Ho
letto anch’io gli articoli sul famoso
“trattamento” del condannato, da cui la brutta parola “trattamentale”. Sono qui riportati in questo
pieghevole, molto ben fatto, dal Circolo Giano. Si, è
chiaro sono molto d’accordo sul ruolo positivo ed
insostituibile delle associazioni di volontariato per il
trattamento reintegrativo del condannato.
La
mia associazione è il CEU,
il Centro di Ecologia Umana, affiliato a Legambiente
fin dal 1992. Abbiamo lavorato negli anni passati quasi
esclusivamente sulla questione psichiatrica, lottando
per la chiusura dei manicomi, contro l’elettroshock ed
i trattamenti psichiatrici coattivi. Non senza alcuni
importanti risultati. Poi ci siamo convertiti al
carcere…
Da tre anni siamo entrati dentro Rebibbia da uomini liberi in cerca di
detenuti,
con le autorizzazioni concesse in base all’articolo 17
dell’ordinamento penitenziario. Insieme, con alcuni
esponenti più sensibili di Legambiente, soprattutto
Legambiente Lazio, abbiamo iniziato un
lavoro di crescita comune sui temi dell’ecologia
umana.
Dopo
tre anni di presenza costante, con corsi di formazione e
soprattutto con la costituzione del Circolo Giano,
affiliato al CEU, sono convinto dell’importanza dell’affermazione dell’ecologia umana, come pratica concreta sia per
migliorare l’ambiente fisico del carcere sia per
ridurre ed addolcire gli aspetti più afflittivi della
pena.
Oggi
sentiremo direttamente dai soci di Giano i loro passi
avanti, le sacrosante denunce, le difficoltà ed i
successi nel loro cammino di reintegrazione sociale già
all’interno della detenzione e poi nella prospettiva
di un futuro senza carcere e dopo il carcere.
Vorrei soltanto riuscire a comunicarvi il significato del tutto nuovo con
cui io guardo oggi ai miei amici detenuti. Oggi, fanno
parte della mia vita, del mio quotidiano, sono parti
importanti della mia evoluzione vitale.
Per
altri, essi sono ancora fattispecie di codici, crimini e
condanne ambulanti, iatture sociali, ingorghi viventi di
una devianza sempre minacciosa, memoriali di ferite che
devono restare aperte.
Per
me oggi sono abbracci, baci, scambi d’intelligenza e
di passioni, incontri e scontri di punti di vista,
sorgenti di sogni cullati in una cella trasformata in
una tenebra feconda (Parlare di Mario
Astorina, dimenticato in carcere da 27 anni. Si
attende forse che il cosiddetto trattamento completi il
suo corso capriccioso, e che il vecchio ragazzo, ora
uomo maturo, diventi più avvezzo agli ossequi formali,
più falso, più ipocrita forse …? Siamo invece di
fronte ad alcuni cambiamenti
profondi, ispirati anche dall’ecologia umana. L’idea
del Comitato per Mario, per dargli amicizia e sostegno
umano. Parlare degli altri
amici di Giano, riconoscere alla Direzione, Di
Rienzo e Del
Villano, al sorriso buono del Comandante Leo,
all’impegno infaticabile di Don
Spriano, l’audacia di questa tranquilla ed operosa
convivenza fatta anche di piccole grandi realtà, come quella della sede
e della redazione di Giano, della Cooperativa e-Team,
dei VIC, della Papillon, Arci, Incontro, ecc. ).
M’invade a volte da alcuni mesi una paura crescente, che sia meglio che
il carcere non finisca per i miei amici, per non portare a morte la loro speranza nell’incontro
con una realtà di reintegrazione sociale che rischia di
restare una pura fantasia.
Per
contrastare con efficacia questa paura del futuro, non
ci resta che pensare a due cose, due grandi cose fa
fare. La prima è come
mettere le gambe giuste all’idea di una cooperativa,
forse più di una cooperativa, meglio un insieme
coordinato di cooperative che dia lavoro dentro e fuori
il carcere e con il lavoro dia la dignità di persone
liberate dal bisogno.
La
seconda è come ingrandire ancor più le ali del nostro desiderio. Senza un
forte desiderio si raccolgono solo briciole dalla tavola
dei signori. Noi dobbiamo nutrire un desiderio
grandioso, quello di trasformare questi luoghi di
privazione in luoghi di forti passioni e di forti
cambiamenti socio culturali.
Dobbiamo
suscitare un progetto della Direzione e della
Sorveglianza di questo carcere, che sia esemplare
rispetto alle altre carceri. Dobbiamo unire le nostre
associazioni, i nostri migliori detenuti, i migliori
agenti, i migliori magistrati, in un progetto di
sospensione effettiva della pena e di liberazione di
tutto ciò che è liberabile. Per me tantissimo.
Gli uomini di buona volontà sono molto di più di quel che si pensa di
primo acchito.
Essi a volte aspettano soltanto fattori capaci di
coagulo. E qui dentro ce ne sono molti, all’interno di tutti i ruoli
vissuti o sofferti. Con queste tante buone volontà
penso possibili grandi fatti di riforma. E senza che la
cosiddetta società esterna, quella del benessere e
della pace sia minimamente disturbata nella sua quiete,
che a volte però, diciamolo, è veramente letale…
Dobbiamo
preparare un
forte FUORI, dobbiamo installare nella società
esterna cellule di persone rinate alla libertà, capaci
di discuterla e di farla avanzare anche tra chi non ha
mai fatto un giorno di carcere, ma solo perché non si
è accorto di starvi sepolto dentro anche senza vedere
mai una guardia.
Dobbiamo
anche sbriciolare il carcere dal di dentro, costruire
un forte DENTRO. Un dentro in apparenza assurdo,
fatto di persone libere, libere di vivere il carcere
come occasione di scambio e di relazione solidale, come
luogo della scoperta del tempo utile, come area verde
per l’affetto e l’amore con i propri pezzi di
vita lacerati dall’apartheid della condanna,
cosiddetta civile (riapriamo
le nostre aree verdi!).
Per
costruire questi forti fuori e questi forti dentro,
abbiamo bisogno di lasciare
i piagnistei a chi ha tempo e voglia di piangere, di
rifuggire dalla critica inutile e distruttiva che spegne
anche l’ultima fiammella, così cara al profeta
Isaia, e di porci sistematicamente, caparbiamente,
a cercare il piccolo bene, il piccolo amore, il
piccolo valore, la piccola eccezione, perché crescano e
diventino grandi. L’ecologia umana non è soltanto
amore dell’ambiente fisico e dell’ambiente umano, è
scoperta e crescita del valore là dove esso si
nasconde.
E’ una coltivazione biologica delle differenze, delle
minimalità, un mettere terra buona intorno alla
semente. Trasformare noiose solitudini in nodi di rapporti
più vivi della vita, perché sanno contrastare
l’odio relazionale che soffoca indifferentemente sia
il mondo fuori che il mondo dentro il carcere.
Questo
è il nostro programma, la nostra riforma in cui
impegniamo la vita, la nostra profonda cooperativa,
quella senza limiti di soci e di speranza.
Con
questo spirito v’invito a partecipare ai lavori del
nostro convegno.