Negli Anni 60 era la moto più moderna del mondo. Troppo. Svanita nel nulla, è stata ritrovata in Giappone. Ora è tornata a casa, per stupire...
LApollo era il programma spaziale americano lanciato dal John Kennedy
nel 1961 per conquistare la Luna. Limpresa riuscì il 21 luglio
1969.
LApollo era una moto Ducati a quattro cilindri di 1260 cc, progettata
dalling. Fabio Taglioni per conquistare gli Stati Uniti. Costruita nel
1963, successivamente modificata fino al 1965, non riuscì mai nellimpresa,
ma il suo motore, diviso in due su un piano verticale longitudinale, diede vita
al bicilindrico ad L, che anziché la sola America, ha conquistato
il mondo intero.
La Ducati, rilanciata dalle grandi vittorie sportive e dalle strategie commerciali
e di immagine poste in atto dalla nuova proprietà, negli ultimi anni
ha riscoperto la sua storia. Il Cucciolo, la Marianna, la Mach 1, la fortunata
serie delle Scrambler, fino alle bicilindriche dellultima generazione,
tutti i prodotti che hanno contraddistinto lopera industriale della Casa
di Borgo Panigale sono stati spolverati, restaurati idealmente e materialmente,
valorizzati ed inseriti nel contesto in cui furono pensati e realizzati, infine
riuniti in un museo (visita il museo,
Ducati world ti porta virtualmente al suo interno).
In questo museo cè un motore, solo un motore, non una moto completa, che la Ducati conserva da quasi quarantanni, unico esempio di affezione per un progetto mai concretizzatosi, fra i tanti che certamente la Ducati, come tutte le industrie motociclistiche, ha scartato. È il motore dellApollo 1260, un poderoso propulsore per una moto che fino ad oggi il visitatore del museo Ducati poteva solo immaginare.
Questa moto, che cera, ma nessuno sapeva dove, ora è ricomparsa ed è esposta nellatrio della Ducati, assieme alle odierne supersportive. Forse rimarrà per sempre a Borgo Panigale, o forse tornerà da dove è venuta. Non si sa.
Il fascino del mistero
Il ritorno a casa della Ducati Apollo è stato molto importante, per Livio
Lodi, uno degli artefici del Museo Ducati..
Racconta: Il mio primo approccio con questa moto, della quale fino a quel
momento ignoravo lesistenza, risale al 1995, quando Giuliano Pedretti
(un personaggio che della Ducati conosce ogni granello di polvere) mi mostrò,
durante una pausa di lavoro, alcun oggetti polverosi in un magazzino interno
allo stabilimento. Il mio sguardo fu attratto da un motore enorme a quattro
cilindri a V, e Giuliano mi spiegò che si trattava del motore
dellApollo 1200, senza aggiungere altro.
Tre anni dopo, Livio Lodi, diventato assistente di Marco Montemaggi presso il
neonato Museo Ducati, si ritrovò ad osservare quel grosso motore, ripulito
e lucidato, dallarchitettura così simile a quella dei Ducati bicilindrici
attuali.
La mia curiosità nei confronti di quel propulsore era sempre viva,
perché avevo più volte sentito ripetere che lingegner Taglioni
aveva scelto il bicilindrico ad L per non disperdere lesperienza
fatta progettando lApollo, e che quindi quella specie di monumento era
in realtà il progenitore dei Ducati di oggi.
La Ducati aveva sempre conservato quel motore, proprio come un monumento ad un progetto sfortunato. Due moto però erano state effettivamente costruite, ma se ne era persa ogni traccia. Francamente nessuno a Borgo Panigale sperava che un giorno una sarebbe riemersa dalla nebbia. Invece, quel giorno di maggio del 2000...
Il ritrovamento
Nel maggio del 2000, mentre fervevano i preparativi del World Ducati Weekend, Livio Lodi conobbe a Bologna un giornalista giapponese, Miyata Yoji, arrivato a Borgo Panigale per visitare il museo Ducati. Giunto al cospetto del grosso propulsore a quattro cilindri, il giornalista, invece di manifestare stupore come tanti altri, per lo strano e sconosciuto motore, dichiarò di sapere che un collezionista giapponese possedeva una Apollo completa.
Lodi forse era scettico, ma nessun ricercatore è mai disposto a lasciarsi sfuggire una traccia quando annusa lodore di una preda eccezionale. Il giornalista giapponese infatti non era un fanfarone: l11 giugno telefonò a Lodi e gli comunicò di essere entrato in contatto col collezionista Iroaki Iwashita, nella cui casa stava la moto del mistero: lApollo 1260 inutilmente cercata in tutto il mondo per tanti anni.
La Ducati si mise subito allopera per cercare di recuperare il prezioso cimelio. Mirko Bordiga, general manager della Ducati-Japan, e il suo collaboratore Yuzuru Yamane, chiesero a Iwashita di vendere lApollo al museo Ducati, ma ricevettero un diniego piuttosto perentorio. Il collezionista giapponese si dichiarò però disposto a lasciare alla Ducati la moto per sei mesi, anche nella certezza che sarebbe stato compiuta nelloccasione unopera certosina di restauro, di cui la moto necessitava, soprattutto per la mancanza di diverse parti originali.
A fine febbraio, con un volo speciale, lenorme cassa contenente lApollo è atterrata a Bologna. Poco dopo era già nellofficina di Giuliano Pedretti e di Primo Forasassi. Attualmente, ritornata alla condizione in cui era quando fu esibita alla fiera di Daytona del 1965, è esposta nellatrio della Ducati. A Bologna non disperano di poterla tenere per sempre, magari facendo partire per il Giappone un paio di gloriose 888 Racing.
La storia
La vicenda della Ducati Apollo è legata per gran parte del suo sviluppo
al nome dellamericano Joe Berliner, che nel 1958 era diventato lunico
importatore di moto Ducati negli Stati Uniti.
Allinizio degli Anni 60, quando pochi avevano intuito che il futuro
della motocicletta non sarebbe stato nei veicoli onesti ed economici, ma in
quelli ad alte prestazioni per il tempo libero, e quando molti miravano al Nord
America, come ad un grande mercato motociclistico da conquistare, Berliner ebbe
il merito di saper convincere la Ducati dellopportunità di proporre
una maximoto studiata sia per la Polizia americana, sia per i motociclisti USA
abituati alle dimensioni e alle prestazioni delle Harley Davidson.
Sul carter si legge "Ducati Berliner 1260", a testimonianza dello
stretto coinvolgimento dell'importatore americano in questo progetto
Così nacque lApollo 1260, una moto a quattro cilindri, quando due
sembravano già unesagerazione, una moto da 100 CV, quando le Harley
non arrivavano a sessanta; una moto da 200 km/h, quando le Harley passavano
di poco i 150 allora; una moto da 270 kg, quando le Harley superavano
i 310!
Troppo potente per quel periodo, e anche troppo veloce. Nessun pneumatico del
tempo era in grado di sopportare tutti quei cavalli e quella straordinaria coppia
motrice. Nessun fornitore era in grado di garantire pezzi adeguati alle esigenze
di una simile motocicletta, soprattutto in previsione di una produzione in numeri
rilevanti.
L'ing. Taglioni ritenne che una catena standard non avrebbe retto allo sforzo
impostole da 100 CV, così per la trasmissione finale adottò una
catena duplex
La sua eccezionalità fu la sua condanna. Due moto complete furono realizzate
e collaudate; si tentò di ridurre la potenza a 65 CV, ma a quel punto
la moto risultò troppo pesante e poco competitiva, nonché troppo
costosa in relazione a ciò che effettivamente era in grado di offrire.
Le due moto finite rimasero in America fino al 1984, quando la Berliner cedette
il proprio magazzino alla Domiracing Ltd, che a sua volta vendette lApollo
o le Apollo non è ancora stato appurato ad appassionati
collezionisti. Una è riapparsa. Laltra, dovè?
La
moto
LApollo acquistata da Iroaki Iwashita per 17.000 dollari nel 1984 era stata modificata in diversi particolari: il serbatoio originale, lo stesso della Ducati Mach 1 250, risultava sostituito con una della 750 S; Il fanale non era il suo, i pneumatici non avevano la banda circolare bianca; tutta moto richiedeva un restauro accurato; la frizione in particolare (17 dischi) era bloccata.
Col generoso aiuto di un collezionista italiano di Ducati, Andrea DellOmo, lApollo è stata restaurata riportandola allultima versione del 1965.
Esteticamente laspetto è quello di una moto italiana americanizzata con la semplice applicazione di parafanghi più pronunciati ed avvolgenti del solito, con un manubrio a corna di bue, e soprattutto con un sellone molto yankee, delimitato posteriormente da un grande maniglione cromato. Completano il restyling due larghissimi (per lepoca) pneumatici di tipo automobilistico arricchiti della banda bianca tanto cara alle berline USA Anni 50 e 60.
Protagonista assoluto della tecnica, ma anche dellestetica, è
comunque il propulsore, davvero enorme non tanto per la presenza dei quattro
cilindri a L longitudinale di 90°, quanto per limmenso
carter tagliato su un piano orizzontale inclinato e per la grande scatola del
cambio in blocco a quattro rapporti.
Lalimentazione era fornita da quattro carburatori Dellorto TT con diffusore
di 24 mm e due vaschette separate; gli scarichi erano 4 in 2 con i classici
e affusolati silenziatori Silentium che equipaggiavano la quasi totalità
delle moto italiane dellepoca. Laccensione era a spinterogeno e
lavviamento elettrico era garantito dal motorino della Fiat 1100 collocato
dietro i cilindri verticali.
Decisamente anticonvenzionale era la trasmissione finale a catena duplex, chiaramente scelta per il timore che una catena semplice non riuscisse a resistere a tanta potenza. Lo stesso scrupolo non si era avuto per i freni, due tamburi a camma singola, che oggi non basterebbero per un ciclomotore.
Dati tecnici
Motore: a 4 tempi, 4 cilindri a L
longitudinale di 90°, raffreddamento ad aria, alesaggio e corsa 84,5 x 56
mm
cilindrata: 1256 cc;
distribuzione: a due valvole per cilindro comandate da aste e bilancieri;
rapporto di compressione: 8:1;
alimentazione: con quattro carburatori Dellorto TT 24
Accensione: a spinterogeno.
Lubrificazione: a carter umido.
Avviamento: elettrico con motorino ad innesto elettromagnetico.
Trasmissione: primaria a ingranaggi, finale a catena duplex.
Frizione: multidisco in bagno dolio,
cambio: a quattro marce.
Ciclistica: telaio monoculla in tubi dacciaio
aperto inferiormente e integrato da elementi in lamiera stampata.
Sospensioni: anteriore a forcella teleidraulica con steli superiori
racchiusi; posteriore a forcellone oscillante con due ammortizzatori
teleidraulici laterali simmetrici.
Ruote: cerchi a raggi metallici con pneumatici 5.00x16 su entrambe
le ruote.
Freni: anteriore a tamburo centrale con comando meccanico mediante
trasmissione flessibile; posteriore a tamburo centrale con comando meccanico
a trasmissione flessibile.
Dimensioni e peso: interasse 1537 mm. Peso a secco 270,5
kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 80 CV (58,82 kW) a 6.000 giri
(100 CV nella versione Sport).