LA DIASPORA ETRUSCA
CAPITOLO VII
LA TRADIZIONE ATENIESE
1.
Gli
Attidografi
Nell'undicesimo
capitolo, abbiamo visto che, secondo quanto riferiva Erodoto, gli Ateniesi
raccontavano che quei Pelasgi che erano emigrati nella loro città furono
scacciati perché importunavano le donne del luogo. Lo storico però non
riportava da dove, secondo gli Ateniesi, erano venuti questi Pelasgi, né dove
avevano appreso il culto di Ermes itifallico.
Egli
citava anche la versione di Ecateo, secondo la quale i Pelasgi furono espulsi
<<ingiustamente>> dagli Ateniesi invidiosi delle capacità che
costoro avevano dimostrato nella coltivazione della terra loro assegnata alle
falde dell'Imetto; ma nemmeno in quell'occasione menzionava la provenienza.
La
tradizione ateniese fu raccolta e sviluppata dai cosiddetti Attidografi.
Strabone
diceva che
<<gli
autori delle Storie dell'Attica narravano che
vi furono dei Pelasgi che abitarono
ad Atene; e che, poiché questi erano andati vagabondando e, alla maniera degli
uccelli, avevano fatto sosta or qua or là dove capitava, gli abitanti
dell'Attica li chiamarono Pelargi che vuol dire cicogne>>[1].
Il
geografo greco riferiva pure che ancora ai suoi tempi si raccontava che il re
pelasgio Maleo, dopo aver regnato a Regisvilla,
sulla costa meridionale dell'Etruria, emigrò ad Atene.
Quest'ultima
notizia dovrebbe, dunque, aver avuto riscontro nelle storie ateniesi degli
Attidografi.
Il
più antico attidografo non è, tuttavia, un Ateniese, ma Ellanico di Lesbo (V
sec. a C.). Della sua opera restano solo frammenti.
In
quello tramandatoci da Dionigi di Alicarnasso si dice che gli Etruschi erano
Pelasgi emigrati dalla Tessaglia in Italia dove avevano assunto il nome di
Tirreni. In un altro, tramandatoci da Stefano Bizantino, si dice che egli narrò
che il tirreno Metaon aveva fondato Metimna,
sua città natale, nell'isola di Lesbo (vedi cap. XII,1).
Il
tirreno Metaon, fondatore di Metimna,
nell'isola di Lesbo patria di Ellanico, dinanzi alle coste dell'Asia Minore era,
dunque, un etrusco.
Siamo
di fronte alla più antica menzione a noi conosciuta di una migrazione etrusca
dall'Italia verso oriente; ed è verosimile che l'attidografo Ellanico abbia
attinto questa particolare notizia non tanto o non solo a Lesbo dove egli era
nato, ma ad Atene, città della quale egli scrisse la storia.
Fra
la metà del IV e la fine del III sec. a.C. si ebbe la massima fioritura degli
Attidografi con Androzione e Filocoro che ne furono i maggiori esponenti, e con
Clidemo, Demone, Fanodemo, Istro ed altri. Della loro produzione non restano,
purtroppo, che pochi frammenti.
2.
Le tappe della migrazione tirrena
dall'Etruria ad Atene
Strabone
non dice dove abbia fatto sosta Maleo prima di stabilirsi ad Atene;
ma, in una diversa occasione, egli ci fa sapere che Eforo (III sec. a.C.) diceva
che
i
Pelasgi avevano invaso la Macedonia scacciandone i Fenici, e che a loro volta
erano stati scacciati dai Mini e dagli Orcomeni che li avevano sospinti verso
Atene[2].
Si
tenga presente che si diceva che i tirreni Aiane ed Elimo avevano fondato le
città di Aiane e di Elimia in Macedonia (vedi cap. XIII, 6).
Pausania,
poi, riferiva che ad Atene si narrava che i Pelasgi della città erano stati un
popolo di stirpe sicula sbarcato dall'occidente in Acarnania (vedi cap. XIII,
5).
Vedi
pure i frammenti di una possibile tradizione di migrazioni di popoli siculi
dall'Italia centrale a quella meridionale, nel Metaponto, e da qui in Beozia
(cap. XIII, 7 e 8).
A
grandi linee e con molta cautela le tappe della leggendaria migrazione
tirreno-pelasgica dall'Etruria ad Atene, possono essere così ricostruite:
Regisvilla
> Sicilia (Elimi)? / Acarnania > Macedonia > Beozia > Atene.
3.
Il
nome dei Pelargi
Noi
sappiamo da Erodoto che, prima di lui, gli Ateniesi contrapponevano ad Ecateo la
loro peculiare versione sulla cacciata dei Pelasgi immigrati nella città (vedi
cap. XI, 1).
Non
si può escludere che l'identicità dei Pelasgi di Atene con i Tirreni
provenienti dall'Etruria sia anteriore ad Erodoto, ed abbia fatto parte
integrante della tradizione Ateniese fin dall'origine della sua formazione.
Già
Sofocle (497-406 a. C.), che era di tredici anni più vecchio di Erodoto
(484-425 a.C) considerava tirreni i Pelasgi dell'Argolide. Egli, a detta di
Dionigi di Alicarnasso, li chiamava Tirreni in rapporto alla loro provenienza
dall'Etruria (vedi cap. XI, 2).
Ellanico
di Lesbo (? - dopo 406 a. C.), che era di pochi anni più giovane dell'uno e
dell'altro, ma che, in quanto attidografo, si rifaceva alla tradizione ateniese
alla quale anche Erodoto aveva attinto, diceva che
i Pelasgi, profughi dalla Tessaglia, avevano assunto in Italia il nome di Tirreni (= Etruschi) e sotto questa denominazione erano tornati verso oriente (vedi cap. XII,1).
Tucidide
(460-396 a.C.), poi, che per sua esplicita ammissione aveva letto Ellanico[3],
disse che
i
Pelasgi che avevano convissuto con gli Ateniesi erano Tirreni (cioè
Etruschi).
Nella sua opera, egli usa il termine Tirreni sempre con riferimento agli Etruschi; e non a torto Dionigi di Alicarnasso sosteneva che
Tucidide faceva un esplicito riferimento alla provenienza etrusca dei Tirreni di Atene, di Lemno e della Tracia (vedi cap. XI, 2).
Mirsilo
di Lesbo (III sec.a.C.) affermava che i Tirreni provenienti dall'Etruria
<<assunsero nel corso dei loro spostamenti senza meta fissa il nome di Pelargi a somiglianza degli uccelli chiamati pelargi (cioè cicogne) perché come questi migrano a stormi per la Grecia e le regioni barbariche; essi innalzarono anche il muro si cinta che circonda l'acropoli di Atene, cioè il cosiddetto muro Pelargico>> ( vedi cap. XIII, 2).
Strabone,
poi, ripeteva che i Pelasgi emigrati dall'Etruria avevano assunto il nome di
Pelargi che vuol dire cicogne; e attribuiva la notizia agli autori delle storie
di Atene (vedi parr. 1 e 2).
Quindi,
Pelargi (cicogne) era l'appellativo con il quale gli Attidografi
caratterizzavano coloro che dall'Etruria erano emigrati ad Atene. Possiamo
allora ipotizzare che ogni altro autore che utilizzò quella denominazione lo
fece in riferimento alla significazione attribuitale dagli Attidografi.
Il
primo caso, a noi noto, è proprio un passo delle Storie
dove Erodoto (484-425 a.C.) racconta che,
durante la tirannia dei Pisistratidi ad Atene, gli Spartani e quegli Ateniesi
che volevano riacquistare la libertà,
<<cinsero
d'assedio i tiranni che s'erano rinchiusi dentro la cinta del Pelargicon>>[4].
Tucidide
(460-396 a. C.), poi, confermava l'esistenza del muro chiamato Pelargicon.
Che
tale sia stato il nome effettivo della muraglia al tempo di Tucidide è
documentato da un'epigrafe del 422 a.C. che riportava un pubblico decreto il
quale provvedeva a delimitare la zona con cippi di confine e a proibire che vi
fossero eretti altari senza autorizzazione, e che si asportassero le pietre
della muraglia. Secondo quanto riferiva lo stesso Tucidide, il luogo era colpito
da una maledizione, ribadita dall'oracolo di Delfo, che proibiva di abitarvi. La credenza ebbe fine quando, durante la guerra del
Peloponneso, molti cittadini dovettero andare ad abitare entro il recinto senza
che succedesse niente di male, anzi traendone beneficio[5].
Aristofane
(450-485 a.C.) nomina il muro Pelargicon,
con palese riferimento alle cicogne, al verso 832 della commedia Gli
uccelli, presentata ai concittadini Ateniesi nel 414 a.C.(vedi cap. XIII,
4).
In
un frammento dell'attidografo Clidemo (IV sec.a.C.) si legge:
<<[.?.]
e livellarono l'Acropoli e circondarono il Pelargicon con un muro a nove
porte>>[6].
Nei
documenti posteriori, il nome di Pelargoi
verrà usato come l'appellativo acquisito da quei Tirreni che erano giunti ad
Atene erranti come cicogne; e l'aggettivo Pelargicon
apparirà come il nome del muro da loro costruito. Pelasgoi
e Pelasgicon saranno usati anche come
sinonimi rispettivamente di Pelargoi e
di Pelargicon; mentre le popolazioni
preelleniche della Grecia verranno chiamate solo Pelasgoi.
Dunque,
la forme Pelargoi e Pelargon
vennero usate solo per indicare rispettivamente i Tirreni (Etruschi) di Atene ed
il muro da loro costruito nella città. E, poiché la forma Pelargicon
appare per la prima volta proprio in alcuni codici di Erodoto, si dovrebbe, a
rigore, supporre, anche se Erodoto non lo dice, che la tradizione Ateniese, alla
quale egli attingeva, intendeva che i Pelasgi di Atene provenivano dall'Etruria.
Il
silenzio di Erodoto aveva una ragione.
L'identicità
di Tirreni e Pelasgi, sia d'Italia che della Grecia, nelle varie accezioni delle
diverse tradizioni, appare legata al riconoscimento (da parte dei Greci) della
unità di stirpe degli Etruschi, che essi chiamavano Tirreni, e delle
popolazioni preelleniche della Grecia, che essi chiamavano Pelasgi. Ellanico di
Lesbo, poco più giovane di Erodoto, ce ne offre l'esempio più antico.
Per
Erodoto, invece, i Tirreni d'Italia non erano di origine pelasgica. Egli era
nato ad Alicarnasso, in Asia, e seguiva la tradizione lidia secondo la quale i
Tirreni (Etruschi) erano un popolo asiatico venuto in Italia sotto la guida di
Tirreno, figlio di Ati del re della Lidia[7].
E’
ovvio che lo storico, non contemplando la migrazione dei Pelasgi dalla Grecia in
Etruria, non contemplava nemmeno la loro migrazione di ritorno in Grecia. Così,
egli, pur riconoscendo che i Pelasgi di Atene erano immigrati, ne lasciò
inespressa la provenienza.
4.
Il
motivo delle cicogne
Il
motivo delle cicogne ricorre soprattutto
a)
nella commedia Gli uccelli che
l'ateniese Aristofane (450-385 a.C.) presentò ai suoi concittadini nel 414 a.
C. (vedi cap. XIII, 4);
b)
negli scolii a Gli uccelli di
Aristofane (vedi cap. XIII, 4);
c)
nella Costituzione di Atene di Aristotele (384-322 a.C.);
d)
negli attidografi Clidemo (vedi par. 3) e Filocoro (vedi cap. XII, 5)
rispettivamente nel quarto e nel terzo secolo avanti Cristo.
5.
Strabone, Virgilio, Dionigi di
Alicarnasso e Pausania
Secondo
Strabone, il re Maleo era emigrato dall'Etruria ad Atene
dopo aver regnato sui Pelasgi di origine tessala stanziati in Etruria fra
Regisvilla e Cere.
Noi sappiamo che Maleo venne ritenuto a volte un pelasgio, a volte un
lidio, a volte un tirreno, a volte un re degli Argivi, altre
un re degli Etruschi.
Strabone,
il quale scriveva qualche decennio dopo la pubblicazione dell'Eneide
di Virgilio e de Le antichità romane
di Dionigi di Alicarnasso, presentò Maleo in veste pelasgica ed utilizzò tale
veste per avvalorare, con Dionigi e
contro Virgilio, la tesi che i mitici navigatori che erano emigrati dall'Italia
verso oriente erano Pelasgi di origine tessala, ed erano diversi dagli Etruschi
con i quali avevano solo
convissuto. Questo è pure il fine con cui egli riporta la leggenda di quei
Pelasgi che, per fuggire le angherie degli Etruschi, tornarono da Ravenna in
Tessaglia (vedi cap. XV, 1).
L'autentica
italicità dei Pelasgi della tradizione ateniese è rivendicata, invece, dalla
versione, raccolta personalmente in Atene da Pausania, secondo la quale, come
abbiamo visto in precedenza (cap. XIII, 5), i costruttori del muro della città
erano stati Pelasgi di origine sicula, emigrati in Acarnania.
Sia
che si voglia ritenere che i Siculi dell'Acarnania provenissero direttamente
dalla costa tirrena dell'Italia centrale della quale erano autoctoni, sia che si
voglia intendere che la migrazione avesse avuto la Sicilia (gli Elimi ?) come
sede intermedia, la loro origine italica è certa. Opportunamente, Jean Bérard
mette in relazione i Siculi di Pausania con gli Etruschi di Mirsilo di Lesbo, e
con quei "Pelasgi" che, nella leggenda riferita da Strabone, erano
partiti da Regisvilla, sotto il comando del re Maleo per andare a stanziarsi in
Atene[8].
***
Dal
nostro punto si vista, prende valore l'ipotesi di Emilio Gabba, secondo cui
Mirsilo di Lesbo fu uno di quegli autori che in antico, a detta di Dionigi di
Alicarnasso sostenne l'autoctonia degli Etruschi[9].
.
[1] Strabone, Geografia,
V, 2,4.
[2] Strabone, op.
cit. , IX, 2,2.
[3] Tucidide, la
guerra del Peloponneso, I, 97,2.
[4] Erodoto, Le
storie, V, 64. Pelasgicon, secondo la maggioranza dei codici.
[5] Tucidide, op.
cit. , II, 17.
[6] Kleidemos in F.H.G.
, I, pag. 363, fr. 22.
[7] Erodoto, op.
cit. , I, 94.
[8] J. Berard, La
Magna Grecia, Torino, Einaudi, 1965, pagg. 450-451.
[9] Emilio Gabba, Mirsilo
di Metimna, Dionigi e i Tirreni, i <<Rend. Linc.>>, XXX,
1975, pag. 35 sgg.; contra D. Musti, in Gli Etruschi e Roma, Roma, 1081,
pag. 33 sgg. .