Estetica della meccanica e del capriccio

Pubblicata in parte nel letterario "La Fronda"
del 25 maggio 1905 e integralmente nel quotidiano
"l'Ora" dell'11 novembre 1907.

Da poco tempo alcuni professionisti della letteratura fingono di credere, proclamandola, a una rinascita del classicismo, vale a dire - poiché essi così la intendono - a una nuova edizione di riduzioni poetiche dal greco e dal latino, rivedute e scorrette, e offerte, in lapidari elzeviri, al pubblico... che olimpicamente tira via e lascia fare.

I greci e i latini, benché morti e sepolti da un pezzo, sono tuttavia più invadenti e imperialisti della giovine razza gialla, così temuta dal Kaiser Guglielmo per l'egemonia e la sicurezza europea; tanto che le sentinelle dell'arte credono con giubilo di ravvisare una volta ancora il polverone dei loro eserciti all'orizzonte.

Vediamo un po' che cos'è mai il classicismo novello di cui blaterano i critici colti, stimandolo la salvezza della nostra letteratura sempre più minacciata dagli americani e dagli slavi.

Il De Santis scrisse "Ogni forma letteraria nasce con un'atmosfera che, quando è lei che la raggia fuori,che le dà alimento e vita, si chiama la sua propria atmosfera. Ma oltre a questa ce n'è un'altra convenzionale e artefatta, un misto di errori, di pregiudizi, di passioni, ed è la densa atmosfera che rimane estrinseca a quella forma e che spesso l'ottenebra e la guasta".

Or bene, dopo il necessario neo-classicismo,inaugurato in Italia da Giosuè Carducci, la nostra letteratura non à respirato che quest'atmosfera convenzionale e artefatta di cui parla il De Sanctis. 

In quali condizioni storiche si è manifestato sempre il classicismo? Quando un grave problema, la lotta per raggiungere un ideale, per conseguire una libertà, non travagliano più la vita di popolo. Il classicismo rappresenta i periodi di calma, le epoche contemplative, le soste e i riposi di una nazione dopo aver ottenuto quel che da tempo agognava: segna, insomma, il consolidarsi di una civiltà nuova. Ciò si avvera naturalmente ed à poco vedere coi greci e i latini.

Questi due antichi popoli produssero un'arte serena nella sostanza e nella forma, perché i loro artisti avevano agio di creare in città e nazioni libere che godevano di un relativo benessere. Atene prosperava quando Eschilo e Sofocle ed Euripide radunavano nelle piazze e nei teatri il popolo con le loro tragedie. Dopo le lotte, le passioni tumultuose, le tempeste del Medio-evo, ecco il Rinascimento, e cioè un nuovo classicismo nato dall'equilibrio evoluto degli spiriti, da un rassettamento quasi stabile delle coscienze, da una completa padronanza tecnica dell'arte; vi ànno influito in parte gli studi umanistici, ma sono la ricchezza, il benessere e la spregiudicatezza della chiesa cattolica e dei suoi dissoluti vassalli che danno soprattutto all'anima del cinquecento un profilo ben definito e indipendente da quello dei padri elleni e romani. Ma quest'anima a poco a poco s'indebolisce, perde la sua decisa personalità, mentre gli studi continuano. E allora, volendo conservare e anzi accrescere le belle forme che, naturalmente, la rinascenza ebbe simili a quelle dei greci, si prendono a prestito da questi anche le forme secondarie, accessorie, che ànno un valore meramente temporaneo e storico, non giammai universale ed eterno: l'arcadia e il secentismo orneranno e sovraccaricheranno la loro vuotaggine di volute retoriche, di fregi pagani, di simboli mitologici. Viene la decadenza. Gli spiriti poi, a poco a poco, si rinvigoriscono, si ridestano a nuovi ideali, si liberano dall'accademia, si esprimono in forme più nuove, ma ancora incerte, discordi, turbolente; finché un nuovo rassettamento sopravviene, una modificazione o trasformazione sociale si compie, arriva un nuovo classicismo, che à per fondamento - ma definito, livellato, sereno i sentimenti e la sostanza che avevano ispirato il periodo precedente.

Due, insomma, sono i classicismi: il vero e il falso, il sentito e il retorico. Il primo somiglia a quello dei greci come si somigliano i liberi spiriti di tutti i paesi e di tutte le epoche, e cioè nello stato statico delle coscienze, come dice mirabilmente _Herbert Spencer; il secondo gli somiglia nelle esteriorità, in tutto ciò che è estrinseco e che non deriva da spontaneità ma da studio. E' quel tout le reste che est literature.

In simili epoche si studiano più i greci e i latini che la vita; e la vita, quando la guardiamo, ci pare un riflesso di quegli studii. Sopratutto si ama; ma letterariamente, tanto che diamo i nomi di Lalage e di Amarilli alla signorina da marito che si chiama Elvira o alla cucitrice di rimpetto casa nostra che si chiama Teresina. La vita cittadina appare volgare e per renderla migliore la si colora in ellenico. La terminologia pagana ritorna in auge, si creano neologismi greco-latini, le pastorellerie non si contano più.

Ciò può cominciare con un Carducci, che è sempre un grande artista e che, pure tra non poche oziosità letterarie, saprà cogliere qualche nuova impressione, avrà intuizioni nuove e geniali; ma finisce col degenerare coi suoi più recenti allievi. Di poeta in poeta, di anno in anno, noi cessiamo d'avere il nostro pensiero e il nostro sentimento personale; l'artista diventa, come dice il Taine, "une machine à calquer".

Da un pezzo soniamo l'organino. Tutto il bagaglio della poesia è sempre la chincaglieria vecchia di venticinque secoli che ogni tanto qualcuno è riuscito a spolverare e a ritingere. Mi si può obbiettare che il cuore dell'uomo, nel fondo, è sempre lo stesso ma io chiedo che se ne mostrino gl'innegabili mutamenti formali, se non sostanziali, che si sono operati alla sua superficie, mutamenti corrispondenti a quelli tinti nei modi stessi di vivere.

Su nessuna nazione come sulla nostra à influito il bene, sì, ma anche il male dell'umanesimo. Anche gli inglesi conoscono la letteratura greca, e gli americani, gli scandinavi, i russi; ma le loro letterature sono ricche di carattere, sono più vicine alla vita. Gli è che noi tutto facciamo consistere nello studiare, secondo il vecchio metodo pedagogico, studiare molti libri, rimpinzarci di letterature e di filosofie, senza considerare che, quando si abbia il cervello aperto dall'abitudine di riflettere, è sempre meglio trovare da noi stessi, in noi e attorno a noi quelle cose che i pedagogici propinano in una forma bastarda. Noi siamo più ricchi di quel che non crediamo ma, dice Montaigne, "siamo educati all'imprestito all'accatto e ci viene insegnato a servirci del bene altrui anzicchè del nostro." E Schopenauer di mostra come "ognuno deve essere e fornire a se stesso ciò che v'à di migliore e di più importante."

Che cosa è stata l'arte attraverso le ere, attraverso la vita dei popoli, se non la fisionomia spirituale di ogni epoca, la storia morale di ogni popolo ? (1) Gli egizi, assillati dall'idea della morte, sono tutti nei loro sepolcreti, eretti a sfida dei secoli; gli indiani, con la loro convinzione di un'anteriore vita divina, nel Ramayana clamoroso, nei templi coperti d'oro; la libera e sveglia serenità dei greci nei marmi di Fidia, negli affreschi di Apelle, nell'ampia poesia; il medio-evo oscuro, teologale, barbarico è nel poema di Dante e nella incorporea pittura; il rinascimento sensuale, gaudente, voluttuoso, nell'epopea ariostesca, nella pittura di Raffaello e di Tiziano, nelle conmmedie grassoccie care al sacro collegio; l'Inghilterra fosca e sanguinaria dei Plantageneti e di Elisabetta è in Shakespeare; la nuova coscienza della Francia che rinnoverà il mondo è in Voltaire e Rousseau.

Ma accanto all'arte pura, l'arte dei costruttori, l'arte dei colossi, è sempre cresciuta e à preso piede l'arte stenta, l'arte dei nani e dei buffoni di corte. Il riso, che appare: che appare appena nelle epoche eroiche in forma di sorriso, con i mostri combattuti e vinti da Visnù nel Ramayana, con Tersite nell'Iliade, a poco a poco si afferma, ecco sopravvenire i primi distruttori, con Aristofane e Menandro. Il riso è il grado massimo della intuizione umana partente dal basso, lo scandaglio feroce e bruto, gittato nelle profondità psicologiche. L'epica è passata, la lirica è passata, la tragedia è passata; quando arrivano gli umoristi è la fine di una civiltà, la decadenza si potrà investigare freddamente, ma senza più entusiasmi, senza più lirismo, trionfa la scienza: Aristofane cede il passa ad Aristotele. Marziale e Giovenale preludono alla decadenza, e l'ultima manifestazione del mondo romano è scientifica: il Corpus Juris Civilis. Più tardi vedremo altri cicli chiudersi con l'ironia di Rabelais, con l'amarezza di Cervantes, con lo scetticismo di Voltaire, col nichilismo degli umoristi contemporanei.
L'umorismo dei nostri tempi à nella vita quelle manifestazioni che potrebbero chiamarsi capricci. Strano miscuglio di malcontento, di noia e di dubbio, esso à un alleato nella frettolosità: mutare, mutare continuamente e far presto. Nulla di serio, nulla di grave e d'importante. Eccovi lo stile liberty. Il dramma e la
comedia si ritirammo dinanzi alla pochade, il teatro al caffè-concerto(2), la sinfonia al waltzer, l'opera e la canzone all'operetta e alla canzonetta, il quadro al placard, le Veneri e le Madonne alla fotografia della cocotte sgonnellante, il gran palazzo al villino.

La degenerazione del capriccio, l'arte che ricorre alle bizzarrie, come il palato al pepe di Caienna, è nella poesia raffinata che si annunzia con Baudelaire nel cattolicesimo espiatorio di sensualisti, esteti e pederasti finiti male come Verlaine e Oscar Wilde ; nel bamboleggiare di Maeterlinck e nel calcolo infinitesimale poetico di Mallarmè; nel raffinato cerebralismo da ubriaco di Rimbaud. Anche costoro, però, rispecchiano una gran parte del mondo di ieri, del mondo di oggi. Il difetto non è negli artisti soltanto, è anche nella società che li à prodotti: le classi elette d'Europa che per una buona metà sono affette da questa malattia fisica e intellettuale che abbiammo detto capriccio (malcontento, noia e dubbio), nel quale entrano anche sifilide, alcoolismo, tabagismo, morfinomania, impotenza e reversibilitè sessuale, debolezza di volontà, assenza di personalità e d'indipendenza.

Nietzsche à detto: "Ogni individuo può essere stimato secondo ch'egli rappresenta la linea ascendente
o discendente della vita... S'egli rappresenta la linea ascendente, il suo valore è effettivamente straordinario,
nell'interesse della vita totale, la quale fa con lui un passo in avanti... S'egli rappresenta l'evoluzione discendente, la rovina, la degenerescenza cronica, la malattia, la sua parte di valore è ben debole, e la semplice equità vuole che usurpi il meno possibile sugli uomini dalla costruzione perfetta. Egli non è più altro che il loro parassita...

Naturalmente tutti questi deboli, questi tarati, questi succubi, che ànno per suprema gioia la masturbazione, reale o immaginativa, colorata dall'hatschisch o dall'absinthe, non sentono l'arte sanguigna e testicoluta, trovano di cattivo gusto il lirismo cantante e ridicolo l'entusiasmo.

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Ma guardate anche, accanto e sotto il capriccio, indice e limite della decadenza d'un'arte e (l'una civiltà
passate, nascere e delinearsi la rigenerazione, la nuova civiltà mondiale.

La scienza e la pratica rinnovano: i prodotti, i benefici di questi ultimi tempi sono stati enormi, specialmente nel campo economico. Noi non camminiamo più coi lenti passi dell'evoluzione, ma procediamo, si può dire, di rivoluzione in rivoluzione. Ciò è dovuto ai mezzi di produzione, di scambio, di trasporto: al vapore e all'elettricità. L'età nostra è eminentemente meccanica: la macchina à mutato la nostra vita esteriore e in parte anche i sentimenti e gl'ideali.

Al capriccio, alla malattia, si accoppia e talora si fonde il meccanicismo, con tutte le raffiche delle nuove
idee che à portato. E appunto per questa procella i nostri spiriti sono intorbidati, non s'intendono bene,
non vedono chiaramente intorno a sè. Noi siamo stati presi troppo all'improvviso dalla nuova vita e troppo
intensamente, sì che non ne siamo ancora abbastanza padroni da poterla sintetizzare; dobbi3mo tuttavia aspettare che il nostro spirito si foggi compiutamente sulla nuova civiltà che cammina verso la sua età classica.
Noi siamo tra il capriccio - fine dell'anima vecchia - da un lato, e il meccanicismo - inizio dell'anima nuova - 
dall'altro: siamo in corsa senza vedere chiara la meta. Subbuglio e cozzo di sentimenti che muoiono e di sentimenti che nascono: romanticismo. (Romanticismo, naturalmente, non vuoi dire soltanto 1830).

Però i giovani, quelli della mia generazione, e forse quelli che la seguono, che non sono soltanto poeti, filosofi, pensatori, artisti, o ricchi blasés, o figli di banchieri e di milionari, ma giovani della piccola e media borghesia - l'antesignana di tutti i rinnovamenti del mondo - non guardano, non conoscono, non apprezzano l'arte del capriccio e della nevrastenia, come non sentono più il neo-classicismo; i più, anzi, se ne infischiano delle arti che annoiano e tormentano. Cercano e trovano uno svago nuovo, che viceversa è dei più vecchi: lo sport. Ecco venuto lo sport, alleato allegro e spensierato del meccanicismo, che rinvigorisce i muscoli, allarga i polmoni, allenta i nervi. La vita si fa più mossa e più gaia: la vita è dinamismo anch'essa, come i motori che da ogni parte la sollecitano con l'affrettato ritmo.

La grande rinascita generale da tempo si disegna nell'aria torbida di avvenimenti. Le tre tendenze passatista, presentista e avvenirista (3), s'incontrano ovunque, ove fuse, ove separate. L'ultima, cui fu araldo Walt Withman, comincia ad avere la sua arte. Guardatela, quest'arte nuova, specialmente nell'architettura in cui già trionfa; guardate i grandi edifizi che ci parlano già dell'avvenire le fabbriche gigantesche, i quais e i doks anneriti dal fumo e grandi come città, i palazzi a trenta piani dalle ossature d'acciaio, i ponti inauditi sull'oceano, le torri che toccano le nuvole: edifici a stile semplice, che ànno la bellezza della forza e dell'utilità razionale (4).

Dissoluzione e rielaborazione. L'antico uomo si dissolve, si dissolvono le antiche società. Tutto ciò che fu cerchio chiuso, piccolo aggregato, si sfascia, si sfasciano le nazioni e gli stati; pochi decenni ancora, forse, e assisteremo allo sfasciamento di potenze fondate su vecchi ordinamenti che sembrano oggi di bronzo; pochi secoli, forse, e non più nazioni ma l'umanità, non più stati ma il mondo - e infine di nuovo l'Uomo (5).

E' certo che a questa meta noi moviamo dal giorno che vide nascere la prima creatura umana. Dalla libertà individuale, solitaria e minacciata da tutte le parti, dei tempi preistorici, l'uomo mira alla libertà individuale in seno ai grandi aggregati l'uomo partì libero dalle caverne per poter giungere libero al palazzo col termosifone, con l'illuminazione elettrica e col garage.

Dateci oggi l'arte che rispecchi la vita, questa vita protesa verso il divenire ogni opera d'arte deve essere una pietra, piccola o enorme, che viene aggiunta all'interminabile edificio della civiltà.

Chi fa arte oggi, deve essere uomo d'oggi, figlio di questi due ultimi secoli ardenti di luce meravigliosa, fratello di coloro che àn dato all'umanità il vapore, le macchine elettriche, il telegrafo senza fili e mille fulgide promesse per l'Avvenire.

Pubblicata in parta nel letterario " La Fronda,, del 25 maggio 1905 e integralmente nel quotidiano "L'Ora" dell'11 novembre 1907.

 

(1) "Les plus grauds artistes sont les hommes qui ont possédé au plus hant degré les facultés, les sentiments de ce public qui les entourait" H. TAINE.

(2) Il cinematografo ancora, neI 1905, non era che allo stadio
iniziale.

3) Il futurismo adoperò questi termini due anni dopo.

(4) L'istinto più profondo dell'artista va verso l'arte, o va piuttosto verso il sensoo dell'arto, verso la vita, verso un desiderio di vita?,, FEDERICO NIETZSCHE.

(5) "Ah, le adulazioni non daranno salute mai alla patria!...

La storia particolare delle nazioni sta per finire, la storia europea
sta per cominciare!,, GIUSEPPE MAZZINI.

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