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Poiché la cittadina di Sinalunga sembra che appaia per la prima volta sotto il nome di Sena Iulia in una carta stradale romana del iv secolo, detta Tabula Peutingeriana, si ritiene necessario presentare il sistema viario dell’Etruria romana, così da poter stabilire la probabile ubicazione di Sinalunga antica durante l’Impero romano, collegata direttamente con Roma, attraverso la via Cassia e le sue diramazioni, la sua posizione centrale all’interno dell’Etruria e la sua floridezza di colonia romana con un proprio territorio.
La via Cassia è menzionata da Cicerone là dove ricorda che per andare a Modena esistevano tre strade: «la Flaminia lungo il mare superiore, l’Aurelia lungo il mare inferiore, la Cassia in mezzo alle due» (E. Martinori, Le vie maestre d’Italia: la via Cassia e le sue derivazioni, Roma 1930, p. 3). Cicerone aggiunge subito: «Etruriam discriminat Cassia». Anche al suo tempo (106-43 a.C.) dunque, la Cassia, per “dividere l’Etruria” non doveva passare per Arezzo o per i dintorni di Arezzo, città posta ai margini dell’Etruria, ma attraverso la zona centrale del Chianti doveva raggiungere la pianura fiesolana, dove era sorta Firenze da poco tempo, sotto Giulio Cesare, e dirigersi verso un passo appenninico e quindi verso Modena.
Una colonna miliare romana, ora al Museo archeologico di Firenze, ritrovata lungo la Cassia tra Acquaviva e Torrita, ci informa che l’imperatore Adriano nel 123 d.C. condusse il restauro della via Cassia, disfatta per la vecchiaia, dal territorio di Chiusi a Firenze: Florentiam perduxit (cil, xi,2 n. 6688). Se l’iscrizione avesse voluto indicare che si trattava dell’apertura di una nuova strada non avrebbe aggiunto l’espressione «disfatta per la vecchiaia» (vetustate collabsam). Si deve tener conto inoltre che i costruttori della via Traiana Nova, tra Bolsena e Chiusi nel 108 d.C., hanno inciso sulla colonna miliare di Traiano, posta sulla stessa via, la frase: Viam Novam Traianam fecit, per rimarcare che era stato costruito un tratto nuovo di strada. Adriano perciò non aprì una nuova via, ma rettificò e restaurò la Cassia “vecchia” in tutto il suo percorso, dal territorio di Chiusi a Firenze.
Il punto di partenza per risolvere il problema della viabilità romana nella nostra zona e del percorso esatto della Cassia, ci è offerto dalla località Ottavo nel Chianti, posta sulla strada romana che da un ponte oltre Pontevecchio a Firenze, per via dei Bardi, si dirigeva verso Badia a Ripoli e raggiungeva Ponte a Ema. Da qui proseguiva per Grassina e seguendo poi il fondo valle a destra del torrente Sezzatana, passava per le zone di Sezzate, Cintoia, Casignano, lo Spedale e raggiungeva, a 6 miglia (9 km) prima di Ottavo, Piè Vecchia o Pieve Vecchia di S. Pietro a Cintoia presso la Panca, dove potremmo collocare la mansione di ad Aquileiam o Aquiliam che forse ha preso il nome da una delle frequenti piccole sorgenti o aquulae presenti sulla zona e dette in loco “doccine”. Da qui si dirigeva a Ottavo passando per il passo del Sugame, Borgo di Dudda, Lucolena di Sotto. Questo tratto farà parte nel Medioevo e nel 1500 di quella strada reale o «strada maestra che viene da Ponte a Ema e va a Rada», come riportano chiaramente le carte dei capitani cinquecenteschi di Firenze (Fol. 7, cc. 162-163, in A. Bacci, Strade romane e medioevali nel territorio aretino, Cortona 1986, p. 284). Il toponimo Ottavo (ad octavum lapidem) riscontrabile anche presso Arezzo (dopo Rigutino) e presso Lucca (strada per la Garfagnana), indicava la presenza di un tracciato romano e le 8 miglia che lo separavano non da una mansione, ma da una città. Non potendo questa essere Firenze né Arezzo, troppo lontane, la città indicata deve essere identificata con Bituriha, riportata dalla Peutingeriana del iv secolo e detta Veternis dalla Geografia dell’Anonimo Ravennate del vii secolo, perché i toponimi Vigesimo e Trigesimo, posti nella via Clodia nel fondovalle dell’Arno tra Figline e Levane e riferentesi a Firenze, escludono in questa zona la presenza di un’altra città.
Rimane dunque ormai assodato e incontrovertibile che da Ottavo, dopo 8 miglia (12 km), la Cassia passando per Lucolena, Torzoli, Badia Montemuro, il torrente Bàlatro, Volpaia, Monte Vertine e Villa raggiungeva Radda, costruita probabilmente sulle rovine dell’antica Bituriha - Biturisa, forse la Peithesa di alcune monete etrusche, toponimo che sembra rimasto nel nome Pesa, fiume che nasce proprio sotto Radda. Municipio romano e poi diocesi cristiana con i vescovi locali, i Santi Leolino ed Eufrosino del v-vi secolo, scomparve sicuramente durante la guerra gotica del vi secolo.
Una delle due località di nome Massa, presso Radda, può identificarsi con quella fattoria o Massa Veturnensis apud Tuscos, ricordata da Ammiano Marcellino (xiv, 11,27) e tra le viti famose Columella pone anche la vitis biturigensis, forse di Radda. Da Villa di Radda, la Cassia doveva percorrere quella strata ricordata nel Registro di Coltibuono all’anno 1078 (D.L. Pagliai, Regesto di Coltibuono, n. 17), che dalla zona di Vistarinne raggiungeva «Castelione» e poi «Piscina Sancta», presso Castelnuovo Berardenga. La località Migliare, prope fluvio Arbie infra plebe S. Marcellini in Avana, presso cui doveva transitare la Cassia, è attestata da una carta del Regesto di Coltibuono del 1038 (D.L. Pagliai, op. cit, n. 30). La Strata romana che doveva snodarsi lungo l’Arbia e nel territorio della Pieve di S. Marcellino in Chianti, è menzionata da altri tre documenti della Badia di Coltibuono, cioè da una carta del 1102, emessa a Coltibuono (D.L. Pagliai, op. cit., n.234) in cui si ricorda che la Strata si trovava nel territorio di S. Marcellino, da una del 1128, scritta a Tornano, presso S. Marcellino (D.L. Pagliai, op. cit., n. 335) e da un’altra del 1128, stipulata a Stenula o Stielle, presso Ponte a Stielle (D.L. Pagliai, op. cit., n. 336). Nella stessa zona doveva trovarsi quel Prisciano, dove fu scritta nel 1125 (D.L. Pagliai, op. cit., n. 321) un’altra carta che menziona la stessa Strata.
Gli Estimi di Cerreto e di Pievasciata riportanti i toponimi Petrosa, Strata, Spedale, farebbero pensare che la Cassia transitasse per Canonica a Cerreto e Pievasciata, tuttavia sembra preferibile il primo tracciato descritto, più rettilineo, con minori dislivelli e perché attestato dalle carte anteriori di Coltibuono, dal 1000 in avanti, mentre gli Estimi senesi risalgono al 1320: in quest’epoca poteva esserci stato già un intervento dei Viari del Comune di Siena nel selciare quella strada molto frequentata dai mercanti e dagli eserciti, come da quello fiorentino sconfitto a Montaperti nel 1260.
Una pianta del territorio di Radda del 1780 circa, attribuita a Ferdinando Morozzi (A. Stopani, La Toponomastica del comune di Radda, Poggibonsi 1994, p. 1), segna una vecchia strada che potrebbe aver ricalcato la Cassia. Quel tracciato da Radda si dirigeva verso il convento di S. Maria dei Padri Francescani, poi a S. Niccolò del Tribbio o Trivio e quindi alla paleocristiana Pieve di S. Giusto in Salcio o in Saltu.
Da qui, seguendo il borro a Colli, giungeva nei pressi del fiume Arbia e tenendosi sotto la Pieve di S. Polo al Rosso toccava il podere Torri. Poi, proseguendo sotto S. Angelo alla Torricella e non discostandosi molto dal corso dell’Arbia, si immetteva nell’attuale via provinciale Gaiole-Pianella. La distanza delle 10 miglia da Biturisa o Radda, segnate nella Peutingeriana, obbliga a collocare presso il bivio per S. Marcellino la mansione ad Ioglandem, che ebbe questo nome probabilmente dalla presenza di una grande pianta di noce, che i Romani chiamavano iuglans, iuglandis: negli itinerari romani si ricordano le mansiones ad pirum, ad pinum, ad ulmum.
Prima di giungere a Pianella, la via romana declinava sulla sinistra per S. Piero in Barca, Porgo o Borgo, Calcinaia, il fossato Migliare e raggiungeva Valcortese, dove l’Estimo del 1320 ricorda un «castro vecchio» con annesso un borgo detto «Borgo di Greci», o «Burgo Greci», che doveva il suo nome alla presenza della mansione ad Graecos della Peutingeriana, cioè ad una colonia di Greci o di mercanti siriaci stabilitisi in quel luogo durante l’Impero romano, quando anche a Firenze 26 greci lasciavano i loro nomi in 21 iscrizioni e ad Arezzo vasai greci imprimevano i loro nomi nella ceramica aretina. Ad una costruzione romana potrebbe risalire l’alto basamento in grosse pietre ben squadrate di una torre del Castello. Che nel Medioevo vi passasse una strada importante è attestato dalla ospitalità per i viandanti offerta da uno xenodochium de Valcortise del 1173 (cfr. A. Maroni, Prime Comunità Cristiane..., p. 41). La strada è attestata anche da una carta del 1163 (A. Maroni, Passim, p. 41) che menzionava una strada que venitur a civitate Sena et itur Valcurtise e da un’altra carta del 1138 (A. Maroni, Comunità Cristiane... p. 41) che accenna ad una via antica que valit ad Orgiale cioè alla via attuale che unisce Valcortese a Orgiale e a Castelnuovo. Per l’origine di questa via antica occorre ricordare che fino al secolo xiii per le strade e per i ponti si è vissuti con l’eredità dei Romani.
Dopo la mansione ad Graecos la Peutingeriana segna 9 miglia: è la distanza esatta non tra Valcortese e Acquaviva (35 miglia), ma tra Valcortese e l’Ombrone, presso la canonica di S. Biagio di Armaiolo, dove doveva trovarsi la mansione Umbro flumen: nel secolo xiii vi erano nella zona almeno 4 ospizi per i viandanti: nella valle dell’Ombrone, sul torrente Chisella, ad Armaiolo e a Montesecco. Secondo la Peutingeriana dopo ad Graecos o Valcortese segue subito la mansione ad Novas (Acquaviva), ma essendo la distanza reale tra le due località non di 9 miglia, ma di almeno 35 miglia, siamo obbligati a porre due mansioni intermedie: Umbro flumen a 9 miglia da ad Graecos e Manliana (sotto Poggio a Magliano di Torrita), a 18 miglia da ad Graecos e a 8 miglia da ad Novas. Infatti è la Peutingeriana che dopo Manliana segna 18 miglia: evidentemente esse non si riferivano originariamente alla distanza tra Manliana e ad Mensulas, ma tra Manliana e Umbro flumen: sono i 27 km che separano Poggio a Magliano da Armaiolo. La via romana si dirigeva poi al Piano del Sentino e alla Pieve di S. Stefano in vico duodecim, così denominata in una carta del 1040, che non ricorda certamente il dodicesimo miglio, perché in questo caso avremmo: in vico ad duodecimum, e per di più non esisteva alcuna città situata a 12 miglia o 17 km da questo luogo. Più probabilmente il nome originario doveva essere: in vico ad duos Decios, o in vico duo Decii, dovuto alla presenza di un monumento commemorativo in onore dei due Deci, padre e figlio di nome Publio Decio Mure, che si immolarono agli dei inferi per la patria. Il figlio fu ucciso qui, nella battaglia del Sentino del 295 a.C. contro Etruschi, Umbri, Sanniti e Galli, il padre in quella del Veseris nel Lazio, nel 340 a.C., contro i Latini.
Per le Folci o le Selci, la “Silice” di Rigomagno e del Varniano, menzionata in carte del 1040, la Cassia raggiungeva a Pieve di Sinalunga quell’edificio romano, le cui fondamenta, insieme a vari tubi di piombo per l’acqua, vide il Gamurrini, presso la Stazione, all’inizio del secolo. Toccava poi il terreno o solum di Lucio Umbricio Clemente, alla Pieve di S. Pietro, e la stipe votiva di Ercole. Da qui si dirigeva al Santarello, toponimo che compare già nelle deliberazioni del Comune di Sinalunga del 1557 (vol. xv, c. 92r) in cui al 5 agosto si concede a Tommaso di Paulo Terrosi di «brusciare una stoppia in Contrada del Santarello». Raggiungeva poi la chiesa di S. Giovanni presso cui è menzionato nel 1303 un “castellare di Sancto Iohanni” e un ospizio di S. Giovanni (cfr. A. Maroni, Prime Comunità Cristiane..., p. 27). Presso la chiesa di S. Giovanni la Cassia valicava il torrente Galegno su un ponte romano a grandi pietre, ancora esistente nel Medioevo, e menzionato dalla pergamena sinalunghese del 1303 che ricorda presso “Campolongo” un “Ponte alla Pietra” (Archivio di Stato di Siena, Sinalunga, Diplomatico, n. 20). Il disegno della pianura di Sinalunga del 1697 (Archivio di Stato di Siena, Quattro Conservatori, 3054 n. 226,1) riporta ancora una strada che univa S. Giovanni alla Foenna ed era detta “via del Ponte alla Pietra”. Nella mappa di Leonardo della Valdichiana disegnata nel 1502-1503 il ponte sulla Chiane tra Pieve al Toppo ed Arezzo è riportato con la didascalia “Ponte a pietra” per distinguerlo da altri ponti non murati. Lo stesso toponimo appare in Ponte alla Pietra presso Perugia, sulla strada per Chiusi, e in Ponte alla Piera di Anghiari che attraversava il torrente Cerfone sulla strada Arezzo-Rimini.
Tra la Fratta e il podere Guardavalle ii è ben conosciuto il tratto di acciottolato lungo circa 8 metri e largo 3,90 metri orientato verso nord-est. Qui sorgeva il medioevale castello di Guardavalle con la chiesa di S. Andrea, presso cui sono stati scoperti insediamenti databili tra il i sec. a.C. e il ii sec. d.C. Presso i Pantani è stato rinvenuto un altro insediamento di ampie dimensioni, da identificarsi con tutta probabilità con la mansione Manliana. Nel vicino podere S. Giuliano sorse anche la prima chiesa di Torrita, dedicata ai Santi Giuliano e Costanzo, esistente già nel vii sec. Più avanti la Cassia proseguiva per Sol o Sodo di Strada, Stradella, Pieve di S. Vincenzo al Confine, presso cui, in località Fornace Poggetti, sono state rinvenute due fornaci romane di Caio Umbricio Cordo. Poi per Strada e Stradella ad est di Abbadia, raggiungeva a 8 miglia da Manliana, la mansione ad Novas, presso la Pieve di S. Vittorino ad Acquaviva.
Il percorso della Cassia descritto, si snoda su un terreno pianeggiante fino a Rapolano, da qui fino a Radda su un sistema di basse colline. È solamente dopo Radda che sale al passo di Badia Montemuro a 706 metri, per scendere poi a Ottavo a 477 metri. Ma Ottavo ci ricorda che furono i magistrati romani a scegliere questo percorso che univa in linea retta Radda a Firenze. [...]

SINALUNGA
E LE STRADE ROMANE
TRA CHIUSI E FIRENZE

Alfredo Maroni
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