Il Borsacchini Universale (estratto)

Il Borsacchini estratto L-O

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levassi di 'ulo (it.: levarsi di culo)..
Tipica espressione del linguaggio livornese a me particolarmente cara poichè è stata oggetto di una lunga e dotta discussione intrattenuta con il prof. Max Greggio sotto un tavolino del Bar Civili di via Del Vigna. In tal sede si è discettato intorno alla nutrita cerchia di locuzioni incentrata sul verbo <levassi di 'ulo>, un vero e proprio pilastro della ricca e colorita parlata livornese.
La lectio facilior suggerisce un'immediata traduzione con il genrico 'togliere il disturbo' per la quale non mancano gli esempi anche nella classicità: <lo duca a me: "leviamosi di 'ulo..." / disse tastando le sudate palle>, così Virgilio a Dante di fronte all'ira di Caronte nella prima stesura della Commedia, scritta dopo quell'operazione alle emorroidi che gli procurò ansia e dolore più della sconfitta di Campaldino.
Per non tradire comunque la pregnanza semantica dell'espressione vorremmo però aggiungere una breve nota e offrire al lettore un panorama più vasto. Appare evidente che in qualche modo l'espressione stessa risulta antitetica di quella più gnomica 'andare nel culo (a qualcuno)', cioè servirsi della sodomia per dimostrare (a qualcuno) sostanziale indifferenza per la sua persona; <...vi vo ner culo a tutti> è la frase rivolta dalla martire protocristiana Orsola ai suoi torturatori in punto di morte, mentre cercavano di svitarle le puppe con uno sturalavandino (cfr. E. Puddu, A essere cristiani ci si rimette sempre, Liegi 1963).
Alla luce di queste considerazioni rifulge la bella citazione del suddetto Max Greggio parodiata dall'Eneide di Virgilio: <E come disse Enea / al figlioletto Julo: / "Andiamo bimbo, mio / leviamosi di 'ulo!">; il che se equivale ad una sollecitazione ad allontanarsi dal tragico teatro dell'assalto alla città di Troia, rappresenta anche un evidente eufemismo che vela la più complessa situazione emotiva dell'eroe <... che si stava caàndo addosso dalla paura>.
In appendice è doveroso aggiungere che l'espressione in questione è assai usata nel linguaggio diplomatico internazionale come invito alla smobilitazione di truppe da postazioni strategiche: <L'ameriàni si sono levàti di 'ulo!...>, fu il primo annuncio di Radio Hanoi all'indomani del disimpegno militare statunitense nel Vietnam. <Bimbo, bisogna che prima o poi tu ti levi di 'ulo!...> fu lo storico saluto con cui Yeltsin accolse il ritorno a Mosca del premier Gorbaciov dalla sua prigionia durante il colpo di stato.

lucciòni (it.: lucciconi)..
Termine di uso livornese. Sta a indicare lacrime e stato di commozione.
Il termine evidenzia molto bene la vena patetica del ceto popolare labronico, incline, come si sa, alla catarsi della drammatizzazione degli eventi, da cui il noto assunto: <<Com'era bello quer firme, ciò pianto tanto...>> tanto spesso ripetuto in ambito rionale.
Il termine 'lucciòni' possiede altresì un'eleganza figurativa assai insolita, evocando, nell'incerto e cangiante riverbero delle lacrime che fiottano, una felice immagine poetica di misterioso bagliore che poco ha a che fare col mi' 'ognato Oreste quando gli vengono i 'lucciòni' per <<gli sforzi sulla bùa del camerino>>.

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malidetto o maladetto (it.: maledetto).
Classico anatema livornese. Viene usato da solo anche nella forma accrescitiva 'stramalidetto' o nel contesto di una deprecazione di più ampio respiro quale: <...malidetto la rotta 'n culo di tu' ma'!>, di cui appare chiaro il substrato fortemente edipico, oppure: <...malidetto 'i ti 'oce 'r pane!>, che lascia trasparire le note proble- matiche sul ruolo dei fornai nella cultura e nella società contemporanea.
Vale la pena far cenno al significato augurale e di saluto che il termine assume in ambito familiare, con toni quasi affettuosi o addirittura amorosi nella locuzione: <...bello, maladetto te!> che la madre rivolge al figlio in occasione di cerimonie particolari quali comunioni, cresime e matrimoni.

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natodancane o natoduncane..
Locuzione composta equivalente a <figlio d'un cane>, a sua volta assai nota e diffusa sotto ogni latitudine e dal significato inequivocabile. Nell'uso labronico essa perde frequentemente la connotazione dispregiativa e offensiva e diviene spesso amichevole e affettuosa: <Bello natodancane!> urlerà la madre orgogliosa vedendo il figlio esordiente sul campo di foot-ball.
Nei diverbi domestici inoltre si verificano spesso bizzarre e reciproche recriminazioni tra genitori, del tipo: <Quer natodancane der tu' figliolo...> e <Quella natadancane della tu' figliola...>, oppure aspre invettive, come quella tipica del padre furioso che sbraita alla figlia rincasata a notte alta: <Natadancane, sei uguale ar budello di tu' ma'!>.

Novo Cine.
Mitico tòpos livornese, archetipo della sala cinematografica intesa come palestra di arguzie, di sapide allocuzioni e di colossali 'ruti' nel buio.
La frase di frequente uso fino agli anni cinquanta: <... l'hai visto ar Novo Cine...> stava ad indicare evento, azione, atteggiamento eccezionale, parto della fantasia (giovanile in specie), quali appunto apparivano le vicende delle pellicole cinematografiche.
La tendenza a trasporre la finzione cinematografica nella realtà, tipica della cultura del sottoproletariato urbano, è spesso ricorrente in certe espressioni ormai consegnate alla storia come: <... alla grazia di Tommìcche...> di cui lascio al lettore la facile interpretazione.

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occhio pottino.
Conformazione oculare peculiare che consiste in una leggera sporgenza del bulbo dall'orbita, accompagnata da palpebra semichiusa.
Ne deriva uno sguardo equivoco e lubrico che la tradizone popolare attribuisce a una intensa pratica amatoria.
Studi più completi e più recenti (cfr. Padre Virginio Rotondi, Ascolta, si fa sega, Amsterdam 1983), hanno altresì accertato che l'occhio pottino' è fattore ereditario di almeno quattro generazioni di masturbatori accaniti e abitudinari.
tratto da: "Il Borsacchini Universale" di Giorgio Marchetti edizioni Ponte Alle Grazie 1996

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