1. BIOCHIMICA DELLA MELATONINA


La ghiandola pineale (o epifisi) situata tra i due emisferi cerebrali, è di colore bianco, con una forma simile ad una piccola pigna (da cui deriva il nome "pineale"; pinea è il termine latino corrispondente a pigna), del peso di 100-200 mg (Fig. 1).

Fig. 1 Schema del cervello nel quale è evidenziata la posizione della ghiandola pineale (o epifisi) che produce la melatonina.

Al microscopio, l’epifisi si rivela circondata da una capsula connettivale, che invia all’interno della ghiandola setti che la suddividono in lobuli. Le cellule che la compongono sono di due tipi: cellule gliali, cioè quelle che sembrano costituire l’apparato di sostegno di tutto il Sistema Nervoso Centrale (SNC); cellule epifisarie o pinealociti, dotate delle funzioni endocrine tipiche che caratterizzano l’epifisi (vedi oltre).

Per molti anni l’epifisi è stata considerata un organo involutivo, priva di una specifica funzione, se non quella attribuitagli da Cartesio (XVII secolo) quale "trait d’union" tra spirito e materia con una azione di "feed-back" reattivo tra anima e corpo.

Alla fine degli anni ‘50 Lerner e coll.1 isolarono dalla ghiandola pineale (epifisi) una sostanza che per la sua proprietà di interagire con i melanofori della cute di anfibi e pesci fu chiamata melatonina (Melas = Nero; Tonos = Tensione). Tale molecola è chimicamente N-acetil-5-metossitriptamina (Fig. 2).

Fig. 2 Formula della melatonina.

La maggior parte dei primi dati collegava la melatonina alla regolazione di altre ghiandole endocrine ed in particolare alla fisiologia della riproduzione; questa azione della melatonina è probabilmente mediata dai recettori nella pars tuberalis (PT) della ipofisi anteriore.

Tali evidenze fecero ritenere la ghiandola pineale un classico organo endocrino che con la sua secrezione ormonale regolava le funzioni endocrine di altri organi. In seguito, quando si dimostrò che la melatonina aveva effetti sul ritmo circadiano, il ruolo di "trait d’union" invocato da Cartesio fu esteso al rapporto fra organismo ed ambiente, e la melatonina fu considerata il trasduttore del fotoperiodo.

Studi ancor più recenti2, hanno confermato l’evidenza fisiologica delle capacità endocrine della melatonina. Negli animali, iniezioni di melatonina ad intervalli costanti sincronizzavano i ritmi circadiani per azione sui recettori a livello dei nuclei soprachiasmatici dell’ipotalamo.

I recettori che mediano gli effetti neuroendocrini e circadiani della melatonina sono situati, rispettivamente, sulle membrane limitanti esterne delle cellule della ipofisi anteriore e delle cellule del SNC3. Che tutte le azioni osservate per la melatonina potessero basarsi su recettori di membrana appariva strano, perché è ben noto che la melatonina è liposolubile ed entra facilmente nelle cellule.

Su queste basi molti autori sospettarono che le numerose e potenti azioni della melatonina coinvolgessero qualcos’altro oltre ai recettori situati sulla membrana cellulare e non furono affatto sorpresi quando furono individuate azioni intracellulari dirette.

E’ ora noto che la melatonina entra nelle cellule dove esercita una grande varietà di effetti che non dipendono dalla sua capacità di legarsi ai recettori specifici sulla superficie di membrana. La melatonina si lega all’interno della cellula con la calmodulina, ed è capace di eliminare direttamente radicali ossigeno. A seguito di queste due azioni la melatonina potrebbe teoricamente influenzare ogni evento all’interno delle cellule. Per di più essa ha mostrato di avere siti di legame o recettori intranucleari, che probabilmente mediano le azioni genomiche dell’indolo. Un fattore che riduce notevolmente la produzione circadiana di melatonina è l’età.

Questa osservazione, unitamente alla scoperta che l’aggiunta di melatonina nell’acqua da bere dei topi ne prolunga in modo significativo la vita, ha fatto sorgere numerose teorie che indicano la melatonina come ormone antinvecchiamento.


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