LA DIASPORA ETRUSCA

CAPITOLO   V

I  TIRRENI  CONTRAPPOSTI  aI  PELASGi

 

 1.                      Gli Arcadi-Pelasgi nell'Etruria Meridionale

  Secondo una divisione cara a certi geografi antichi, i Pelasgi venivano localizzati nell'Etruria meridionale dove sarebbero sbarcati provenienti dall'Arcadia.

 La più antica testimonianza è quella di Dionisio Periegete (II sec. a.C.) dove si dice:

 

 <<Intorno all'Appennino ci sono molte genti che ti elencherò tutte a cominciare dalla parte nord-occidentale. Per primi ci sono i Tirreni, e dopo di loro la gente dei Pelasgi che un tempo da Cillene (in Arcadia) raggiunsero il mare occidentale, e lì si insediarono insieme ai Tirreni. Dopo di loro  c'è il duro popolo dei superbi Latini>>[1].

 

 La tradizione si ritrova anche in Rufo Festo Avieno (IV sec.d.C.), che é un etrusco di Vulsinii, nell'Etruria meridionale dove lo stesso Festo localizza i Pelasgi. Egli, nel componimento poetico su Le coste marittime, elencando da nord a sud,  dice:

 

 <<Prima v'è la gente degli antichi Tirreni, poi la schiera pelasgia occupa i campi itali; essa una volta dal paese di Cillene si recò agli stretti del gorgo Esperio>>[2].

 

 La stessa versione si ritrova in Prisciano (V sec. d.C.)[3] e nei commenti di  Niceforo e di Eustazio a Dionisio Periegete[4] (vedi cap. VI, 2).

 

 

 2.                            Tegea (Corito?) e l'Etruria meridionale

 

 Nel commento di Probo alle Georgiche di Virgilio si dice che

 

Tegea è una città  dell'Arcadia, ma  <<esiste nella Tuscia una città omonima fondata dagli esuli Arcadi>>[5].

 

 Evidentemente, in Etruria, c'era, o si credeva che ci fosse, una città alla quale veniva attribuito quel nome.

 Se teniamo presente che la tradizione, sostenuta anche dall'etrusco Avieno, diceva che i Pelasgi dall'Arcadia erano andati a stanziarsi nell'Etruria meridionale (vedi par.1), possiamo ipotizzare che qui fosse, o si immaginasse che fosse, la città di Tegea.

 Per un’ulteriore determinazione, possiamo considerare che, nelle tradizioni greche, Tarconte fondatore di Tarquinia, era figlio di Telefo nato in un demo di Tegea chiamato Corito, e figlio adottivo dell'eponimo re Corito.

 Il nome di Tegea poteva esser, dunque, una variante erudita di quello della città di Corito (vedi cap. VI, 3).

  

   

 3.                                      Dionigi di Alicarnasso

 

 Nei capitoli precedenti, abbiamo visto tre posizioni.

 

a)                   Quella di Ellanico di Lesbo (V sec. a.C.), secondo la quale i Pelasgi dalla Grecia emigrarono in Italia dove assunsero il nome di Tirreni (Etruschi) per poi tornare in Grecia sotto questo nome (vedi cap. XII, 1). L'autenticità di alcuni particolari attribuiti ad Ellanico è dubbia, come vedremo.

 

b)                    L'altra, di Mirsilo di Lesbo (III sec.a.C.), per la quale i Tirreni d'Etruria erano originariamente italici, ed assunsero il nome di Pelargi quando emigrarono in Grecia e nelle altre regioni dei barbari (vedi cap. XIII, 2).

 

c)                    Nelle due prime tradizioni, i Pelasgi e i Tirreni si risolvono gli uni negli altri. Solo nella terza, Dionisio Periegete (II sec.a.C.) presenta i Tirreni e i Pelasgi  come due popoli distinti: i primi (che verosimilmente riteneva autoctoni) localizzati in tutta l'Etruria, i secondi nel sud della regione assieme ai Tirreni (vedi par.1).

 Alla fine del primo secolo avanti Cristo, con Dionigi di Alicarnasso, la distinzione si fa netta. Per Dionigi, gli Etruschi sono sicuramente barbari autoctoni; i Pelasgi, invece, sono Greci colonizzatori, coabitano senza fondersi con gli Etruschi, poi tornano in Grecia, come vedremo nei prossimi paragrafi.

 Strabone, sulla scia di Dionigi, acutizzerà l'opposizione fra Tirreni e Pelasgi al punto da presentarli come due popoli nemici per il possesso di Ravenna, tanto che i Pelasgi tornarono in Tessaglia[6]. Di Strabone parleremo diffusamente nel capitolo su Maleo ed in quelli su La tradizione Ateniese e su La tradizione etrusca.

 

 

 4.                               Dionigi di Alicarnasso ed Erodoto

 

 Dionigi sosteneva che

 

Sofocle, Tucidide e chiunque altro parlava della presenza dei Tirreni fuori d'Italia, lo faceva perché li denominava con il nome tratto dall'Etruria (gr. Tyrrhenia) donde provenivano; e che viceversa, quegli autori che li chiamavano Pelasgi lo facevano in ricordo del nome che questi possedevano prima della loro migrazione in Italia e dall'Italia[7] (vedi cap. XI, 3).

 

 Quanto al rapporto fra Pelasgi e Tirreni, Dionigi dice:

 

 <<Io penso che la stirpe non fosse la stessa per molti fattori, ma, soprattutto per la diversità delle loro lingue nelle quali non trovo alcuna persistenza di una base comune. D'altra parte, come scrive Erodoto, né i Crotoniati né i Placiani, che pure parlano la stessa lingua, hanno comunanza di linguaggio con i rispettivi popoli circonvicini. E' chiaro che essi conservano i caratteri della lingua che parlavano quando si trasferirono in queste regioni. E' certo che qualcuno potrebbe meravigliarsi che mentre i Crotoniati parlavano come i Placiani, che abitano vicino all'Ellesponto, dato che erano entrambi di origine pelasgica, non parlino invece come i vicini Tirreni. Se, infatti dobbiamo assumere la comunanza delle origini come causa di quella dei linguaggi, si deve anche assumere che un'origine diversa comporti una diversità di linguaggio [...]. Proprio in base a questi indizi, io sono convinto che i Pelasgi differiscano dai Tirreni; e nemmeno credo che i Tirreni siano coloni dei Lidi. Non parlano, infatti la medesima lingua [...]. E' forse più vicino al vero chi dice che i Tirreni non sono venuti da nessun luogo, ma sono un popolo autoctono. Infatti, è antico in tutto, e né il suo linguaggio né il suo modo di vivere somiglia a quello degli altri>>[8].

 

 Che il nucleo originario della nazione etrusca sia stato autoctono  è verosimile; però Dionigi utilizzava l'argomento per sostenere che non c'era affinità fra gli Etruschi, che riteneva barbari autoctoni, e i Pelasgi d'Etruria e del bacino orientale del Mediterraneo, che riteneva di origine greca; e, a tal fine, sosteneva che Erodoto avesse rilevato che la lingua etrusca appartenesse ad un ceppo linguistico fondamentalmente  diverso da quello pelasgico.

 Noi sappiamo, invece, che proprio nell'isola di Lemno, dove si diceva che fossero vissuti i Pelasgi, sono state trovate alcune epigrafi della fine del VI sec.a.C., scritte in una lingua simile a quella etrusca (vedi cap. XI, 3).

 E', quindi, opportuno confrontare quel che Dionigi attribuisce ad Erodoto con quel che Erodoto ha veramente detto.

 

 A) Erodoto dice:

 

 <<Non potrei dire con esattezza quale lingua parlassero i Pelasgi, ma se consideriamo sia il linguaggio di coloro che ancora rimangano di quei Pelasgi che, sopra i Tirreni, abitano nella città di Crestona, ed un tempo si trovavano vicini agli attuali Dori (abitavano allora il paese che ora è chiamato Tessagliotide), sia il linguaggio di quei Pelasgi che, dopo aver abitato con gli Ateniesi, andarono a colonizzare le città di Placia e Scillace sull'Ellesponto, sia il linguaggio di tutte quelle altre città che furono pelasgiche e che poi cambiarono nome, dobbiamo dedurre che i Pelasgi parlavano una lingua barbara. E se questo era il modo di parlare di tutti i Pelasgi, allora gli Ateniesi, che erano originariamente tali, dovettero imparare un'altra lingua quando entrarono a far parte dei Greci. Infatti, gli abitanti di Crestona parlano come quelli di Placia, ma entrambi parlano una lingua diversa da quella dei loro circonvicini. In tal modo, essi dimostrano di conservare gelosamente il particolare linguaggio che portarono seco quando trasmigrarono nelle loro attuali sedi>>[9] (vedi cap.VIII, 1).

 

 

 B) Dionigi, nel  sopra riportato discorso, sostiene che Erodoto, in questo passo, parli della presenza di Pelasgi in Italia, e li situi a nord dell'Etruria, in una città chiamata Crotone (di nazionalità umbra, come dirà in altra occasione: vedi par. 6). 

 Ma Erodoto, come si può controllare, non menziona mai questa presunta Crotone, bensì una città di nome Crestona localizzata a nord dei Tirreni della Grecia del suo tempo, cioè nella Penisola Calcidica dove realmente era.

 Dell'esistenza di Crestona, nella Penisola Calcidica, parla Tucidide quando, trattando delle città che si trovavano ad Acte, in Tracia, dice:

 

 <<Esse sono abitate da vari popoli barbari bilingui e da una piccola minoranza calcidese, ma la maggioranza della popolazione è pelasgica, di quei Tirreni che un tempo abitarono Lemno ed Atene; inoltre, vi sono Bisalti, Crestonesi ed Edoni, sparpagliati in piccole cittadine>> (vedi cap. XI, 2)[10].

 

 Storicamente, gli abitanti di Lemno furono cacciati dalla loro isola verso la fine del VI sec.a.C.[11] quando ancora parlavano una lingua simile all'Etrusco. Si trasferirono nella Penisola Calcidica, come afferma Tucidide; e, al tempo in cui Erodoto e Tucidide scrivevano, avevano evidentemente imparato a parlare anche il Greco.

 Dunque, quando Erodoto diceva che, ai suoi tempi, la lingua dei Pelasgi di Crestona, che abitavano a nord dei Tirreni del suo tempo, era diversa da quella parlata dai loro circonvicini, intendeva contrapporre la lingua pelasgica parlata dai Crestonesi a quella greca parlata dai loro circonvicini fra cui i Tirreni ellenizzati del suo tempo.

 Invece, Dionigi presenta il discorso di Erodoto come se fosse imperniato sul rapporto fra i Pelasgi di una presunta città di Crotone in Italia (che però è Crestone in Grecia) e quello dei loro vicini Tirreni dell’Italia (che però sono i Tirreni ellenizzati della Grecia). Dionigi ha potuto giocare sul fatto che i Greci chiamavano Tirreni sia alcune popolazioni barbare del bacino orientale del Mediterraneo, sia gli Etruschi d'Italia. 

 

 C) In nessun punto della sua opera, Erodoto parla mai di presenze pelasgiche in Italia, né di migrazioni pelasgiche verso l'Italia o dall'Italia. Egli, diversamente da quanto farà Ellanico (vedi cap. XII, 1), non sostiene che fra i Tirreni-Pelasgi d'Italia e quelli della Grecia ci sia unità di stirpe, ma nemmeno contrappone le due popolazioni. Egli ne ignora semplicemente il rapporto perché egli è nato in Asia e propende per la tradizione asiatica secondo cui gli Etruschi non erano Pelasgi, ma   Lidi emigrati in Italia sotto la guida di Tirreno dal quale assumeranno il nome[12].

 Verosimilmente, è proprio per ignorare il rapporto fra i Tirreni-Pelasgi d'Italia e quelli della Grecia che Erodoto omette di specificare donde provenivano i Pelasgi di Atene, che egli stesso presenta tuttavia come immigrati (vedi capp. XI, 1-2; XVI, 3).

 La contrapposizione fra Pelasgi e Tirreni, proposta da Dionigi, non era presente nella cultura greca del tempo di Erodoto (V sec.a.C.). Infatti, sia Sofocle, che era più vecchio di Erodoto, sia Ellanico, che era di poco più giovane, identificavano i Pelasgi con i Tirreni.

 La diversità fra i due popoli, ma non ancora la contrapposizione, apparirà con Dionigi Periegete (II sec.a.C.) che porrà i Tirreni ad abitare nel nord dell'Etruria, e i Pelasgi a coabitare con i Tirreni dell'Etruria meridionale (vedi par. 1).

 Sarà, invece, proprio Dionigi di Alicarnasso, alla fine del I sec. a. C., il primo a sostenere una netta diversità di stirpe e di lingua fra gli Etruschi, che egli considerava barbari autoctoni, e i Pelasgi provenienti dalla Grecia.

 

 Questi, secondo Dionigi, avrebbero abitato accanto agli Etruschi senza fondersi con loro; però avrebbero convissuto e si sarebbero fusi con gli Aborigeni del Lazio vetus. Gli Aborigeni, poi, si sarebbero fusi con i Troiani, anch'essi (secondo lui) di origine greca. Tutto ciò al fine di dimostrare che gli  Etruschi erano barbari autoctoni, e che i Troiani-Romani, dominatori della Grecia e  del mondo, non discendevano dagli Etruschi (come invece voleva Virgilio), ma <<erano Greci e, per di più, provenivano da generazioni di genti che non erano né infime né trascurabili>>[13]. 

 

 La netta contrapposizione fra Pelasgi ed Etruschi, sostenuta da Dionigi, non aveva precedenti fra gli storici, così il nostro autore andò a disturbare Erodoto e  cercò di attribuirgli un discorso che questi non aveva fatto[14].

 Ma se Dionigi seppe utilizzare in maniera tanto abile le parole di Erodoto fino a ridurre il rapporto esistente fra i Pelasgi della città greca di Crestona e i Tirreni ellenizzati della Grecia a quello fra una presunta città umbro-pelasgica di Crotone e i Tirreni d'Italia (Etruschi), non sappiamo davvero quale valore dare alle altre occasioni in cui egli, come vedremo, inserirà questa Crotone nel contesto di migrazioni pelasgiche in Italia. Esaminiamo  i casi.

 

 

 5.                                         Dionigi di Alicarnasso,

            Ellanico di Lesbo, Diodoro, Strabone, Trogo Pompeo e Varrone.

                                

 A proposito della origine pelasgica dei Tirreni d'Italia, Dionigi di Alicarnasso sostiene che Ellanico di Lesbo abbia detto che

 

<<durante il regno di Nanas, figlio di Teutamide, i Pelasgi furono scacciati dal loro paese dai Greci; e, lasciate le loro navi presso il fiume Spines, nel golfo Ionio, presero Crotone (!), una città posta al centro del territorio (gr. mesogenia); e, partiti di lì occuparono quella che noi oggi chiamiamo Tirrenia (= Etruria)>> (vedi cap. XII, 1).

 

 Il nome della città di Crotone in Italia (in luogo di Crestona in Grecia) che abbiamo visto inserito da Dionigi nel contesto del discorso di Erodoto,  è ora presente nel contesto del racconto che lo stesso Dionigi cita da Ellanico.

  Ovviamente, il nome di questa Crotone ci è sospetto.  Dionigi, come aveva fatto con la Crestona di Erodoto, potrebbe aver cambiato in Crotone il nome della città  menzionata da Ellanico, o potrebbe averne snaturato il contesto geografico, o potrebbe aver fatto l’una e l’altra cosa. 

  La città, secondo Dionigi, si sarebbe in seguito chiamata Cortona (vedi par. 6).

 Tuttavia, nel V sec.a.C., quando Erodoto ed Ellanico, secondo Dionigi, la avrebbero menzionata, la etrusca Cortona (etr. Curtun) era appena assunta al ruolo di città. In precedenza, erano esistiti, sul territorio, villaggi sparsi, come è dimostrato dalla mancanza, fino al V sec.a.C., di una necropoli unitaria.

 Sarebbe, dunque, strano che Erodoto ed Ellanico, vissuti entrambi nel V sec. a. C., avessero attribuito a una città in formazione, o da poca costituita, avvenimenti mitici che sarebbero accaduti molte generazioni prima della guerra di Troia.

 Erodoto, infatti, non lo fece, come abbiamo visto dal controllo del suo testo. Purtroppo, non possiamo controllare il testo di Ellanico perché non ci è pervenuto. 

 Possiamo, però, raffrontare il racconto che Dionigi attribuisce ad Ellanico con quello di altri autori e con quello che lo stesso Dionigi fornisce sulla venuta dei Pelasgi in Italia.

 

DIODORO SICULO (II sec.a.C.). Limitatamente alla Valle Padana, la presenza dei Pelasgi sull'Adriatico è menzionata da Diodoro Siculo (vedi cap. XV, 1).

 

 STRABONE (I sec.a.C.-I d.C.). Egli parla di colonie pelasgiche a Ravenna, sull'Adriatico, ed a Cere, Pirgi e Regisvilla, sul mar Tirreno (vedi cap. XV, 8).

 

 TROGO POMPEO (I sec.a.C.-I d.C.). Egli, parlando delle città umbre ed etrusche di origine pelasgica, non parla di Crotone o di Cortona, ma indica solo Tarquinia e Spina quali città emblematiche della colonizzazione pelasgica in Etruria ed in Umbria:

 

 <<Tarquinia, fra i Tusci, ebbe origine dai Tessali (cioè dai Pelasgi), e Spina  fra gli Umbri>>[15].

 

Spina era la città sulla foce del fiume Spines (il Po) dove, secondo quanto Dionigi fa dire ad Ellanico, sarebbero sbarcati i Pelasgi che poi avrebbero occupato Crotone.

 Qualunque sia il senso da dare al difficile testo di Trogo Pompeo, possiamo cautamente ipotizzare che Trogo recepisse notizie da una tradizione dove il rapporto fra i Pelasgi di Spina, in Umbria, e gli Etruschi privilegiasse Tarquinia, forse in riferimento a Corito

Anche Plinio faceva di Tarquinia una città di origine greca[16].

 

 VARRONE (II-I sec.a.C.). Da un frammento di Varrone sappiamo che

 

<<I Pelasgi, scacciati dalle loro sedi, cercarono altre terre. I più si riunirono a Donona; e poiché erano incerti sul luogo dove fissare la dimora, ricevettero dall'oracolo questo responso:

 

 Nella terra saturnia dei Siculi e degli Aborigeni, cercate Cotila, dove galleggia un'isola. Quando sarete giunti, offrite la decima a Febo, e sacrificate teste ad Ade, ed un uomo a suo padre.

 

 Avuto questo responso e, dopo molte peregrinazioni, sbarcati nel Lazio (cum Latium post errores plurimos appulisset), scoprirono un'isola nata nel lago di Cutilia. Si trattava di una vastissima zolla fatta di fango rappreso o di terreno paludoso prosciugato. Era fitta di boscaglia e di alberi cresciuti disordinatamente, e si spostava continuamente spinta dai flutti [...]. Visto, dunque, questo prodigio, compresero che quella era la sede predetta; e, scacciati i Siculi che la abitavano, occuparono la regione>>[17].

 

  Da altri frammenti apprendiamo che Varrone sosteneva che

 

 i Pelasgi erano gli stessi Etruschi, e che, passati in Etruria, avevano fondato Cere (vedi cap. XII, 5 e 6) .

 

 Egli, come già nel racconto che Dionigi attribuiva ad Ellanico, identificava i Pelasgi con gli Etruschi; però li faceva sbarcare sulle coste del Mar Tirreno, e precisamente, con un po' di sciovinismo, nel Lazio vetus.

 

STEFANO DI BISANZIO (V sec. d.C.). Scrisse un lessico geografico (Ethnicà) ricco di notizie storiche tratte da fonti antiche. Ne possediamo il sunto fatto da un grammatico di nome  Ermolao.
Stefano menzionò tre città, in Italia, che portavano il nome di Crotone, e un’altra che si chiamava Kyrhonion. Ne parleremo alla  fine di questo capitolo, dopo aver cercato di trattare, nel prossimo paragrafo, gli argomenti preliminari che ci consentano di tentare l’identificazione della Crotone di Ellanico.

 

 6.    La venuta dei Pelasgi in Italia nel racconto di Dionigi di Alicarnasso

 

  Dionigi di Alicarnasso, come abbiamo visto, avvalora la propria teoria della contrapposizione fra Etruschi e Pelasgi sostenendo che  Erodoto aveva rilevato che la lingua degli abitanti di Crotone in Italia (che invece era Crestona in Grecia) era del tutto diversa da quella degli Etruschi o Tirreni d'Italia (che invece erano i Tirreni ellenizzati della Grecia).

 Il nome di questa Crotone in Italia (che invece è Crestona in Grecia) sarebbe, poi, per Dionigi, lo stesso nome della città che Ellanico aveva menzionato nel suo racconto della venuta dei Pelasgi in Italia.

 Ovviamente, il nome di questa Crotone, ed il contesto geografico in cui viene inserito, ci è sospetto; e sospetti ci sono il nome di questa Crotone e la versione che lo stesso Dionigi, a sua volta, produce sulla venuta dei Pelasgi in Italia. Per lui,

                

 <<i Pelasgi erano di antica stirpe greca e provenivano dal Peloponneso. Essi erano passati attraverso molte vicissitudini di vario genere soprattutto a causa del loro modo di vita girovago, senza fissa dimora e senza nessun punto di riferimento in un luogo sicuro. Dapprima essi abitarono nella regione presso Argo achea, come adesso viene chiamata, ed erano autoctoni di quella regione, come dicono molti. Inizialmente presero la loro denominazione dal re Pelasgo figlio di Zeus e di Niobe figlia di Foroneo>>. Nel corso della sesta generazione, si spostarono nella Tessaglia dove rimasero per più di un secolo, finché, scacciati dai Cureti e dai Leligi, <<si dispersero nella fuga. Alcuni raggiunsero Creta, mentre altri si impadronirono di alcune isole Cicladi. Altri si stabilirono nel territorio chiamato Estieotide, presso l'Olimpo e la città di Ossa, altri poi si recarono nella Beozia, nella Focide e nell'Eubea. Quelli che si erano diretti verso l'Asia si stabilirono in molte zone lungo le coste dell'Ellesponto, così pure in molte isole prospicienti la costa, fra cui Lesbo>>. Ma la maggior parte di costoro andò a rifugiarsi nell'interno della Grecia, presso gli abitanti di Dodona loro consanguinei. In seguito, accortisi che la terra non dava frutti bastanti per tutti, interrogarono l'oracolo il quale rispose:

 

<<Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo>>.

 

 I Pelasgi  accolto l'ordine  di navigare alla volta dell'Italia, e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime.

 

Fin qui lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone aveva prodotto prima di lui (vedi par. 5), per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare.

 

 <<Ma>>, dice Dionigi,<<per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina>>.

 Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.

 

Stavolta, Dionigi si è riallacciato al racconto di Ellanico (vedi par. 5).  

 

 Da qui, continua Dionigi, si spinsero nel territorio degli Aborigeni (nel Lazio vetus); e da alcuni segni capirono di trovarsi nella promessa città di Cotila. Fatta amicizia con gli Aborigeni del luogo, li coadiuvarono nella guerra contro gli Umbri e i Siculi.

 

 Ora Dionigi è tornato a Varrone. Però i Pelasgi di Varrone non erano giunti a Cotila provenienti dal lontano Adriatico, ma erano sbarcati direttamente sulla vicina spiaggia latina. Sembra che Dionigi sia interessato a far arrivare i Pelasgi dal mar Adriatico. Egli continua:

 

 Agli Umbri i Pelasgi, <<con un attacco improvviso, presero Crotone, grande e prospera città umbra, e se ne servirono come fortezza e guarnigione contro gli Umbri>>.

 

 Si tratta della medesima città di Crotone, in Italia, della quale, secondo Dionigi, aveva parlato Ellanico; ma si tratta anche della medesima città che lo stesso Dionigi aveva surrettiziamente scambiato con la città pelasgica di Crestona, in Grecia, menzionata da Erodoto.

 Ricordiamo che, nella versione attribuita ad  Ellanico, i Pelasgi avevano preso Crotone provenendo dal mar Adriatico, e da quella città avevano invaso il territorio della futura Tirrenia (Etruria).

 Invece, nella versione propria di Dionigi, i Pelasgi dapprima dall'Adriatico si trasferiscono sul versante occidentale della penisola, a Cotila (della quale aveva parlato Varrone), poi tornano paradossalmente indietro ed occupano Crotone (di cui avrebbe parlato Ellanico).

 E' evidente il tentativo di Dionigi di conciliare la funzione che la città di Cotila assumeva nella versione di Varrone con quella che la città di Crotone assumeva nel racconto che egli diceva essere di Ellanico: ambedue le città sono l’epicentro della diaspora pelasgica in Italia.

 

 Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che in proseguo di tempo furono occupate dagli Etruschi autoctoni che coabitavano la regione.

 

 Siamo di nuovo a Varrone per i quale i Pelasgi (sbarcati però nel Lazio vetus),  dopo aver occupato Cotila e la regione, si erano diretti in Etruria ed avevano fondato Cere (vedi cap. XII, 6).

 Tuttavia, i Pelasgi e gli Etruschi, per Ellanico e Varrone erano lo stesso popolo, mentre, per Dionigi, i Pelasgi erano Greci contrapposti agli Etruschi barbari autoctoni.

 Dionigi sopprime dalla tradizione di Ellanico l’identificazione di Pelasgi ed Etruschi, ma ne utilizza il fatto che i Pelasgi sarebbero sbarcati sul mar Adriatico. Ciò per contrapporre il proprio racconto alla tradizione di Varrone che faceva giungere i Pelasgi  sul mar Tirreno.

 E’ significativo, poi, che Dionigi, per evitare di confrontare il proprio racconto con quello di Varrone, o di quanri altri come Dionisio Periegete avessero fatto emigrare i Pelasgi sulla marina dell’Etruria meridionale, non cita mai né la versione dell’uno né quella degli altri.

E’ anche evidente, nel racconto di Dionigi,  la volontà di conciliare la funzione che la città di “Crotone” aveva assunto nella tradizione di Ellanico con la funzione che la città di Cotila aveva assunto nella versione di Varrone: alternativamente, le due città erano state l’epicentro della dispersione pelasgica nell’Italia centrale.

Dionigi continua poi narrando la storia del ritorno dei Pelasgi dall'Etruria verso oriente, attribuendo loro, per esplicita ammissione, le stesse vicende che Mirsilo di Lesbo aveva raccontato parlando dell'emigrazione degli Etruschi dalla loro terra ad Atene e nel bacino orientale del Mediterraneo (vedi cap. XIII, 2). Evidentemente, Dionigi non disponeva di fonti che avvalorassero la sua posizione, e si vedeva costretto ad ammettere di aver attribuito ai suoi antietruschi Pelasgi quel che Mirsilo aveva attribuito agli Etruschi.

 

 Quando i Pelasgi, dice Dionigi, cominciarono a credere di aver trovato in Italia e, particolarmente, in Etruria una stabile e fertile dimora, incorsero in quelle stesse ire divine che Mirsilo, nella sua Storia di Lesbo, aveva riferito agli Etruschi (vedi al cap. XIII, 2 il testo che Dionigi ha parafrasato).

<<Costoro dunque>>, conclude Dionigi, <<furono i primi che emigrarono dall'Italia e vagarono per la Grecia e in molte regioni dei barbari>>[18].

 

Dionigi aggiunge poi che

 

 <<Il tempo in cui i Pelasgi cominciarono a decadere fu intorno alla seconda generazione prima della guerra di Troia e si protrasse oltre, finché questo popolo si ridusse al minimo, ed eccetto Crotone, l'importante città degli Umbri, e qualche altro centro fondato nella terra degli Aborigeni, le altre città pelasgiche perirono. Crotone conservò tuttavia l'antica struttura fin quando, or non è molto, ha mutato nome e abitanti, è diventata colonia romana e si chiama Cortona. Numerosi popoli confinanti occuparono poi le città dopo l'abbandono dei Pelasgi, ma furono soprattutto i Tirreni (= Etruschi) ad occupare le più grandi ed importanti >>[19].

 

 La Crotone o Cortona di Dionigi fu, dunque, l'unica città rimasta ostinatamente umbro-pelasgica anche dopo l'emigrazione dei Pelasgi dalle altre città, tanto che essa rimase tale fino alla conquista romana.

Come si vede, il ruolo di questa Cortona non è legato a nessuna emigrazione pelasgica e tantomeno Etrusca, come oggi, invece, taluni vorrebbero intendere (vedi cap. XVII, 2).

 Da una notizia fornitaci da Strabone, sappiamo, invece, che l'epicentro della mitica diaspora etrusco-pelasgica è stato il porto di Regisvilla, sulla spiaggia fra Tarquinia e Vulci (vedi cap. XV, 8). 

 Da tutto quanto abbiamo esposto, l'esistenza della città che Dionigi chiamava Crotone o Cortona, quella stessa che egli attribuiva al racconto di Ellanico e, falsamente, anche ad Erodoto, rimane sospetta in tutte le circostanze in cui egli la menziona. Come egli aveva cambiato in Crotone o Cortona d'Italia il nome della città greca di Crestona menzionata da Erodoto, così poteva aver fatto con la città che egli, nel racconto riferito da Ellanico, chiamava Crotone.

.                                                              ***

 Abbiamo  visto (par. 5) che Trogo Pompeo, nell'elenco delle città umbre ed etrusche di origine pelasgica, non parla di Crotone o Cortona, ma indica Tarquinia e Spina quali città emblematiche della colonizzazione pelasgica in Etruria ed in Umbria:

 

 <<Tarquinia, fra i Tusci, ebbe origine dai Tessali (cioè dai Pelasgi), e Spina  fra gli Umbri (oppure e dagli Spinambri ovvero  e dagli Umbri di Spina) >> (vedi nota n.16). 

 

Spina era la città sulla foce del fiume Spines (il Po) dove, secondo quanto Dionigi fa dire ad Ellanico, sarebbero sbarcati i Pelasgi che poi avrebbero occupato Crotone.

 Probabilmente, Trogo recepiva notizie da una tradizione dove il rapporto fra i Pelasgi di Spina e gli Etruschi privilegiava Tarquinia.

 

 

 7.             Kyrthonios (Cortona) e Crotone in Stefano di Bisanzio

 

 Si ritiene comunemente che Stefano di Bisanzio abbia qualificato Cortona (oggi in provincia di Arezzo) come <<metropoli dell'Etruria>>, e che lo abbia fatto in riferimento a quella Crotone posta al centro del territorio dal quale, secondo quanto Dionigi attribuisce ad Ellanico, si sarebbe irradiata la colonizzazione pelasgica della regione che poi fu chiamata Tirrenia (Etruria).

 Ma vediamo ciò che, in effetti dice Stefano.

 Egli, alla voce Kyrtonios del suo dizionario di nomi di città, dice:

 

 <<Kyrtonios città d'Italia, da Polibio libro III>>[20].

 

 In effetti, lo storico greco Polibio (205-120 a.C.), nel III libro de Le Storie, in occasione della vittoria di Annibale sui Romani al Lago Trasimeno, aveva indicato, fra questo lago e Arezzo, una città che egli chiamava grecamente Kyrtonios[21]. Si tratta,  inequivocabilmente, di  Cortona di Arezzo.

 Altrove, Stefano, alla voce Kroton del  dizionario, elenca tre città:

 

 Una è Crotone in Calabria, <<l'altra è la metropoli dell'Etruria, ed una terza è pure in Italia>>[22].

 

Delle tre città di nome Kroton, la prima  è in Calabria, e non pone problemi.

 La seconda è definita <<metropoli dell'Etruria>>; ma non è affatto pacifico, come alcuni vorrebbero, che si tratti della stessa città di Cortona che  Stefano aveva elencato altrove con il diverso nome di Kyrtonios. Né è pacifico che si tratti di quella Crotone o Cortona che Dionigi attribuiva alla penna di Erodoto e a quella di Ellanico. Infatti, secondo Dionigi, quella città era umbra e rimase costantemente umbro-pelasgica; la Kroton di Stefano, invece, è etrusca.

 Il nome, di questa seconda Kroton, menzionato da Stefano, potrebbe corrispondere a quello della città etrusca fondata dai Pelasgi sbarcati a Spina, di cui aveva parlato Ellanico. Teniamo presente che Trogo Pompeo privilegiava Tarquinia (forse con riferimento a Corito) rispetto alla Crotone di Diodigi (vedi par.6).

Cautamente, possiamo ipotizzare che la  vera Kroton di cui parlava Ellanico fosse in un contesto geografico diverso da quello in cui la poneva Dionigi, e corrispondesse alla stessa città che Virgilio chiamava Corythus (Tarquinia). D'altra parte, la posizione storicamente assunta da Tarquinia alle origini del popolo etrusco ben si adatterebbe al ruolo che Ellanico affidava alla città da lui posta al centro del territorio dal quale si era irradiata la civiltà etrusca.   

 IL nome della terza Crotone, quella che Stefano non colloca in Etruria, ma genericamente in Italia, dovrebbe invece corrispondere a quello della Crotone che nemmeno Dionigi collocava in Etruria, ma in Umbria, e che identificava con Cortona. L’autentica Cortona  (etr. Curtun) è, comunque, quella che lo stesso Stefano chiamava Kyrtonios.



[1] Dionisio Periegete, in G.G.M., II, pag. 124.

[2] Rufo Festo Avieno, Or. mar. , v. 490-494 = G.G.M. ,II, pag. 181: <<prima vetustarum gens est ibi Tyrrhenorum; / inde pelasga manus, Cyllenae finibus olim / quae petit Hesperii freta gurgitis, arva retenta / Itala>>.

[3] Prisciano, v. 334-336: <<Tyrrheni primum fortes, iuxtaque Pelasgi / Cyllens quondam propria qui sede relicta / Tyrrhenis socios petierunt navibus arces>>.

[4] Niceforo, A Dionisio Periegete, 347 = G.G.M., II, pag. 460;  Eustazio, A Dionisio Periegete, 341 = G.G.M. , II, pag. 277.

[5] Probo, Alle Georgiche, I, 16: <<Tegea eiusdem oppidum cuius nomine est in Tuscia ab exulibus Arcadiae urbs condida>>.

[6] Strabone, Geografia, V, 1.

[7] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 25.

[8] Dionigi di Alicarnasso, op. cit. , I, 30

[9] Erodoto, Le storie, I, 57.

[10] Crestona fu menzionata pure da Licofrone e Tzetze. Stefano Bizantino, poi, disse che la città era stata già nominata da Ecateo prima di Erodoto, Pindaro, Licofrone e Riano (Stefano di Bisanzio, op. cit. , s.v. Creston).

[11] Erodoto, op. cit. , VI, 140; Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, IX, 19,6.

[12] Erodoto, op. cit. , I, 94.

[13] Dionigi di Alicarnasso, op. cit. , I, 5.

[14] Può anche darsi che Dionigi avesse letto un testo di Erodoto dove un amanuense sbadato o un critico ingenuo avesse scritto Crotone in luogo di Crestona.

[15] Trogo Pompeo, Epitome, XX, 1, 11: <<In Tuscis Tarquinia a Tessalis et Spina in Umbris (codd. Et Spinambris, IX sec.; et spinanbris,  XIV sec.; et inspinambris, X sec.; sed spinam ps, XI sec.)>>.

[16] Plinio, Storia naturale, XXX, 1, 4.

[17] Macrobio, Saturnalia, I, 7, 219.

[18] Dionigi di Alicarnasso, op. cit. , I, 17-24.

[19] Dionigi di Alicarnasso, op. cit. , I, 26.

[20] Stefano di Bisanzio, op. cit. , s.v. Kyrtonios.

[21] Polibio, Storie, III, 82.

[22] Stefano di Bisanzio, op. cit. , s.v. Croton.