CEU Centro di Ecologia Umana
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Dentro e Fuori
  • Coppola, Alessio 
    Relazione introduttiva Convegno "Dentro e Fuori"
    Rebibbia 7 Marzo 2002

    Ho letto anch’io gli articoli sul famoso “trattamento” del condannato, da cui la brutta parola “trattamentale”. Sono qui riportati in questo pieghevole, molto ben fatto, dal Circolo Giano. Si, è chiaro sono molto d’accordo sul ruolo positivo ed insostituibile delle associazioni di volontariato per il trattamento reintegrativo del condannato.

    La mia associazione è il CEU, il Centro di Ecologia Umana, affiliato a Legambiente fin dal 1992. Abbiamo lavorato negli anni passati quasi esclusivamente sulla questione psichiatrica, lottando per la chiusura dei manicomi, contro l’elettroshock ed i trattamenti psichiatrici coattivi. Non senza alcuni importanti risultati. Poi ci siamo convertiti al carcere…

    Da tre anni siamo entrati dentro Rebibbia da uomini liberi in cerca di detenuti, con le autorizzazioni concesse in base all’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario. Insieme, con alcuni esponenti più sensibili di Legambiente, soprattutto Legambiente Lazio, abbiamo iniziato un lavoro di crescita comune sui temi dell’ecologia umana.

    Dopo tre anni di presenza costante, con corsi di formazione e soprattutto con la costituzione del Circolo Giano, affiliato al CEU, sono convinto dell’importanza dell’affermazione dell’ecologia umana, come pratica concreta sia per migliorare l’ambiente fisico del carcere sia per ridurre ed addolcire gli aspetti più afflittivi della pena.

    Oggi sentiremo direttamente dai soci di Giano i loro passi avanti, le sacrosante denunce, le difficoltà ed i successi nel loro cammino di reintegrazione sociale già all’interno della detenzione e poi nella prospettiva di un futuro senza carcere e dopo il carcere.

    Vorrei soltanto riuscire a comunicarvi il significato del tutto nuovo con cui io guardo oggi ai miei amici detenuti. Oggi, fanno parte della mia vita, del mio quotidiano, sono parti importanti della mia evoluzione vitale.

    Per altri, essi sono ancora fattispecie di codici, crimini e condanne ambulanti, iatture sociali, ingorghi viventi di una devianza sempre minacciosa, memoriali di ferite che devono restare aperte.

    Per me oggi sono abbracci, baci, scambi d’intelligenza e di passioni, incontri e scontri di punti di vista, sorgenti di sogni cullati in una cella trasformata in una tenebra feconda (Parlare di Mario Astorina, dimenticato in carcere da 27 anni. Si attende forse che il cosiddetto trattamento completi il suo corso capriccioso, e che il vecchio ragazzo, ora uomo maturo, diventi più avvezzo agli ossequi formali, più falso, più ipocrita forse …? Siamo invece di fronte ad alcuni  cambiamenti profondi, ispirati anche dall’ecologia umana. L’idea del Comitato per Mario, per dargli amicizia e sostegno umano. Parlare degli altri amici di Giano, riconoscere alla Direzione, Di Rienzo e Del Villano, al sorriso buono del Comandante Leo, all’impegno infaticabile di Don Spriano, l’audacia di questa tranquilla ed operosa convivenza  fatta anche di piccole grandi realtà, come quella della sede e della redazione di Giano, della Cooperativa e-Team, dei VIC, della Papillon, Arci, Incontro, ecc. ).

    M’invade a volte da alcuni mesi una paura crescente, che sia meglio che il carcere non finisca per i miei amici, per non portare a morte la loro speranza nell’incontro con una realtà di reintegrazione sociale che rischia di restare una pura fantasia.

    Per contrastare con efficacia questa paura del futuro, non ci resta che pensare a due cose, due grandi cose fa fare. La prima è come mettere le gambe giuste all’idea di una cooperativa, forse più di una cooperativa, meglio un insieme coordinato di cooperative che dia lavoro dentro e fuori il carcere e con il lavoro dia la dignità di persone liberate dal bisogno.

    La seconda è come ingrandire ancor più le ali del nostro desiderio. Senza un forte desiderio si raccolgono solo briciole dalla tavola dei signori. Noi dobbiamo nutrire un desiderio grandioso, quello di trasformare questi luoghi di privazione in luoghi di forti passioni e di forti cambiamenti socio culturali.

    Dobbiamo suscitare un progetto della Direzione e della Sorveglianza di questo carcere, che sia esemplare rispetto alle altre carceri. Dobbiamo unire le nostre associazioni, i nostri migliori detenuti, i migliori agenti, i migliori magistrati, in un progetto di sospensione effettiva della pena e di liberazione di tutto ciò che è liberabile. Per me tantissimo.

    Gli uomini di buona volontà sono molto di più di quel che si pensa di primo acchito. Essi a volte aspettano soltanto fattori capaci di coagulo. E qui dentro ce ne sono molti, all’interno di tutti i ruoli vissuti o sofferti. Con queste tante buone volontà penso possibili grandi fatti di riforma. E senza che la cosiddetta società esterna, quella del benessere e della pace sia minimamente disturbata nella sua quiete, che a volte però, diciamolo, è veramente letale…

    Dobbiamo preparare un forte FUORI, dobbiamo installare nella società esterna cellule di persone rinate alla libertà, capaci di discuterla e di farla avanzare anche tra chi non ha mai fatto un giorno di carcere, ma solo perché non si è accorto di starvi sepolto dentro anche senza vedere mai una guardia.

    Dobbiamo anche sbriciolare il carcere dal di dentro, costruire un forte DENTRO. Un dentro in apparenza assurdo, fatto di persone libere, libere di vivere il carcere come occasione di scambio e di relazione solidale, come luogo della scoperta del tempo utile, come area verde  per l’affetto e l’amore con i propri pezzi di vita lacerati dall’apartheid della condanna, cosiddetta civile (riapriamo le nostre aree verdi!).

    Per costruire questi forti fuori e questi forti dentro, abbiamo bisogno di lasciare i piagnistei a chi ha tempo e voglia di piangere, di rifuggire dalla critica inutile e distruttiva che spegne anche l’ultima fiammella, così cara al profeta Isaia, e di porci sistematicamente, caparbiamente,  a cercare il piccolo bene, il piccolo amore, il piccolo valore, la piccola eccezione, perché crescano e diventino grandi. L’ecologia umana non è soltanto amore dell’ambiente fisico e dell’ambiente umano, è scoperta e crescita del valore là dove esso si nasconde.

     E’ una coltivazione biologica delle differenze, delle minimalità, un mettere terra buona intorno alla semente. Trasformare noiose solitudini in nodi di rapporti  più vivi della vita, perché sanno contrastare l’odio relazionale che soffoca indifferentemente sia il mondo fuori che il mondo dentro il carcere.

    Questo è il nostro programma, la nostra riforma in cui impegniamo la vita, la nostra profonda cooperativa, quella senza limiti di soci e di speranza.

    Con questo spirito v’invito a partecipare ai lavori del nostro convegno.


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