LETTERATURA
ITALIANA: ANALISI DEL NOVECENTO
ERMETISMO
Ad osservare sinteticamente lo sviluppo delle poetiche (e dell'arte) dal
romanticismo alle avanguardie storiche si deve constatare che un
processo si è compiuto: il processo di sperimentazione di nuove forme
espressive, di dissoluzione del linguaggio di tutta la precedente
tradizione (compresa in parte quella romantica) a partire dal rifiuto
delle forme chiuse e regolari fino addirittura al rifiuto del linguaggio
comunicante. Più radicalmente, se si vuole, si può dire che si è
compiuto il processo di autodissoluzione dell'arte, così come da sempre
era stata concepita. Eventi questi innescati dal rifiuto delle teorie
classiche dell'arte e dall'imporsi del canone dell'originalità come
criterio di valore estetico (tanto che i risultati più radicalmente
eversivi possono apparire un esito inevitabile, già tutto scritto nei
cardini concettuali della poetica romantica), ma certo portati al loro
apice proprio dalle avanguardie storiche convinte della necessità e
dell'inevitabilità di una «rivoluzione permanente delle forme»
(Calvino). Comunque sia, è un fatto che una linea di sviluppo della
ricerca artistica moderna, forse la linea portante, ha toccato sul piano
formale limiti (con l'assurdo e il nonsense dei dadaisti, con la
scrittura automatica dei surrealisti) difficilmente superabili. Dopo le
avanguardie storiche - c'è da domandarsi - quale forma espressiva può
dirsi in assoluto innovativa e originale? E’ davvero plausibile una «rivoluzione
permanente delle forme»? 0 viceversa, sperimentata la dissoluzione
dell'arte tradizionale e raggiunti i limiti dei silenzio, non c'è che
da guardarsi indietro e recuperare forme, modi, esperienze di quei
movimenti che hanno innescato il processo e hanno portato lo
sperimentalismo ai suoi estremi limiti formali? Dopo le avanguardie ci
possono essere altre autentiche avanguardie o solo un'accademia delle
avanguardie? Sarebbe probabilmente azzardato affermare assolutamente
che, dopo le avanguardie, tutto è stato ed è mera ripresa di forme
artistiche e poetiche ormai esperite in tutte le loro virtualità. Ma è
anche un fatto che più fitta e frequente si fa la ripresa di modelli
precedenti (in pratica di tutti i modelli formali che hanno segnato la
storia dal romanticismo alle avanguardie) magari combinati fra loro. Ne
sarebbe una conferma, esteriore ma significativa, la stessa frequenza
dei prefissi "neo" utilizzati per designare alcuni movimenti
tra i più significativi storicamente degli ultimi decenni (dal
neorealismo alla neoavanguardia). L'originalità dei nuovi movimenti e
delle nuove poetiche andrà allora ricercata essenzialmente nelle
diverse sintesi di elementi formali già sperimentati, nella ricerca di
nuove tematiche e nel rapporto, variabile per definizione, con i
contesti e con le situazioni particolari in cui tali fenomeni si
manifestano (cioè nel loro significato storico-culturale specifico).
L'originalità delle sintesi, poi, andrà probabilmente ricercata, più
ancora che nei grandi movimenti, soprattutto nelle soluzioni individuali
che obbediscono a ragioni personali particolari oltre che
storicoculturali. In parte questa è l'impressione che dà lo sviluppo
delle poetiche novecentesche in Italia, che traggono motivi ispiratori e
linfa vitale (sul piano teorico) via via dal decadentismo-simbolismo e
dalle sue propaggini novecentesche straniere, dalle avanguardie storiche
e addirittura dal naturalismo-verismo (fenomeno per certi versi estraneo
alla linea portante di sviluppo che si è delineata). Ma in verità, a
parte forse poche eccezioni, anche il panorama europeo non presenta
tratti assai diversi. Non è qui certo il caso di prendere in esame
tutte le poetiche novecentesche italiane, soprattutto non è possibile
considerare le poetiche ìndividuali (spesso in sviluppo diacronico),
nelle cui sintesi originali stanno probabilmente alcuni dei vertici
della letteratura novecentesca italiana (pensiamo a Ungaretti a Montale
a Saba e, più recentemente, a Luzi a Pavese a Calvino o a Zanzotto).
Delle poetiche di alcuni scrittori, come di alcuni movimenti diamo conto
in altre parti di questo volume. Intanto, però, si dovrà rendere
ragione di alcune nozioni storiografiche, di alcuni movimenti dominanti
o caratteristici di un'epoca e di alcune poetiche pìù estensive e
generali che hanno avuto un particolare rilievo nella storia letteraria
italiana dei Novecento, a partire - per l'età fra le due guerre
dall'ermetismo. Quella di ermetismo, ancora una volta, è una nozione
discussa. In discussione è in particolare l'estensione dei fenomeno da
qualificare come ermetico. Senza entrare nel merito della storia dei
termine (la cui origine remota risale a Ermete Trismegisto e a una
dottrina filosofico-religiosa di tipo esoterico fiorita nella tarda età
elienistica che appunto da lui prese nome di ermetismo"),
osserveremo che tutt'oggi, in ambito letterario italiano, se ne danno
due accezioni differenti: una più estensiva che, a partire da un
celebre saggio dei Flora dei 1936, associa al termine in pratica
l'intero sviluppo della lirica (con estensione alla critica e alla prosa
d'arte, pìù che alla narrativa) italiana da Ungaretti e Montale sino a
un gruppo di scrittori fiorentini legati alle riviste «Frontespizio» e
«Campo di Marte» (Bo, Bigongiari, Contini, Gatto, Luzi, Macri,
Parronchi, Traverso, ecc.); e una più riduttiva, oggi prevalente, che
pur evidenziando i rapporti tra quei maestri e il gruppo fiorentino
ritiene di dover associare il termine solo a quest'ultimo ed
eventualmente a suoi vicini milanesi (legati alla rivista «Corrente» e
facenti capo a Sereni). Si tratta anche in questo caso in certa misura
di problemi di periodizzazione e di classificazione che, una volta posti
per dovere di informazione, possiamo trascurare di analizzare. Basti per
ora rilevare che un legame di relativa (comunque non esclusiva)
filiazione tra l'esperienza dì Ungaretti e Montale e quella della
scuola fiorentina non si può negare, ma che d'altronde tra quei
"padri" e quei figli" (peraltro non identici) palesi sono
anche le diversità sia ideologiche che formali. Consideriamo il
contesto: tra le due guerre, dopo le esperienze delle avanguardie in
tutta Europa si assiste ad un processo di ora brusco ora progressivo
"ritorno all'ordine". Dopo gli esiti estremi delle avanguardie
si sento la necessità dì guardare indietro e di riconnettersi più
direttamente anche alle esperienze decadenti e simboliste europee (solo
parzialmente penetrate nella cultura italiana all'epoca di Pascoli e
D'Annunzio), molte delle cui ragioni ideali, culturali e letterarie non
si sono ancora esaurite. In Italia l'ottimismo e la ludicità futuristi
non potevano da soli - specie dopo la grande guerra - aver fatto piazza
pulita di tutti gli elementi di crisi morale, spirituale, culturale e
magari politica vissuti dalle generazioni precedenti. Anzi la guerra li
aveva rinnovati e resi per molti versi più acuti e gravi. La realtà
dei dopoguerra proponeva poi ulteriori spinte in direzione di un "
ritorno all'ordine" e ulteriori motivi di crisi, di inquietudine,
di dubbio, che non si esauriscono nell'avvento dei fascismo, ma che
certo lo comprendono. Pur senza enfatizzare il rapporto degli
intellettuali coi fascismo quale genesi della nuova poesia e
letteratura, bisogna qui render conto di un'interpretazione vulgata, che
non per questo ha dei tutto perso la sua ragion d'essere. Rapporti
complessi coi fascismo caratterizzano l'esperienza, di tutti i poeti e
gli scrittori che operano tra le due guerre, non rinunciando alla
letteratura per la lotta politica e non facendosi palesemente
fiancheggiatori dei regime e portavoce della sua politica culturale. Non
potendo apertamente contestare il regime, molti scrittori paiono
rifugiarsi nella letteratura come un campo di esperienza alternativo a
quello della cultura di regime (le velate, simboliche contestazioni, le
professioni di fede negativo, le affermazioni di sfiducia, di
inettitudine a vivere e di impotenza, le descrizioni e le
rappresentazioni di amare vicende esistenziali, qualunque fosse la loro
genesi individuale, qualunque altra connotazione culturale avessero,
almeno oggettivamente (cioè anche al di là delle intenzioni)
costituivano un contraltare alla fiducia, all'ottimismo programmatico,
al trionfalismo degli intellettuali e dei mass media fascisti. La
poesia, proprio a partire dall'oggettiva denuncia della guerra
dell'Allegria ungarettiana (dì quell'Ungaretti che pure ne avrebbe dedicato
a Mussolini una successiva edizione) e dalle negazioni montaliane («Non
chiederci la parola. ..»), imbocca nella sua linea più vitale una
direzione che potremmo genericamente definire di "negazione" e
di ricerca esistenziale, etica e metafisica. Il ricorso al linguaggio
oscuro e difficile di derivazione decadente e simbolista, caratteristico
soprattutto del gruppo fiorentino, come pure alcune tematiche negative
come quella dell'assenza e dell'attesa (attesa, ad esempio, di una
palingesi che non si compie o di una ricerca che non conosce mete
definitive ma se ne dà sempre di nuove) vengono tradizionalmente
interpretati come (e in una certa misura sono) un dolente rifiuto dei
fascismo. Tale rifiuto si realizza attraverso una "chiusura"
autointrospettiva, nella ricerca di un'alternativa esistenziale o
spirituale alla realtà esterna difficile e ostile, una ricerca ora
confidente ora disperata di realizzazione nell'interiorità della
coscienza o negli spazi metafisici, talora nell'esperienza religiosa in
senso proprio. Il medesimo legame con la cultura decadente e simbolista
e ragioni più particolari mettono in guardia però - come si è detto
dal risolvere solo in chiave di rifiuto politico la complessa esperienza
esistenziale e poetica di intellettuali e poeti come Montale e come gli
ermetici fiorentini. Sul terreno per un verso c'è un più complesso e
articolato rapporto con la civiltà e il mondo moderni (già dei
romanticismo e dei decadentismo sono il rifiuto dei presente, dei mondo
e della civiltà moderna e borghese e il volgersi ad una ricerca
puramente interiore) e per altro verso ci sono - come sempre - storie e
vicende umane e culturali particolari, ragioni di inquietudine,
aspirazioni e tensioni individuali. Da un punto di vista più tecnico
tutta questa produzione letteraria variamente ma profondamente affonda
le proprie radici nelle poetiche precedenti (soprattutto, come si
diceva, dei simbolismo europeo: da Verlaine a Mallarmé, da Valéry a
Eliot). La ricerca condotta negli spazi interiori o, al di là del reale
empirico, in spazi metafisici trova un supporto nella poetica della
“poesia pura” che teorizza l'autonomia della poesia (e dell'arte) -
cui nega ogni esplicita funzione pratica, morale e politica - e la sua
capacità dì autonoma esperienza esistenziale e conoscitiva, spirituale
e salvifica (secondo Bo, in quello che è considerato il principale
manifesto della poetica dell'ermetismo fiorentino, tra poesia e vita non
c'è, non ci deve essere differenza, per garantire alla letteratura la
sua dignità etica). La volontà di restituire al linguaggio poetico la
sua forza, la sua autenticità, la sua verginità originaria è per
molti versi un diretto corollario di questa concezione; come lo è il
rifiuto della retorica dannunziana e di certo impressionismo e
sentimentalismo pascoliano. Ulteriori caratteristiche tecniche della
nuova poesia sono la concentrazione lirica (frutto di una rigorosa e
sofferta distillazione del pensiero e del sentimento, contro il fluire
copioso e ininterrotto di certo dannunzianesimo), la poetica
dell'analogia (Ungaretti parla esplicitamente anche di «immaginazione
senza fili», utilizzando il concetto marinettiano per sottolineare
l'ampiezza della sintesi analogica), del simbolo o - specialmente nel
caso di Montale dei correlativo oggettivo (o poetica degli
oggetti-simbolo, oggetti equivalenti di una condizione interiore o
esistenziale). La poesia non dove né descrivere né rappresentare: deve
evocare. Non importa l'immediata comprensibilità dei messaggio
(quantunque molti ermetici dichiarino di non essere oscuri
intenzionalmente), quanto il valore dì esperienza dell'atto poetico,
che sarà comunicativo solo quando capace di suscitare un'analoga (non
identica né univoca) esperienza nel lettore. Di qui anche la programmatica
polisemia (ambiguità), l'oscurità intenzionale o meno, maggiore o
minore, della poesia che poi appunto prese il nome di ermetica. Come si
vede, senza bisogno di ulteriori precisazioni, gran parte di questi
indirizzi, canoni e strumenti hanno precisi precedenti nell'esperienza
decadente e simbolista, ne sono una rielaborazione relativamente
originale. Su questi sommari elementi in larga misura comuni si
innestano poi le differenze individuali e specifiche, che qui non è il
caso di indagare. Anche all'interno dell'ermetismo fiorentino, che
secondo il Ramat si caratterizzerebbe fra l'altro per un uso
effettivamente più criptico ed ermetico dei simboli (laddove il
simbolismo ungarettiano e montaliano sarebbe assai più trasparente), si
possono distinguere indirizzi, poetiche e voci particolari.
(C) 2000 Luigi De Bellis
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