LA DIASPORA ETRUSCA

CAPITOLO   I

LA RELIGIONE DEI MISTERI

                     

 1.                                        I Pelasgi e i Grandi Dei

 Erodoto sosteneva che gli abitanti di Atene erano un popolo autoctono di stirpe pelasgica, lentamente e faticosamente ellenizzatosi[1]; e che, a processo avvenuto, altri Pelasgi, dei quali non specificava la provenienza, andarono ad abitare ai piedi del monte Imetto[2], nei pressi della città.

 Aggiungeva che fra tutti i Greci, gli Ateniesi avevano per primi appreso da quei Pelasgi il nome del dio Ermes raffigurato con il membro virile eretto, e quello delle altre divinità della Religione Misterica.

 Spiegava Erodoto:

 

 <<Chi è iniziato ai Misteri dei Cabiri, che i Samotraci celebrano per averli appresi dai Pelasgi, sa quel che intendo dire. Infatti, quei Pelasgi che erano venuti a convivere con gli Ateniesi, andarono poi ad abitare a Samotracia; e da costoro i Samotraci appresero e conservano l'uso di quei Misteri[3]. In un primo tempo i Pelasgi, come io stesso so per averlo udito a Dodona, compivano tutti i sacrifici invocando gli dèi senza dar loro né un nome personale né un appellativo, perché non conoscevano nulla del genere [...]. Molto tempo dopo vennero a conoscenza dei nomi, venuti dall'Egitto, di tutti gli altri dèi, eccetto di quello di Dioniso che appresero molto più tardi [...]. Da allora, nei loro sacrifici, usarono il nome degli dèi; e da costoro li accolsero più tardi i Greci>>[4].

 

 Erodoto non faceva differenza fra i nomi degli dèi in generale e quelli delle particolari divinità che venivano invocate esclusivamente nei riti della Religione Misterica di Tebe e di Samotracia. In realtà i veri nomi di questi dèi rimasero ignoti alla maggioranza dei Greci. Questi dèi, tutti insieme, erano chiamati Cabiri o Grandi Dei, e venivano spesso assimilati o confusi con i Cureti e con i Coribanti; ma i loro singoli nomi rimasero per lo più ignoti.

 Attraverso una tradizione risalente almeno a Dionisodoro ed a Mnasea di Patara, sappiamo che nell'isola di Samotracia, durante la celebrazione dei Misteri, i Cabiri venivano invocati con i nomi di Axieros, Axiokersa, Axiokersos e Cadmilos[5].

 Axieros era la prima divinità dell'elenco, ma non la suprema. Cadmilos, l'ultimo dei quattro era il più elevato. Questi era un fanciullo o un ragazzo che, pur avendo la funzione di servitore dei Grandi Dei, era il più importante perché era figlio e amante della grande madre terra personificata poi a volte con  Cabira, a volte con Rea, e altre volte con Demetra[6].

 A Samotracia, secondo Diodoro Siculo (I sec.a.C.), dagli amori di Giove con Elettra, figlia di Atlante, erano nati Dardano, Iasio ed Armonia. Quando poi Armonia si sposò con Cadmo, tutti gli dèi convennero nell'isola per assistere alle nozze. In quella occasione

 

 <<Elettra regalò alla figlia i sacri riti della grande madre degli dèi, insieme ai cimbali, ai tamburi ed agli strumenti del relativo rituale [...]. Poi Cadmo, conforme all'oracolo ricevuto, fondò Tebe in Beozia>>[7].

 

 Secondo una differente tradizione, il matrimonio era avvenuto in Beozia. Armonia sarebbe stata figlia di Ares e di Afrodite, ed avrebbe ricevuto in dono dalla madre i sacri riti. Infatti, anche in Beozia si praticava il culto dei Grandi Dei.

 A Samotracia, comunque, in quella stessa occasione di nozze, la dea Demetra si innamorò di Iasio, e gli regalò il frutto del grano. Dalla loro unione nacque Pluto (= ricchezza). Poi Iasio sposò Cibele che gli generò Coribante. Questi diede il proprio nome a tutti coloro che, nella celebrazione dei Misteri di sua madre, agivano come uomini invasati dalla divinità. Infine, dopo che Iasio fu assunto fra gli dèi, Dardano, Cibele e Coribante portarono nella Troade i sacri riti di Samotracia[8].

 Secondo una differente versione, conosciuta già da Mnasea di Patera (III sec.a.C.), Dardano non era autoctono di Samotracia, ma vi era giunto da un luogo che Mnasea, stando al frammento che ce ne rimane, non precisa[9].

 Varrone e Dionigi di Alicarnasso, diranno che la nascita di Dardano e Iasio era avvenuta in Arcadia. Da qui, i due fratelli sarebbero emigrati a Samotracia dove avrebbero introdotto la religione misterica dei Cabiri o Grandi Dei. Iasio poi sarebbe stato fulminato da Giove per aver importunato Demetra, mentre Dardano sarebbe emigrato nella Troade dove avrebbe introdotto il culto dei Grandi Dei[10].

 Virgilio dirà, invece, che  Dardano e Iasio erano nati a Corito, in Etruria, da dove erano emigrati a Samotracia[11]. <<Hesperothen>>, cioè proveniente dall'Italia (Hesperia), veniva grecamente chiamato Dardano in una attribuzione  fattaci conoscere da Servio[12]. E già, prima di Virgilio, un gruppo di Etruschi, emigrato nelle vicinanze di Cartagine, dove già pare fosse esistita una colonia tarquiniese[13] aveva dedicato <<agli dèi Dardani>> i cippi di confine della loro colonia. La dedica era scritta in una grafia contenente alcune caratteristiche dell'alfabeto ceretano[14] molto diffuso nell'Etruria meridionale donde questi etruschi verosimilmente venivano (vedi cap. I, 2; VIII, 21)[15].

 

   

 2.            I nomi dei Grandi Dei presso i Greci, i Romani e gli Etruschi

 

 Secondo una tradizione, i Cabiri erano gli stessi Dardano e Iasio.

 A questo culto allude, forse, Virgilio quando  fa dire al re Latino che Dardano

 

 <<ora è accolto dall'aurea reggia del cielo stellato, e fa crescere con altari il numero degli dèi>>[16].

 

  I Greci chiamavano i Grandi Dei con altri nomi: Demetra, Persefone, Ade ed Ermes.

 I Romani li identificavano con Apollo e Nettuno o con Castore e Polluce o, più spesso, con Giunone, Minerva, Giove e Mercurio (= Ermes); e questi ultimi, a loro volta, con quelle divinità che Dardano aveva introdotto in Frigia da Samotracia, e che Enea, dopo la rovina di Troia, condurrà con sé in Italia.

 A Roma, si riteneva che Salio, un compagno di Enea, vi avesse portato da Samotracia l'istituto dei Salii che erano gli equivalenti latini dei sacerdoti della Religione dei Misteri. Ma, secondo altre versioni, i Salii erano stati introdotti a Roma dagli Etruschi di Veio o da Salia figlia del re etrusco Anio, eponimo del fiume Aniene[17].

 Dionigi di Alicarnasso sosteneva che

 

 <<gli oggetti sacri portati in Italia da Enea erano i simulacri dei Grandi Dei che tra i Greci erano particolarmente venerati dai Samotraci>>. Inoltre riferiva che presso i Romani erano chiamati Camilli quei ragazzi che aiutavano i sacerdoti in certi riti istituiti da Romolo, e che <<allo stesso modo venivano chiamati Cadmiloi quelli che presso gli Etruschi e prima ancora presso i Pelasgi celebravano i Misteri in onore dei Cureti e dei Grandi Dei>>.

 Egli riferiva pure un passo di Mirsilo di Lesbo dove si diceva che gli Etruschi praticavano il culto dei Cabiri[18].

 

 Forse, nella lingua etrusca, il nome di questi dèi fu presente in quello del mese di Cabreas (Aprile).

 Il greco Epeo, fondatore di Pisa in Etruria[19], era stato anche il costruttore del cavallo di Troia e della statua lignea di Ermes Perpheraios o Imbrasos a Troia[20]. Egli figurava pure, assieme ad Agamennone e a Taltibio, in un bassorilievo facente parte del simulacro di Ermes a Samotracia[21].

 Dal poeta greco Callimaco (320-240 a.C.) sappiamo che Ermes aveva caratteristiche tirreniche[22], e che presso gli Etruschi era chiamato Cadmilos come nei Misteri di Samotracia[23].

 Elio Donato diceva che

 

 <<gli Etruschi chiamavano Cerere, Pale e Fortuna con il nome di Penati>>[24].

              

  Arnobio, con maggiori dettagli e competenza, riferiva che, secondo Cesio, i Penati etruschi erano

 

<<Fortuna, Cerere, Genio Gioviale e Pale [...] servo e castaldo di Giove>>.

 

 In un passo successivo li rielenca così:

 

<<Cerere, Pale, Fortuna, Gioviale o Genio>>[25]

 

  Fra gli dèi Penati etruschi, questo Genio o Gioviale o Genio Gioviale era ritenuto padre di Tagete, il fanciullo divino, inventore dell'aruspicina, emerso dalle zolle della terra mentre Tarconte arava i campi di Tarquinia.

 Verrio Flacco, nella sua opera su Il significato delle parole, spiegava:

 

 <<Tagete, figlio di Genio, nepote di Giove>>[26].

       

 Gli Etruschi affidavano a Pale la stessa funzione di servitore o di ministro che, nella Religione dei Misteri, i Greci e gli stessi Etruschi assegnavano a Cadmilos-Ermes, e che i Romani davano a Mercurio.

 E' interessante confrontare queste concordanze con il fatto che Proclo il Diadoco e  Giovanni Lido facevano sapere che i Greci identificavano il loro Ermes ctonio con Tagete, il fanciullo divino figlio di Genio (uno dei  Penati etruschi), nato a Tarquinia dalla terra smossa dall'aratro di Tarconte[27].

 Elio Donato, cercando di individuare quali fossero secondo Virgilio i Penati che Enea condusse in Italia, diceva che

 

si trattava dei Grandi Dei, e sosteneva che questi erano Giove, Giunone e Minerva, e che Tarquinio Prisco, esperto nella religione mistica di Samotracia, ne riunì il culto in un solo tempio, e vi aggiunse Mercurio[28].

              

 L'appartenenza del nome e della figura di Cadmilos al sostrato linguistico e religioso comune alle popolazioni cosiddette preelleniche e tirreniche del bacino del Mediterraneo pare confermata da una significativa concordanza che si riscontra ancora a Tarquinia. In uno specchio etrusco di questa città il troiano Ganimede, la cui funzione di coppiere divino è analoga a quella del greco-etrusco Cadmilos, è chiamato Catmite, nome che, come ha già notato Emilia Secci, richiama quello dello stesso Cadmilos[29].

 Anche il nome della dea etrusca Acaviser richiama quello di Axieros, con il quale veniva invocata la dea Demetra nei Misteri di Samotracia[30].

 Occorrerebbe uno studio specifico e più approfondito per determinare fino a che punto Tagete, Ermes, Mercurio, Ganimede, Cadmilos e Pale si rapportino fra loro. Ma, ai nostri fini, è sufficiente evidenziare, al momento, che i Greci, con la duplice identificazione del loro Cadmilos-Ermes con l'etrusco Cadmilos, e di Ermes ctonio con il dio tarquiniese Tagete figlio di Genio (uno dei  Penati etruschi) ponevano un ponte fra i Grandi Dei della Religione Misterica, praticata nel bacino orientale del Mediterraneo, e le divinità etrusche.

 Nella Tabula Iliaca Capitolina (I sec.), le cui figurazioni si ispiravano a Stesicoro (VI sec.a.C.), Enea fuggente da Troia porta con sé il cesto contenente le statuette dei Penati, ed è accompagnato da Ermes.

 Nel II sec. a. C., il poeta romano Ennio diceva che la nave con la quale Enea aveva lasciato Troia, era stata costruita dallo stesso dio Mercurio, cioè da Ermes[31].

 Platone (428-340 a.C.), poi, che era ateniese, sosteneva che

 

chiunque si fosse accinto a porre le basi di uno Stato avrebbe dovuto attenersi ai responsi degli oracoli di Delfo, di Dodona e di Ammona i quali prescrivevano quei sacrifici e quei riti che si dicevano importati dall'Etruria o da Cipro[32].

 

 

 3.                                 Gli Etruschi e il nome di Ermes                       

                                             

 Il nome greco Ermes potrebbe  essere  in rapporto:    

 a) con quello del dio Hermu  menzionato solo sul rotolo del sarcofago di Lar Pulena a Tarquinia[33];

 b) con il nome Hermius dato dagli Etruschi al mese di Agosto;

 c) con le forme etrusche Herme, Hermenas, Hermenei e i gentilizi ceretani Hermunia ed Herminia;

 d) con il gentilizio etrusco-latino portato da Titus Herminius che fu  console a Roma nel 506 a.c., e da Lar Herminius Coritinesanus (!), personaggi di origine etrusca, la cui famiglia era emigrata a Roma probabilmente al tempo della monarchia dei Tarquini.

 

          

 4.                                             I Misteri di Andania

 

 La città di Andania, nella Messenia, fu sede di Misteri che avevano molta affinità con quelli di Eleusi, Tebe, Lemno, Samotracia e, in genere, con quelli che celebravano il culto delle Grandi Dee e dei Cabiri.

 Le divinità venerate erano Demetra, Core (con l'epiteto di Hagna), i Grandi Dei o Cabiri, ed Apollo Corniolo. I Misteri si celebravano in un bosco di cipressi detto Carnasio (gr. Karnasios alsos) perché  sacro ad Apollo Corniolo (Karneios).

 Si diceva che i Greci avessero costruito il cavallo di Troia con il legno di un bosco di cornioli sacri ad Apollo sul monte Ida; ma che, sapendo che il dio si sarebbe sdegnato, cercarono di placarlo con sacrifici, e lo chiamarono Apollo Corniolo[34].

 E' strano che il bosco  dove si celebravano i Misteri di Andania era un bosco di cipressi, ma si chiamava Carnasio come se fosse un bosco di cornioli. Anche un bosco di cipressi vicino Corinto si chiamava Kraneion (= bosco di cornioli).

 E' probabile che in origine il luogo dove si celebravano i Misteri fosse stato un bosco di Cornioli (gr. Kraneion; lat. Cornetum), e che il nome fosse rimasto ad indicare ogni bosco dove si compiva il rito[35].

 Nei Misteri di Andania, a Demetra veniva sacrificata una scrofa, ai Cabiri un giovane porco, ad Ermes (Cadmilos) un ariete, alla santa Persefone o Core, figlia di Demetra, una pecora, e ad Apollo Corniolo un cinghiale[36].

Secondo Pausania, questi Misteri sarebbero stati restaurati in Andania da Methapos, quello stesso che aveva introdotto a Tebe, nella Beozia, il culto dei Cabiri[37], per cui i due riti dovevano essere molto affini. Si noti la strana analogia fra il nome di questo Methapos e quello del virgiliano re etrusco Metabus  la cui moglie e la cui figlia si chiamavano rispettivamente Casmilla e Camilla come i ministri dei Grandi Dei (vedi cap. XIII, 7 e 8).

 In altre versioni, la religione misterica sarebbe stata introdotta a Tebe da Armonia, sorella di Darnano, che la aveva ricevuta in dono dalla madre Elettra, nell'isola di Samotracia, in occasione delle nozze con Cadmo.[38] Altri dicevano che il matrimonio era avvenuto in Beozia. Armonia sarebbe stata figlia di Ares e di Afrodite, e da questa avrebbe ricevuto in dono i sacri riti.

 

               

                         

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[1] Erodoto, Storie, I, 56; 57.

[2] Erodoto, op. cit., VI, 137.

[3] Erodoto, op. cit., II, 51. Diversamente da noi, alcuni traducono questo passo  nel senso che i Pelasgi prima abitarono nell'isola di Samotracia, e poi andarono ad Atene. In questo caso Erodoto non avrebbe taciuto la provenienza dei Pelasgi. Per l’interpretazione del testo, noi ci siamo rifatti soprattutto alla analisi di Jean Bérard (La Magna Grecia, Torino, Einaudi, 1955, pagg.237-44) ed a quella di Dominique Briquell (Les Pelasges en Italie, Roma, 1984, pag.289). Abbiamo seguito la loro linea perché, come si vedrà nel proseguo del lavoro, tutti gli altri autori che esamineremo considereranno Atene il punto di partenza delle ulteriori migrazioni pelasgiche nelle isole Egee; ma, ai nostri fini, non è determinante che i Pelasgi abbiano stanziato prima ad Atene o prima a Samotracia (vedi cap. VIII, n. 10).

[4] Erodoto, op. cit., II, 52.

[5] Scolio ad Apollonio Rodio, Argonautiche, I, 917; F.H.I, III, pag.154, 27.

[6] F.W.J.Schelling, Le divinità di Samotracia, Milano, Mimesis,   1990; R. Pettazzoni, Le origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio, << Mem. dei Lincei>>, 1909; G. L. Messina, Dizionario di mitologia classica, s.v. Cabiri, Dardano, Iasio; K. Kerènyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Garzanti, 1986, I, pagg. 83 e 84; Pierre Grimall, Enciclopedia della Mitologia, s.v. Cabiri, Dardano, Iasio.

[7] Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, V, 47-49.

[8] Ibidem.

[9] Stefano Bizantino, De urbibus, s.v. Dardania.

[10] Servio Danielino., All'Eneide, III,167; Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane, I, 61; 68.

[11] Virgilio, Eneide, III, 167, segg.; VII,205 e segg.; 240 e segg..

[12] Servio, All'Eneide, III, 501.

[13] Colozier, Les Etrusques et Carthage, <<Melanges d'Archeologie et d'Histoire>>, 1953, tomo LXV.

[14] M.Cristofani, <<Studi Etruschi>>, XXXVIII, p. 332.

[15] O. Carruba, Nuova lettura dell'iscrizione etrusca dei cippi di Tunisia, <<Athenaeum>>, LIV, 1976, pagg.163-173; G. e L. Bonfante, Lingua e Cultura degli Etruschi, Roma, Editori Riuniti, 1985, pagg.171-172. Contra, J. Heurgon, <<CRAI>>, 1969, pagg.526-551.

[16] Virgilio, op. cit., VII, 210-211.

[17] Plutarco, Numa, XIII; Festo, s.v. Salio; Servio Danielino, All'Eneide, VIII, 285; Virgilio, op. cit., V, 298 e segg.; Pseudo Plutarco, Vite parallele, 40; F.H.G. (Muller), III, pag. 230.

[18] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 23; 69;II,22.

[19] Servio Danielino, op. cit., X,179.

[20] Callimaco, Giambi, VII; Dieg., VII, 32 - 34; VIII, 1-20.

[21] J. Bousquet, Callimaque, Herodote et le trone de l'Hermes de Samothrace, in Melanges Picard, Parigi, 1949, pag.119,n.1.

[22] Callimaco, Diegesis., VIII, 33-40.

[23] Varrone, De lingua latina, VII, 34; Servio Danielino, op. cit., XI, 543: <<Statius Tullianus de vocabulis rerum libro primo ait dixisse Callimachum apud Tuscos Camillum appellari Mercurium, quo vocabulo significant deorum praeministrum, unde Vergilius bene ait Metabum Camillam appellasse filiam, scilicet Dianae ministram: nam et Pacuvius in Medea loqueretur "caelitum camilla exspectata advenis, salve hospita". Romani quoque pueros et puellas nobiles et investes camillos et camillas appellabant, flaminicarum et flaminum praeministros>>; Macrobio, Saturnali, III, 8, 6.

[24] Servio Danielino, op cit., II, 325: <<Tuschi Penates Cererem et Palem et Fortunam dicunt>>.

[25] Arnobio, Adversus nationes, III, 40; 43.

[26] In  Festo, s.v. Tages.

[27] Giovanni Lido, De ostentis, 2-3.

[28] Servio Danielino, op. cit., II, 296: <<Eos autem esse Iovem, aetherem medium, Iunionem imum aerea cum terra, summum aetheris cacumen, Minervam, quos Tarquinius, Demarati Corinthii filius, Samothraciis mysticae imbutus, uno templo et sub eodem tecto coniunxit, et addidit Mercurium>>. Macrobio ripeteva la notizia ignorando Mercurio (Saturnali, III, 4).

[29] E. Secci, Tradizioni culturali tirreniche e pelasgiche nei frammenti di Callimaco, <<Studi e materiali di storia delle religioni>>, XXX, (1), 1959, pag.94.

[30] E. Benviste, Nom et origine de la déesse etrusque Acaviser, <<Studi Etruschi>>, III, 1929, pagg. 249-258.

[31] Servio Danielino, op. cit., II, 70.

[32] Platone, Leggi, 138 C.

[33] Giacomo Devoto considera Hermu <<come divinità gentilizia onorata a Tarquinia soltanto o come equivalente locale di una divinità maggiore conosciuta nel resto dell'Etruria sotto altro nome>> (Studi minori, Firenze, Le Monnier, 1967, pag.191 e segg.).  

 Come è scritto sul rotolo, Lar Pulena fu lucumone a Tarquinia ed esercitò parecchie attività religiose connesse con il culto di Catha, Pacha (Bacco), Culsu e, soprattutto, con Hermu.

[34] Pausania, La Grecia: Laconia, XIII, 4.

[35] Che sia questa l'origine del nome della località di Cornetum (bosco di cornioli) presso l'antica Tarquinia? Pare che processioni misteriche siano documentate in alcune pitture della necropoli della città. Vedi cap. VI, nota n. 34.

[36] N. Turchi, Le religioni dei Misteri nel mondo antico, Genova, Dioscuri c/o Basilisco, 1987, pagg. 90-95.

[37] Pausania, La Grecia, IV, 1, 7-9; 26, 7; 33, 4-6.

[38] Diodoro Siculo, Biblioteca storica, V, 49.