economici.

    CONTRASTI

    Il mondo sperimenta crescenti disuguaglianze, eppure in molti paesi poveri si registrano dati confortanti: la vita si allunga, la democrazia si diffonde. Di contro i paesi ricchi diminuiscono il loro impegno nella cooperazione e nello sviluppo. Ancora una volta le promesse vengono smentite dagli accordi economici. Eppure è possibile governare la globalizzazione, è possibile fissare regole perché il mondo non debba più trovarsi di fronte a gravi e devastanti crisi economiche, è possibile allargare alla società civile la partecipazione alle decisioni sul futuro del nostro pianeta. Si sono aperti grandi dibattiti sulle regole e sono in molti a parlare, ad esempio, di riforma delle istituzioni internazionali, ma in quale direzione ? Ci chiediamo se davvero si voglia andare nel senso di una maggiore democratizzazione del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale. E' certo che questo mondo ha bisogno di regole nuove e ha bisogno che la politica e i principi facciano un passo avanti rispetto agli accordi economici.


    "VI ASPETTO NEL TIMOR EST"

    di Monsignor Belo

    Nel 1998 abbiamo festeggiato il cinquantesimo anniversario della "Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo" delle Nazioni Unite. Eppure le loro violazioni sono ancora gravissime in moltissimi aesi del mondo. Dobbiamo partire dal lavorare perché le regole che ci siamo già dati vengano applicate per poter affrontare le sfide che il nuovo millennio ci pone: la pace e il dialogo tra gli Stati, la pace e il dialogo tra le culture, la pace e il dialogo tra le religioni.

    Nel mio paese, il Timor Est, queste sfide si pongono quotidianamente, in modo forte, e ne condizionano il futuro. Siamo davanti alla necessità della riconciliazione, sia all’interno che all’esterno, in modo che sia possibile pensare alla ricostruzione di un tessuto sociale e civile che permetta una convivenza pacifica e dignitosa per tutti. Anche la ricostruzione fisica, pratica, delle infrastrutture e delle strutture del paese si pone come una sfida. Abbiamo bisogno dell’aiuto internazionale, di tutti.

    Qui mi appello a Mani Tese, un’organizzazione che solo nell’occasione di questo convegno ho avuto l’opportunità di conoscere. So che non opera a Timor Est: la invito caldamente a lavorare nel mio paese, perché nel nuovo millennio anche i Timorosi hanno diritto allo sviluppo, ad avere opportunità di vita dignitose, e Mani Tese può certamente sostenerci in questa sfida.


    IL NUOVO LAVORO

    di Mario Agostinelli

    Vorrei partire da una sorpresa di questa fase storica, e cioè la ripresa della centralità del lavoro - quello che c’è e quello che manca - in tutta la sua pienezza. Non un lavoro qualsiasi a qualsiasi costo e in qualsiasi condizione, ma lavoro come relazione tra le persone, lavoro che porta con sé dei diritti, lavoro dotato di senso e di utilità, lavoro come fonte di dignità e di cittadinanza. Per molto tempo c’è stata una sorta di ubriacatura, si parlava di fine del lavoro, di fabbriche completamente automatizzate, si facevano elenchi di cifre come se dietro non ci fossero volti, relazioni e bisogni. Qualcosa di simile era avvenuto nella prima rivoluzione industriale, fino a che gli operai non hanno cominciato a organizzarsi e a mettere in luce i diritti negati, chiedendo giustizia sociale, tutela e rispetto dei diritti dei lavoratori.

    TEMPO ABBREVIATO

    Oggi, con le nuove tecnologie, il nostro tempo è abbreviato, compresso; viviamo in una situazione di contemporaneità in cui anche lo spazio è tutto interconnesso. Se il potere economico arriva a dominare questa arena, significa che il mondo sarà scandito solo dalla competitività economica, che finirà per informare di sé ogni rapporto. Questo processo di accelerazione si può datare a partire dagli anni Settanta, quando solo dieci paesi superavano il milione di dollari come debito pubblico; oggi sono svariate decine, 24 paesi hanno un debito maggiore del loro prodotto nazionale, e tuttavia alcuni di questi sono paradisi fiscali. Il credito dell’Italia ammonta a 4,3 miliardi di dollari: cominciare a cancellare questi debiti potrebbe significare per migliaia di bambini non essere costretti a lavorare e poter invece andare a scuola. Dietro i prodotti ci sono i processi produttivi, dietro ai processi produttivi ci sono condizioni di lavoro, c’è lo sconvolgimento dell’ambiente, e intanto comincia a farsi strada l’idea che si possono vendere e comprare non solo le merci ma anche la vita, le conoscenze, le culture. E’ questo il nodo che è emerso a Seattle: di chi sono queste cose, se non di tutti?

    EVENTI

    In questi ultimi anni sono successi dei fatti che hanno comportato cambiamenti radicali nel nostro modo di vedere le cose: Hiroshima ci ha insegnato che il mondo può essere distrutto, Chernobyl che non esistono frontiere che possono fermare una catastrofe ambientale, Seattle ci ha insegnato che ambiente e lavoro, nuove e vecchie generazioni non possono essere separati. Ha evidenziato che la società civile comincia a rendersi conto che i diritti, se valgono solo in alcuni luoghi e non in altri, rappresentano una profonda ingiustizia. Ci sono almeno 250 bambini che lavorano. E non solo in India ma anche a Napoli; in Europa ci sono 55 milioni di bambini lavoratori, e stanno aumentando. In Lombardia, che è una delle regioni più ricche d’Italia, anche il tasso di abbandono scolastico è tra i più alti del paese. Si lascia la scuola per il lavoro.

    MINACCE

    Recentemente, durante un incontro pubblico, il rappresentante della "Del Monte Italia" diceva che loro pagavano i loro braccianti assunti regolarmente più del salario minimo legale, cioè un dollaro e novanta contro il dollaro e settanta fissato per legge. Quindi il punto di riferimento è il salario minimo legale, e non importa se non basta per sopravvivere. In Sudafrica, dove il sindacato c’è, la paga minima è 27 volte tanto. La Cgil Lombardia è andata di recente in Marocco, per organizzare il decentramento dei sindacati tessili, e si è trovata davanti un sindacato che stava organizzando uno sciopero e il nostro Ministero Affari Esteri che minacciava: "Se scioperate le aziende italiane se ne vanno". Albertini a Milano propone un salario più basso per gli immigrati. Cioè: ti do il lavoro come se fosse un regalo, ma non sperare di poter avere uguali diritti. Ma ce lo ricordiamo o no che venti, trent’anni fa, per gli immigrati meridionali che arrivavano al Nord, la prima, indiscutibile condizione era: uguali diritti.

    SOLIDARIETÀ

    Occorre un movimento di solidarietà perché i diritti umani, sociali, del lavoro diventino universali. Cgil, Cisl e Uil Lombardia sostengono la proposta di legge sugli acquisti trasparenti. Tra produzione e consumo c’è sempre stata circolarità: Ford addirittura teorizzava che il consumatore e il produttore fossero la stessa persona. Oggi la globalizzazione ha rotto questo concetto: chi produce e chi consuma sono spesso lontanissimi. Va ricostruita questa circolarità, questa alleanza tra diritto del lavoro e consumo etico, in modo che il lavoro torni a essere prima di tutto cittadinanza.


    BAMBINI SCHIAVI

    di Neal Kerny

    Pinto ha dodici anni, è ferito ad una gamba. E’ stato medicato in modo frettolosa perché deve tornare al lavoro: pestare il cuoio per fare palle da cricket per tredici ore al giorno. Lavora da quando ha sei anni. Un’altra bambina che ho conosciuto lavorava tappeti, era costretta a lavorare anche quando si faceva male, senza sosta. Queste storie come mille altre hanno in comune il fatto che siano i bambini a lavorare; i genitori sono disoccupati, a volte non possono lavorare perché sono malati. Tutti questi bambini sono schiavi. E tutto questo succede oggi nonostante centinaia di paesi si siano impegnati formalmente in dichiarazioni e accordi internazionali a garantire a tutti i bambini del mondo il meglio che la vita possa loro offrire; nonostante si siano impegnati esplicitamente perché essi siano protetti dalla trascuratezza, dalla crudeltà e dallo sfruttamento. Si parla di 250 milioni di bambini che lavorano nel mondo.

    LAVORO MINORILE

    Questo tema è oggi al centro di numerosi dibattiti. Alcuni dicono che il lavoro minorile è la conseguenza della povertà. Non lo credo; io credo piuttosto che sia il lavoro minorile causa della povertà, perché un bambino che lavora non va a scuola. Ma il lavoro minorile non è affare solo dei paesi poveri: sono le grandi multinazionali del Nord del mondo che commissionano ai produttori del Sud produzioni a bassi costi perché i profitti siano alti ; sono i consumatori che, non adeguatamente informati, non sono in grado di scegliere se comprare un prodotto frutto di lavoro minorile o meno. Si dice che ai paesi poveri manchino le infrastrutture per costruire le scuole e investire in istruzione: ma che dire quando un paese come il Pakistan investe solo il 2% della ricchezza nazionale in istruzione a fronte di un 50% speso per la difesa? Sono queste le cose che devono cambiare!

    SOLUZIONI

    Le soluzioni esistono e possono funzionare. Cominciano con il responsabilizzare le imprese imponendo un marchio etico da apporre sui prodotti ‘liberi’ da lavoro minorile, in modo da responsabilizzare anche i consumatori. Le statistiche dicono che il 50% dei consumatori del Nord sarebbero disposti a pagare per i prodotti un 5% in più rispetto al prezzo attuale se per la produzione non venissero impiegati i bambini. E’ possibile promuovere il "commercio etico", come ci dimostrano molte esperienze in tutto il mondo. Si tratta quindi di fare delle regole e di imporle al mercato, bisogna ‘imbrigliare la globalizzazione’. Per tutti i bambini che oggi lavorano e perché nel futuro non debbano più lavorare, è necessario che tutto quanto si possa fare e venga fatto.


    IL POTERE DEI CONSUMATORI

    di Francuccio Gesualdi

    I consumatori hanno il coltello dalla parte del manico. È importante essere consapevoli delle proprie potenzialità come consumatori. Un esempio di "campagna positiva" di informazione, che ha dato risultati, è quella contro la multinazionale agroalimentare "Del Monte" per la produzione di ananas. Abbiamo ricevuto una segnalazione dal Kenya, che denunciava pessime condizioni lavorative in un'azienda africana della "Del Monte" dove si producono ananas. In quest'azienda, di più di 4000 ettari, lavorano dai quattro ai seimila lavoratori, dipende del periodo. Siamo andati a visitarla e abbiamo riscontrato effettivamente che i lavoratori operano e vivono in condizioni disastrose. Dal punto di vista della salute, sono obbligati a utilizzare ventuno pesticidi di cui quattro sono vietati per legge e dieci sono considerati estremamente pericolosi dalla "Organizzazione Mondiale della Sanità". I lavoratori sono pagati meno del salario che gli permetterebbe di uscire dalla soglia della povertà e sono spesso assunti solo a giornata o a settimana. Vivono in un villaggio, costruito dalla "Del Monte", in cui le case sono vere e proprie catapecchie, con i tetti di lamiera, senza acqua potabile né luce. Una volta tornati in Italia, abbiamo iniziato a indagare e abbiamo scoperto che la "Del Monte" commercializzava questi ananas anche tramite la "COOP", che aveva firmato la "certificazione di qualità dei prodotti". Una situazione inaccettabile che abbiamo subito segnalato alla direzione della COOP: la quale, nel giro di un mese, ha aperto e chiuso un’indagine interna che ha portato alla sospensione della vendita degli ananas "Del Monte". Come consumatori, quindi, abbiamo grandi potenzialità, a condizione di essere debitamente informati. Ecco perché abbiamo lanciato la campagna "Acquisti Trasparenti", che ha tre obiettivi principali: 1) imporre alle imprese la pubblicazione della lista delle aziende straniere da cui importano i beni che vengono rivenduti, in modo da imporre trasparenza e democrazia commerciale; 2) istituire una autorità di vigilanza che possa appurare la veridicità delle denunce che provengono dalla società civile (garante del consumo etico); 3) istituire l'uso di "marchi etici" appositi che garantiscano al consumatore che le merci acquistate sono state prodotte nel rispetto dei diritti fondamentali dell'Uomo, marchi che saranno concessi dopo un’indagine competente e indipendente. Tutto questo è stato trasformato in una proposta di legge che chiediamo a tutti di sostenere. Non facciamoci prendere dal senso dell’impotenza: sappiamo bene quanto forti siano I nostri interlocutori, ma noi agiamo per la promozione di quei valori della dignità umana che anch’essi devono rispettare.


    RICONOSCERE L’ALTRO

    intervista ad Arturo Paoli a cura di Sandra Cangemi

    "Oggi dobbiamo difendere Cristo dal cristianesimo. Lui non ha fabbricato teorie, ha predicato la fraternità e la giustizia vivendo tra i più deboli. Noi predichiamo le stesse cose da "Wall Street", dal nostro benessere, in modo del tutto astratto, senza mai mettere i piedi per terra. Sono secoli che pensiamo di amare e invece opprimiamo. La nostra cultura è quella dell’Io, del soggetto, che porta con sé la soppressione dell’altro, l’incapacità di riconoscere la sua cultura, la sua storia, la sua religione, il suo diritto alla vita. La globalizzazione è l’apoteosi di un soggetto unico, dominatore e unificante imposto da noi, dall’Occidente cristiano: il mercato. L’intreccio tra cristianesimo e capitalismo è ormai indissolubile. Finché non cambieremo questo paradigma, tutti i nostri progetti di sviluppo e di giustizia resteranno superficiali".

    Arturo Paoli, Piccolo Fratello di Charles de Foucault, non risparmia nulla al pubblico attentissimo del convegno nazionale di Mani Tese. Dopo i dati e le analisi politiche ed economiche, le sue parole di accusa radicale alla società che abbiamo creato e al nostro rapporto con gli "altri mondi" non possono non suscitare una profonda riflessione. Anche perché Arturo Paoli, da quarant’anni, continua a scegliere di vivere in mezzo agli "altri", agli "ultimi della Terra": in Algeria prima ed in Argentina poi; adesso vive in una "favela" brasiliana. Una scelta che all’inizio non è stata tale, e lui lo ammette senza problemi. "Come altri giovani dell’Azione Cattolica, tanti anni fa avevo sostenuto la necessità che i laici fossero liberi di votare il partito che volevano. Il mio superiore mi "consigliò" di passare qualche anno fuori dall’Italia. Non ero contento, all’inizio, e ho accettato il trasferimento in Argentina con l’idea che sarebbe stata una cosa provvisoria. Solo dopo ho capito che la mia partenza era avvenuta per volontà di Dio. Ho iniziato a viaggiare e organizzare ovunque ritiri per religiosi e laici con l’obiettivo di diffondere l’idea e lo spirito della fraternità. E poi a mettere in piedi iniziative per i poveri. Se ti prendi degli impegni, crei delle speranze nella gente, poi non puoi piantarli in asso".

    D. Dove vive lei adesso?

    R. Da quindici anni vivo a Foz do Iguaçu, che in guaranì significa "grandi acque", sulla frontiera tra Argentina e Brasile. "Zona di frontiera" vuol dire commerci di ogni tipo, conflitti, malavita. Laggiù, poi, c’è la diga più grande del mondo: hanno impiegato quarantamila operai per costruirla e poi li hanno licenziati tutti. Non solo: per farle spazio hanno sottratto la terra agli indios Guaranì, e in cambio gli hanno dato un’area completamente desertica. Da una parte ci sono i "favelados", I disoccupati ed i poveri che vivono di espedienti o contrabbando; dall’altra gli indios, miti, sottomessi, maltrattati, affamati, privi di istruzione, chiusi nei loro villaggi. Tra indios e favelados quasi non ci sono rapporti. Ora stiamo tentando di aiutare un gruppo di trentacinque famiglie che hanno occupato un pezzo di bosco vicino alla favela: cerchiamo di vendere il loro artigianato... Ma anche i favelados non se la passano bene: gli occupati stabili saranno l’uno per cento, tutti gli altri vengono assunti temporaneamente e cacciati alla fine del periodo di prova. La città è un luogo turistico, e molti lavorano negli hotel e nei ristoranti. Dalle sale da pranzo arrivano i vassoi ancora carichi, ma c’è l’obbligo di dare tutto ai maiali: se scoprono un dipendente che prende anche solo un pezzo di pane lo licenziano.

    D. Qual è secondo lei il ruolo del missionario?

    R. Non devi essere mandato da altri, non puoi essere "il ricco che va dal povero". Devi andare a mani vuote se vuoi essere accolto. I missionari protestanti hanno un rapporto molto più diretto con la gente, perché vanno di casa in casa, senza fare discriminazioni, si informano sui problemi concreti delle persone, e invitano alla preghiera collettiva. Il missionario cattolico invece si presenta come maestro, non come amico. La grande lotta di Alex Zanotelli è proprio questa: dimostrare che si può e si deve vivere come un povero tra i poveri.

    D. Quali sono le vostre attività?

    R. C’è la casa delle donne, dove le indigene possono dipingere, tessere, produrre artigianato. Cerchiamo di scoprire le loro attitudini e di vendere i loro prodotti. Alcune sono delle vere artiste, e quasi tutte hanno una grande abilità manuale: con un semplice bastone creano tessuti meravigliosi! Ma soprattutto ci occupiamo dei bambini: abbiamo creato delle case-famiglia, ognuna con una coppia di volontari che segue un gruppo di orfani. Inoltre abbiamo organizzato un grande doposcuola dove i bambini possono fare i compiti, ma anche giocare, mangiare, lavarsi, trovare sostegno psicologico. Sempre per i bambini c’è un centro di salute che segue soprattutto quelli con ritardi nello sviluppo: si cerca di capire qual è il problema e di stimolarli nel modo giusto. I ragazzi più grandi si occupano dei più piccoli, chi è più avanti aiuta gli altri. Devono imparare a sostenersi a vicenda, perché io, pur essendo molto amato, resto sempre un "altro", non uno di loro. Uno dei nostri ragazzi è riuscito a finire l’università, si è sposato, ha trovato un buon lavoro. La domanda è: "Resterà amico dei poveri?".

    D. Perché secondo lei non riusciamo a "vedere l’altro", a rispettarlo e amarlo nella sua diversità. Può farci un esempio?

    R. Racconterò un episodio. Per il cinquecentenario della conquista dell’America il mio Vescovo ha organizzato una veglia notturna e ha chiesto a un sacerdote indio di recitare le preghiere. Per tutta la notte lui ha pregato tenendo per mano la moglie. La mattina, siamo andati insieme a prendere il caffè. L’uomo ha parlato a lungo in guaranì. Io non capivo una parola e ho chiesto al vescovo: "Di che sta parlando?". "Di tutto quello che gli è successo da quando ha lasciato la sua tribù", ha risposto il Vescovo. Poi è stata la volta della moglie, che ha parlato per un tempo altrettanto lungo. "E lei cosa sta raccontando?", ho chiesto. "Tutto quello che le è successo da quando ha lasciato la tribù", ha risposto lui. "Ma non ne aveva già parlato il marito?", ho chiesto. "Sì, ma quello che ha visto lei non l’ha visto lui, e viceversa"".


    MICRO, MACRO

    intervista a Nicola Bullard, che si occupa di creare collegamenti tra le attività di base e le organizzazioni internazionali.
    a cura di Jason Nardi

    D - Nicola Bullard, come funziona FOCUS, l’organizzazione per la quale lei lavora?

    R - FOCUS è una piccola organizzazione, non abbiamo molte persone, e una delle sue attività principali è quella di costruire "network" tra organizzazioni a livello internazionale, regionale e locale. Uno dei maggiori punti di forza del nostro lavoro è quello che chiamiamo i collegamenti "macro-micro", ovvero di creare una connessione tra ciò che viene fatto alla base e a livello della comunità locale, con ciò che accade a livello internazionale. E' quello scambio interattivo di idee ed esperienze tra il dinamismo delle persone che lavorano a livelli internazionali con le vere esperienze e le vere aspirazioni di quelli che agiscono a livello di comunità di base. Pensiamo che ciò dia forza alle nostre analisi e idee concrete di quali alternative possiamo veramente mettere in atto.

    D - Ad esempio la campagna per la riforma della Banca Mondiale, che state promuovendo da tempo. Come la analizzate dal punto di vista della "relazione micro-macro"?

    R - Siamo basati in Tailandia, dunque gran parte del lavoro che svolgiamo lo facciamo a livello locale come qualsiasi organizzazione basata in Tailandia. Se torniamo indietro di un paio di anni, la Banca Mondiale era diventata un'istituzione molto importante per il finanziamento dello sviluppo in Tailandia, e stavano cominciando ad avere un ruolo determinante nella ristrutturazione dei settori educazione e agricoltura. Gran parte delle organizzazioni locali non avevano mai avuto esperienze di lavoro con la Banca Mondiale, perché erano molti anni che la Banca Mondiale non interveniva visibilmente in Tailandia. Quello che siamo riusciti a fare, insieme ad altri, è stato quello di portare molte esperienze ed informazioni raccolte localmente ad altre organizzazioni internazionali che si occupando di aggiustamenti strutturali, progetti energetici, ecc. attraverso varie reti.

    Siamo riusciti a portare queste analisi nelle discussioni di associazioni tailandesi che si domandavano come rispondere a quello che la Banca Mondiale stava facendo nella regione e in particolare in Tailandia. Queste associazioni tailandesi hanno tirato fuori una loro risposta particolare all'interazione e l'impegno con la Banca Mondiale ed in questo modo sono riuscite ad evitare molti problemi e errori che altri gruppi hanno avuto in altri paesi perché hanno capito come funziona l'Istituzione, e come affrontare alcuni rischi che si passano quando si diventa partner della Banca Mondiale.

    Posso chiaramente dire che le associazioni tailandesi devono certamente vivere le proprie esperienze e analisi, ma non possono che beneficare dall'apporto di gruppi simili in altri paesi.

    D - Nell’intervento fatto al convegno, lei hai spiegato come coloro che promuovono la globalizzazione dei mercati stiano cercando di cambiare la percezione della gente perché considerino il "volto umano" della globalizzazione. E' davvero così?

    R - Questa della globalizzazione dal "volto umano" è una reazione alle critiche e alla rabbia che è stata espressa nei confronti dell'impatto estremamente negativo e "anti-sociale" di quel che possiamo in realtà chiamare capitalismo globale, perché è un sistema che dà l'assoluto primato al mercato e al capitale. E' totalmente contraddittorio parlare di una globalizzazione dal volto umano, perché per definizione il mercato e il capitale subordineranno sempre gli interessi delle persone -- la logica del capitale è la produzione di profitto, non di miglioramento dello standard di vita.

    D - Cambiare le regole -- come nel caso della riforma della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale o provare a introdurre principi di diritti umani nel Mercato -- sono operazioni di riforma proposte dai goveni: è questa l'alternativa a cui guardiamo o cerchiamo qualcosa di radicalmente diverso?

    R - Queste operazioni sono l'equivalente di una sbrigativa decorazione d'interni per rendere più accogliente, "nuova" e interessante una casa a un compratore. Il tipo di riforme proposte sono molto superficiali: sono aggiunte a una cornice che comunque rimane invariata. Le leggi generali dell'economia, i parametri di misurazione dello sviluppo, la teoria del "trickle down", l'idea che il capitale debba avere mobilità assoluta e che il mercato debba essere assolutamente libero: tutti questi elementi basilari del pensiero economico non sono cambiate. Qualsiasi discorso che non metta in discussione tutto ciò è un trucco. Mi sembra una specie di panacea della cattiva coscienza, come dare un'aspirina a una persona che ha il cancro: non risolve il problema -- anzi è un insulto ulteriore perché è il rifiuto di ascoltare la voce della gente. C'è un'incredibile arroganza tra le persone che lavorano in queste istituzioni, come se i leader e i governi sapessero qual è il bene per l'umanità e che quel che ci offrono è la migliore cosa per noi e dobbiamo accettarla così come viene.


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      Sommario:

  • Parole vuote
  • Romero, il "figlio eletto"
  • Turchia senza diritti
  • Firmato il nuovo accordo ACP/UE
  • Dal mondo
  • Nuove Regole Per Il Nuovo Millennio
  • Quest'estate mi porto a spasso un frigo
  • Relazione sulle attivita' svolte da Mani Tese
  • Fiducia confermata
  • Aggiornamento e formazione per insegnanti


  • Indice completo


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