La speranza di pur rivederti |
di
Eugenio Montale da
Occasioni sezione Mottetti Mondadori, Milano
La speranza di pure rivederti m'abbandonava; e mi chiesi se questo che mi chiude ogni senso di te, schermo d'immagini, ha i segni della morte o dal passato è in esso, ma distorto e fatto labile, un tuo barbaglio: (a Modena, tra i portici, un servo gallonato trascinava due sciacalli al guinzaglio). Analisi del testo E’ uno dei venti
componimenti della seconda sezione delle occasioni, che ha titolo
collettivo Mottetti ed è stata scritta nel 1937. Il componimento,
ispirato da Clizia, è un unico enunciato che si suddivide in tre
periodi ritmici. Nei primi due versi, Montale si rivolge a Clizia
dicendole che la speranza di vederla nuovamente svaniva sempre più;
questa è la condizione in cui versa il poeta, in cui matura il dubbio
espresso in seguito (espresso dalla congiunzione e posta al principio
del terzo verso). Nel secondo periodo ritmico egli afferma che (allora)
si chiese se la realtà in cui viveva, la grande quantità di immagini
che impedivano di vederla e di sentirla, avesse i segni della morte o
non avesse in sé, portato dal passato, un segno luminoso della sua
presenza, per quanto distorto e reso debole dal tempo trascorso e dalla
lontananza. Negli ultimi tre versi l'autore indica tra parentesi il
luogo e l'occasione che gli hanno ispirato questa poesia: era a Modena e
stava passeggiando sotto i portici quando incontrò un servo in livrea
che portava a spasso due sciacalli. Commento La poesia è formata
da tre periodi ritmici che compongono un mottetto: il primo è formato
da un endecasillabo e da un quinario; il secondo da quattro
endecasillabi e da un quinario; il terzo da un settenario, un
endecasillabo ed infine da un altro settenario. Non è presente nessun
tipo di rima ma è curioso notare come le rime che chiudono il primo e
il secondo periodo si ritrovino, baciate, alla fine del mottetto. E'
molto importante sottolineare il fatto che l'autore "spiega"
questa poesia in un "auto commento" pubblicato sul
"Corriere della sera" del 16 febbraio 1950 in cui sotto il
nome di Mirco si cela lo stesso Montale: senza questa testimonianza la
poesia sarebbe rimasta enigmatica. Si tratta di una via di mezzo tra la
recensione del critico e la spiegazione del testo data dall'autore
sull'esempio della Vita Nuova dantesca. |