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1. Cover del catalogo di Contemporanea


2. Indice generale del catalogo

Presentazione di Romeo Forni; Presentazione di Dante Forni; Brevi sulla disparizione della suggestione estetica di Enzo Terzano; Bologna in Contemporanea di Edoardo di Mauro; Arte e media e neutralismo critico di Edoardo di Mauro; Arte e critica: un difficile rapporto in questo fin de siècle di Enzo Terzano; Verso una fotografia senza centro di Marcello Pecchioli; Guizzi azzurri di Maurizio Corrado; Frammenti di scena di Marco Cavicchioli; Fare e Scrivere di Massimo Privitera; Poesia di Gianni Curreli; Filosofia di Wainer Ligabue; Cine-video di Sauro Baraldi.


3. E. Terzano, Brevi sulla disparizione della suggestione estetica, pp. 6-8

Il dio che vuol saggiare le gioie della vita deve essere plasmato uomo nell'utero di una femmina dove, per l'oscurità completa, perde la conoscenza di ciò che fu, e nasce alla vita con un raro senso indefinito di ciò che conobbe, e si trastulla a farne la conquista...

Mamo Rosar Amru

Il pensiero unico

A un'arte debole corrisponde un pensiero debole e viceversa. Ad una progressiva, dal barocco in avanti, individualizzazione del pensiero corrisponde un' altrettale indebolimento della forza del pensiero stesso. Da un universo regolato dal "fato antico" (vagamente da C. De Santillana) che genera Parola e Legge, dall'attenta e collettiva, nel tempo e nello spazio, osservazione della Natura terrestre e aerea dei cieli, si passa al "fato moderno" tempio dell'individuo e della vanità tecnologica della scienza. L'amorevole, quotidiana e partecipata osservazione della volta celeste come dei rami di un albero, e di tutti gli eventi portati a memoria e studiati pescando da quel mare, consentivano all'uomo "antico" di trarre le leggi e i simboli unitari che regolavano, allora come oggi, le cose. Non un pensiero individuale ma un pensiero Unico, forte di tutte le individualità, governate da un'imparziale teocrazia. Quell'età aurea, coscienza della dolcezza delle cose del mondo, venne a perdersi quando il pensiero di un'individualità, che genera concetti dalla sua immaginazione, sostituisce e contamina il pensiero Unico. Il simbolo perde il valore psichico di quiete e la funzione fisica di moto prima irraggianti, per comprimersi nell'interpretabilità, fino a disperdersi. Dal simbolo gravido e capace d'evocare si passa ai simboli di transizione, l'arte assume il ruolo di rappresentare questi slittamenti epocali e li trasforma in stili.

  Il tempo presente

Si continua a immaginare ciò che non è presente ai nostri sensi, di questa immaginazione verbosa si fanno programmi teorici a lungo termine e si finisce, necessariamente, per perdere il contatto, e quindi la possibilità di comprendere, ciò che immediatamente accade intorno a noi. Si delineano i futuri itinerari estetici, non solo quelli, come si riscrivono i trascorsi alla luce di meccanismi e gabbie dell'oggi che necessità d'esprimersi hanno solo perché forti della presenza fisica di chi li formula. L'evento storico, per via di questa aggressività, per la verità dominabile, subisce continuamente una riscrittura. L'attendibilità delle discipline storiche è sempre più debole come il pensiero che le sorregge. Non vi è altra soluzione che lavorare sulla contemporaneità: sulla sincronicità dei sensi e sulla diacronicità della memoria. Fuggendo la Storia, il suo metodo, la sua legge che è regolata non dalla stratificazione dell'intelligenza acquisita dall'uomo nel suo esistere, ma dalla registrazione di eventi scelti per trasmettere un senso determinato e fatalmente parziale, ai quali si è annesso il privilegio di varcare la soglia fisica della memoria.

  L'ansia del nuovo

La smania progettuale che investe larga parte dell'arte contemporanea verso una rapidissima evoluzione degli stili della proposta culturale, non fa altro che rilevare, paradossalmente, una sostanziale identità di messaggio fra le varie tendenze lasciate dagli operatori più accreditati. A fronte di una blanda differenziazione critica affatto capace di dissimulare la forte identità estetica delle rispettive creature poetiche, ci si adagia nel costruire "cappelli teorici" il cui unico fondamento è l'autoglorificazione dell' Io: il critico diventa un top-model che indossa le opere come una pelle. Il problema di un'evidenza estetica immanente all'arte attuale, osservabile al di là di quelle letture eccessivamente oggettive, pare non interroghi stabilmente nessuno degli operatori critici di grido. La responsabilità morale che corre sul loro operato emerge quando smantellate le fragili intelaiature dell'uno tecnomorfe, storiciste dell'altro e delle biomorfe di qualcun altro, non rimane che un deserto di opere vuote di senso e di suggestione estetica.

  La "natura artificiale" e la perdita dell'amore

Certo, la disparizione del senso, non è solo un problema degli anni ottanta è un po' tutta l'arte del Novecento a essere coinvolta nel disegno, maturato probabilmente altrove, di estorcere al gesto creatore il movente primo, il soffio vitale e prolifico dell'amore. Ciò, si badi, è detto senza nessuna retorica protocristiana, anzi, tutt'altro. Si è sicuri, invece, di ripercorrere sotto l'anelito agghiacciante della rimozione del sentimento in arte un po' tutto l'atteggiamento che dai futuristi all'arte fascista, dalla pop art fino alle ultime contaminate tendenze, contraddistingue i più fortunati movimenti artistici del XX secolo. Allo stesso modo dentro la placenta dell'ideologia, dal "realismo socialista" all'arte concettuale dei logici e degli scienziati del senso, si è tentato di nullificare di fatto la presenza sensibile dell'uomo. Una ragione al verificarsi di quella che si potrebbe definire una pesante rinuncia alla soglia dell'esistere armonico che è il dolore-piacere, cadendo nella cecità del dolore costante (non si può credere di lavorare sul corpo dell'arte come su di un cadavere in decomposizione come sta facendo, ultimo in ordine di tempo, Giorgio Celli con il suo "trasmanierismo"), può essere trovata proprio nel barocco (L. Anceschi), quando si comincerà a credere a una "natura artificiale" frutto dell'uomo e non già dell'Ente. Il Seicento, infatti, assume il ruolo di crepuscolo, momento di frattura fra due mondi quello classico e quello anticlassico, che produce il nuovo concetto di natura umanizzata che alla perdita della fatalità della precisione celeste fino ad allora osservata, fa subentrare l'imitazione di quella precisione protomeccanica con l'invenzione e l'uso del meccanismo. E' l'avvento dell'era industriale preannunciata da una fitta serie di microtrasformazioni che avevano conquistato (l'attualità, in questo senso, è molto pericolosa per chi la segue ciecamente) molti uomini che definiamo di genio, ansiosi di sollevarsi da un presente evidentemente non accettabile ma certamente meno doloroso del futuro che avevano contribuito a determinare. Lo spirito anticlassico libera il meccanismo (vi erano automatari meravigliosi provenienti dal Medio Oriente) da funzioni allegoriche e da finalità morali, che fino al Rinascimento e per tutto il Medioevo avevano costituito un argine difficilmente superabile, e si crea finalmente l'automa che diviene "il mezzo con cui l'uomo proietta se stesso fuori dei suoi limiti esistenziali..." (E. Battisti). Non è forse questo "l'uomo dalle parti cambiabili" di Marinetti? Non si è, trasversalmente, cercato di migliorare la Natura proprio imitandola, umanizzandola per superarla in perfezione come credeva il Vasari? Non era forse l'arte barocca, e ancora prima la rinascimentale, un'arte frutto dell'estetica del pensiero prototecnologico, un'arte che intimamente proveniva dalla "paura della morte" piuttosto che dalla "volontà di vita", dallo squilibrio del dolore per la perdita del corpo fisico che dalla lucida accettazione del proprio passaggio terrestre? L'arte non ha mai superato la Natura, come non la supera la scienza, né il pensiero e le filosofie, laiche e religiose, che pretendono immaginare al di là di essa. Sotto questa luce il Novecento, grosso modo, è profondamente barocco. L'arte assume il ruolo di "sovrastruttura" è solo un contorno del quotidiano, non ha arcani da svelare, sensazioni da comunicare, è il superfluo attivo per il godimento momentaneo. All'arte si associa la vita estetizzata: la panesteticità si trascina indelebili tracce di mutilazioni del senso: è impossibile decodificare attraverso i sensi del gusto estetico qualcosa che non è prodotto di quegli stessi sensi. Si vive ormai sulla soglia di una forte disposizione all'abbandono del fatto estetico, residuo ancestrale dell'uomo meraviglioso centro della Natura.

  Lontani dal misticismo estetico

E' molto difficile, e qui si perdoni la brevità della ricognizione appena compiuta, poter immaginare una situazione di rinascita complessiva del corpo creativo dell'arte ormai incagliato negli abissi dell'apparenza mondana e svuotato di umanità e sentimento, di ragione e volontà. Queste parole suoneranno sibilline alle orecchie materialistiche di qualcuno e, probabilmente, i nuovi soldati e militanti dell'"arte redenta" le crederanno prossime alle loro tesi molto mistiche e poco pratiche, fatti di eccessi e non d'equilibrio. Non si tratta di riabilitare il misticismo estetico e con esso tutto il bagaglio iconografico del nostro Medioevo e Rinascimento in pittura, le gerarchie tonali del solenne in musica, l'esaltante equilibrio formale dell'architettura sacra ecc. e poi, furbamente, mediarle con le conquiste comportamentali, in arte come nella vita, fatte nel Novecento. Piuttosto bisogna allontanarsi da quest'estetica della rappresentazione per simboli ideologici, secreti mentali abili al dominio e al potere sugli uomini, che nella separazione del corpo dalla mente hanno trovato la forza per tale dominio, quella per abbattere la sensazione fisica, e il modo per negare la Conoscenza.

  Timidamente ascetici

E' necessario, per l'artista, riacquistare un'abilità psicofisica persa nei millenni della rappresentazione obbligata dei dogma prima religiosi e poi delle teorie dell'eteronomia dell'arte: una capacità che le filosofie pratiche insegnano: la concentrazione nell'Io per disperdersi nel Tutto. E' necessario, per il nuovo-antico artefattore, la spoliazione dei messaggi visivi troppo carichi di nonsense e di gestualità "istintive" che nulla hanno in comune con la gestione della volontà creatrice e più con l'indolenza e la mollezza dell'arte-moda. Si tratta di purificare il gesto pittorico, sonoro, verbale... Prima di esprimerlo bisogna lasciarlo decantare rallentando la forsennata produttività meccanistica degli artisti della serialità estetica (anche i "popists" americani e nostrani sono stati adepti futuristi, prima dell'attuale mediocre tendenza, la scottatura ideologica che si prendevano di ritorno dai successi mercantili dei loro prodotti era di vederli diventare, per ironia della sorte, puliti, funzionali, e squallidi come il mondo che tentavano di estetizzare.) La fonte di ogni suggestione estetica è, probabilmente, la suggestione vissuta intimamente, incondizionatamente, dall'artista recipiente e poi attivo nella proiezione creatrice. Per essere un recipiente bisogna svuotarsi dalla contaminazione della cultura del sapere mediato da strumenti, prima che dai sensi fisiologici, rinunciare piuttosto che accumulare, pescare piuttosto che dragare, scegliere poche cose. Concentrarsi nell'osservazione quotidiana dell'Io per cercare di perderlo in un eterno presente, sempre passato, necessariamente futuro, dissolvendosi nel Tutto. Si accetti, poi, di essere artisti pagando le conseguenze di questa difficile scelta. Questo è l'unico modo per riconoscere come libero e vero il proprio prodotto. La produzione del senso passa attraverso strade dolorose e s'acquieta comunicando in radure di piacere: è il giusto equilibrio fra sentito ed espresso. Non si può certo pretendere di comunicare alcunché quando si è ossessionati dalla ricerca del piacere, allo stesso modo, quando ci si crogiola nel dolore attraverso itinerari perversi, preordinati inconsciamente, piuttosto che casuali. Il gesto estetico si produce rarefatto e fortemente irraggiante tanto più quanto è l'amore che vi s'imprime, ricevendolo. Solo allora trapassa l'Io per stabilirsi nel Tutto. Diviene riconoscibile a chi nutre medesimi sentimenti, interroga chi li ha allontanati, acceca chi li ha distrutti dentro di sé. Svuotarsi dunque per essere ricettivi, accettare solo ciò che si sceglie onestamente, senza avidità di arrivare da nessuna parte. L'artista torni ad essere il narratore del mondo parallelo, guardi con gli "occhi di luce" (una materia la luce che dirada le tenebre delle forme ossessive dell'Io), e narri ciò che altri non vedono, partendo da un Interno e non da un Esterno, svelando e non rivelando. Ci si sganci dalle teorie estetiche, velenoso e individualistico rigurgitare di qualche Io, ma, anche, opportunistico rifugio per distratti, demotivati e senza idee. L'opera d'arte necessita, per sua norma fisica e morale, di un azione in praesentia - del fare, oggetto di comunicazione, una forma emanata per necessità e volontà -, più che di una futur-azione in absentia - del farò, oggetto di comunicazione, una forma emanata in seguito a una razionalizzazione del suo (dell'opera) senso, al di là della mia partecipazione manuale, al di là della mia partecipazione emotiva: frutto preparato non partendo da me ma dall'altrove: dalla cronologicità della storia accademica; dal tempo bloccato dall'idea estetica; dal mio tempo da venire, piuttosto che nel tempo in cui sono. Quando si cerca di trovare nella sinestesia (nella caoticità di molteplici interventi sensoriali, nella stesura come nella "lettura" dell'opera) l'effetto, la sorpresa, volta a catturare l'attenzione dello spettatore, si badi di interromperla: non si può così futuristicamente e con spirito ideologico utilizzare la partecipazione complessiva dei sensi fisiologici e votarli a un così utilitaristico fine. Si pensi, invece, che per recuperare la mitica unità originaria del sensorio (vagamente da U. Artioli) si può tentare di usare sì della sinestesia ma non pensare, ad esempio, a una "rappresentazione ottica d'un processo che è per essenza acustico" (liberamente da M. Schneider), tenere quindi distanti da sé cose di cui non si sanno controllare i rigagnoli del senso. La sinizesi estetica è probabilmente pericolosa, per molti è senz'altro fatale soprattutto se ci si avvicina con lo spirito del cavalcatore di tigri (la vera "tigre di carta" è l'attualità), pericolosa se intesa come ritorno all'indietro, piuttosto che come discesa nell'avanti. L'importante è voler essere nel giusto mettendosi costantemente alla prova: dei sentimenti, dello spirito con cui si fanno le cose (Zen), delle sensazioni... e verificare la bontà dell'intenzione di tutto il gesto di creazione. Niente al caso, spazio alla causalità dell'intervento dell'uomo che ha abbattuto il proprio Io.

 Enzo Terzano

° 1986 E. Terzano, Brevi sulla disparizione della suggestione estetica, in A.A.V.V., Contemporanea, Biennale d’Arte, Filosofia e Spettacolo, Milano, Gruppo Editoriale Fabbri, 1986.


 4. E. Terzano, Arte e critica: un difficile rapporto in questo fin de siecle, pp. 13-14

 Il disprezzo che certa critica d'arte contemporanea porta per l'oggetto del suo quotidiano impegno non ha limiti morali. L'accanimento per il controllo ideologico del prodotto suscettibile di fruizione estetica, qual è un'opera d'arte (a che fini poi ognuno si interroghi), ha raggiunto un tale limite di sopportabilità sensoria, che non resta altro da fare che consigliare all'artista, emozionalmente sano, di barricarsi in un solida poetica e respingere le lusinghe mercantili e le trappole concettuali di tante teoriche "deboli" dall'immaginario sfrenato, più interessate a cavalcare la contemporaneità su un ricco tappeto d'esibizione (fatto di tante "tele" svendute) piuttosto che osservare le cose e poi pensarle. Affossato il proprio pensiero, stanco e ammaliato, nelle spire di un tale disegno nihilista, ci si adagia a questo rozzo e purtroppo imperante monocerebralismo senza più opporre resistenza. L'uomo monocerebrale divide la sensazione dall'emozione, si concentra solo sulla mente finendo per aver paura del corpo "vivo", in un certo senso dell'incontrollabile genesi della natura e predilige il cadaverico e ferale mondo della causalità dell'emozione programmata. La monocerebralità liquida la sensazione come spiacevole interferenza delle risposte corporee alle sollecitazioni recepite, all'esterno o captate all'interno, dai sensi. Opera in modo da contrarre l'emozione, e così le emozioni estetiche, dentro un tunnel lineare e rassicurante. Agisce come compressore di una conoscenza che necessariamente e per sua natura è ampia e mai del tutto codificabile. Di qui l'eresia della logica e della semiotica del senso, del piacere estetico, della passione, del linguaggio... livellatori in difetto, vittime della visione dualista dell'esistente, sostenitori dell'impervalutazione dell'Io.

***

 Il rapporto operatore-artista soggiace, in una moltitudine di casi che ognuno può osservare, ad uno straziante e duplice patto di sangue: da una parte un senza limite all'azione coercitiva del critico (l'artista uniforma la sua poetica alla "tendenza" dominante' oppure si sottopone, fedelmente, alla linea teorica, o meglio, agli espedienti nominali, inventati, lì per lì, dal critico); dall'altra, una cieca obbedienza ai dettami compositivi suggeriti dal gallerista (opere prodotte secondo uno standard non banalmente di qualità, ma, più semplicemente, di commerciabilità). L'artista, vittima di questo crudele gioco infantile, diviene progressivamente incapace di assaporare il piacere di essere promotore di un'Idea: socialmente ed emotivamente è un non artista. Della non artisticità, molta della pittura contemporanea ha fatto una bandiera d'internazionalismo estetico. Sotto l'egida della pura forma si sono abbattute molte soglie genuinamente ed ermeticamente difese dall'emozione, ma altre, fortunatamente, sopravvivono nel sereno angolo di qualche atelier poco frequentato e chiacchierato, dove il pensiero e la mano, di comune accordo, possono continuare ad esercitare la loro millenaria funzione estetica. "Contemporanea" ha viaggiato,  proprio in conflitto con quelle abitudini comportamentali prima segnalate, dentro gli studi meno esplorati dalla critica locale, traendo beneficio e vigore da una serie di presenze intelligenti e significative. In fondo non era proprio il fidarsi delle proposte del critico di grido, sordamente potente, a fiaccare l'umore di chi rimasto fedele alla necessità dei suoi sensi non si abituava a credere che l'arte è solo un fenomeno meccanomorfo che segue le pieghe della scienza o, ancora peggio, una curiosità storica o semiotica in continuo aggiornamento, utile, tutt'al più, a riempire i vuoti di esistenze annoiate. Non ci interessano più i gesti di una pittura dal divenire forzato, ideologica ed eteronoma, fatta di particelle cerebrali impazzite di dolore per essere ridotte a servomeccanismi di un disegno razionale e furbo. A quale scopo, per quale necessità, bisognava, poi, continuare a dare udienza a questi nomi sacralizzati da mostre importanti, da galleristi di spirito galattico, da recensioni sul momento prestigiose? Cosa si trovava in loro, nelle loro tele confezionate, in quelle superfici contaminate da un citazionismo vano, senza idee, ladri di figure stressati nell'intimo dal non riconoscersi nel proprio prodotto? Niente, una completa disparizione del senso, una tragica nullificazione della comunicazione. La memoria, l'affetto, le paure, le forme osservate da un’intelligenza sensibile, nei lavori di questi artisti di grido, seguiti da critici altrettando mondani e "veloci" e dai gomiti e dal cuore d'acciaio, non appaiono. In essi solo una superficiale e ottusa banalizzazione del colore e della forma. Transavanguardisti, nuovi nuovi, post-astrattisti, anacronisti, neofuturisti, neoinformali, astrattisti magici, neoespressionisti, nuovi graffinisti, "artisti redenti"... un comune e desolante denominatore: l'ansia del nuovo a qualsiasi costo, quel venefico tic psicofisico prossima soglia ad una necrofilia generalizzata nell'arte come nella vita. Che poi di nuovo non si tratta, ma di vecchiume, di antiquariato di bassa lega, di furti coloristici, d'appropriazione iconografiche di pessimo gusto, di citazionismo casuale e disinformato, d'imitazione sfacciata di un quadro qualsiasi, di una fotografia qualsiasi, e così di un autore e di un movimento qualsiasi. La pittura che corre in voga è dolorosamente senza senso, è la clamorosa vittoria del malefico mondo dell'arrivismo. Ad una soglia così pericolosa, per la sua necessità d'essere, l'arte non è mai giunta se non al nascere di questo truffaldino terzo millennio, portatore di un "rinascimento" catastale, burocratico e sostanzialmente ipocrita, dove l'arte e i suoi mondi paralleli non contano nulla e così il sentimento.

***

 I pittori e gli scultori invitati in questa prima edizione di "Contemporanea" coprono un ambito generazionale volutamente ampio. Segnaliamo giovani talenti accanto ad artisti di impagabile bravura, raffinati narratori di lunghi anni di umile silenzio. A questo punto il critico non entra a discutere le poetiche degli autori che presenta; la scelta è già stata compiuta e dunque non ha parole, né presunzione per descrivere opere la cui bellezza parla agli occhi, se questa ha per caso deciso di poggiarsi su di esse.

 Enzo Terzano

° 1986 E. Terzano, Arte e critica: un difficile rapporto in questo fin de siècle, in A.A.V.V., Contemporanea, Biennale d’Arte, Filosofia e Spettacolo, Milano, Gruppo Editoriale Fabbri, 1986.


5. E. Terzano, Introduzione alla Sezione Filosofia, p. 3

 E' stimolante immaginare dei luoghi e poi visitarli realmente, così l'avere pronunciato un pensiero creativo e vedersi poi lavorare alla sua volta su un piano che è quello dell'idea che s'incarna in una realizzazione. Non ha importanza quanto lavoro, è la qualità del lavoro che importa, vale a dire l'amore che in esso si è disposti a trasferire, catalitico per ogni prodotto culturale che abbia poi riconoscimento, che funzioni come polo attirando persone e sensibilità. Ciò non sempre significa che il nostro lavoro sfoci in un ottimo prodotto intanto si badi al modo e ci si interroghi sul come... poi il resto è solo un effetto. Non sappiamo, anche adesso che "Contemporanea" è al suo primo termine - una seconda edizione "Emilia Romagna" nell'88? - se un segno, una spora, un soffio di calore da essa siano stati emanati. Certo molti interventi di spirito diverso l'hanno caratterizzata, una gestione culturale elastica ha permesso messaggi a volte contraddittori rispettandone le forme anche se non condivise. Si è agito non nel senso di una "politica", né seguendo ideologie delle ultime ore, né fantasticando su "novità" costruite con la velocità egotista della "tendenza". Si è amato crescere con la cosa, diventare la cosa esserne posseduti e possederla: una biennale è un gioco che può trasformarsi in un esercizio di piccoli piaceri per gente affarista della cultura, del guadagno del successo, dell'esserci per dimostrare la grandezza dell'Io. L'unico orgoglio è che "Contemporanea" sia un simbolo più che un risultato. Il simbolo (infuso d'amore) e il Tempo non sono nemici mentre i bilanci e i graffiti privi di senso invecchiano in scaffali e su pareti dove nessuno li cercherà più.

 Enzo Terzano

° 1986 – E. Terzano “Introduzione alla Sezione Filosofia”, in A.A.V.V., Contemporanea, Biennale d’Arte, Filosofia e Spettacolo, Sezione Filosofia a cura di Wainer Ligabue, Bologna, Sala Palazzo Dei Notai, 10-11 Dicembre 1986.


6. E. Terzano, Introduzione alla Sezione Cine-Video, p. 2

 Contemporanea riemerge nella sua "seconda parte"con la sezione dedicata al cinema e alle produzioni in video. Una nutrita raccolta di interventi indipendenti e sperimentali sui media dell'immagine-movimento a testimoniare dell'ampia produzione dell'area bolognese mai prima d'ora presentata in un’unica rassegna. L'opuscolo che s'introduce, ad integrazione del catalogo generale della manifestazione, ospita schede degli artisti e presentazioni critiche relative alla sola sezione "Cine video". Un ulteriore opuscolo ospiterà gli interventi teorici della sezione "Filosofia". Completato il trittico dei cataloghi, Contemporanea avrà allora svelato per intero il suo volto: luminoso di chiarezza e coraggio. Chiarezza per non aver dato spazio ad artisti molto inclini a prediligere trame piuttosto che interrogarsi e meglio lavorare sui propri prodotti, e coraggio per aver "riaperto" Bologna a operazioni ariose e autonome, affollate di curiosi/tà, e spregiudicate nelle preposte culturali. Contemporanea soffre d'aver avuto poco spazio e poco tempo per mostrarsi. Alcune sezioni come "Fotografia" e "Architettura e Design" sono rimaste aperte il lampo di una settimana. Soprattutto è ansiosa di ospitare quegli artisti e quegli operatori critici, intelligenti e propositivi, che in questa prima edizione erano assenti.

 Enzo Terzano

° 1986 – E. Terzano “Introduzione alla Sezione Cine-video” in A.A.V.V., Contemporanea, Biennale d’Arte, Filosofia e Spettacolo, Sezione Cine-Video a cura di Sauro Baraldi, Bologna, Cineclub Lumière, 18-20 Novembre 1986.


7. Elenco generale dei critici e degli artisti presenti a Contemporanea. Sedi e tempi della manifestazione

SEZIONE PITTURA E SCULTURA

A cura di Enzo Terzano e Edoardo Di Mauro

Bologna Palazzo Re Enzo – Sala dei 600 - 7/26 Luglio 1986

Pittura e Scultura: Stefano Teglia, Paolo Pasotto, Rossella Bartoli, Ignazio Di Giorgi, Giorgio Azzaroni, Aldo Galgano, Gianni Castagnoli, Francesco Ciancabilla, Gino Gianuizzi, Gabriele Cavicchioli, Mirjam Bruckner, Roberto Grandi, Naldo Dell’Anna, Emilio Fantin, Luca Caccioni, Eleonora Straub, Gaetano Russo, Romano Donati, Andrea Mizzau.


SEZIONE FOTOGRAFIA

A cura di Marcello Pecchioli

Bologna Palazzo Re Enzo – Sala dei 300 - 7/26 Luglio 1986

Fotografia: Roberto Pari, Giorgio Tani, Luciano Nicolini, Paolo Racagni, Roberto Pagliara, Enzo Terzano, Stefano Aspiranti, Toni Contiero, Paolo Denaro, Giordano Bonora, Marco Goretti, Maria Grazia Toderi, William Masetti.


SEZIONE ARCHITETTURA

A cura di Maurizio Corrado

Bologna Palazzo Re Enzo – Sala dei 300 - 7/26 Luglio 1986

Architettura: Aldo Ansaloni, Gianantonio Avezzù, Paolo Bulgarelli, Maurizio Castelvetro, Aristodemo Ciavatti, Giovanni De Carolis, Massimo Giorgetti, Bepi Maggiori, Mauro Matteucci.

Design: Stefano Campana, Maurizio Corrado, Alessandro Folli, Giovanni Tommaso Garattoni, Massimo Josa Ghini, Umberto Pizzirani, Valerio Sacchetti.


SEZIONE POESIA

A cura di Gianni Curreli

Bologna – Cortile di Palazzo d’Accursio - 9 Luglio 1986

Poesia: Patrizia Vicinelli, Gianluca Torrealta, Franco Facchini, Maria Cini, John Gian, Rita Degli Esposti, Nino Pettazzini, Alberto Masala.


SEZIONE MUSICA

A cura di Massimo Privitera

Bologna 11 – Luglio 1986

Musica: Andreina Costantini, Nicola Cursi, Marco Dal Pane, Fabrizio Festa, Tiziano Popoli, Massimo Privitera, Massimo Sgargi, Giovanna Guardabasso, Marco Coppi, ‘Musica in Camera’ (gruppo musicale).


 SEZIONE PERFORMANCE

A cura di Marco Cavicchioli

Bologna – Cortile Palazzo D’Accursio - 13/14 Luglio 1986

Performance: Enrico Lo Maestro, Pier Paolo Bertocchi, Claudiol Galassi, Vittorio Mascalchi, Riccardo Baratta, Stefano Armati, Patrizia Piccinini, Susanna Quaranta, Serena Mignani, Gianni Curreli, Alessandro Seu, Marco Cavicchioli, Paolo Magagna.


SEZIONE FILOSOFIA

A cura di Wainer Ligabue

Bologna – Palazzo Dei Notai - 17/18 Ottobre 1986

Relatori: Wainer Ligabue, Lionelli Massimo, Marchi Emilio, Lorella Ryuko Montanelli, Fabio Koryu Calabrò, Marco Rebeschi.


SEZIONE CINE – VIDEO

A cura di Sauro Baraldi

Bologna – Cineclub Lumiére - 13/15 Ottobre 1986

Cinema e Video: Enza Negroni, Giorgio Baldi, Giampiero Huber, Renato De Maria, Mauro Mingardi.


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