I mestieri dei nonni ci fanno ancora sognare

Dall’arrotino allo spazzacamino, dallo stagnino allo straccivendolo, sono tantissimi i mestieri che facevano mezzo secolo fa i nostri nonni e che oggi sono scomparsi. Personaggi che un tempo facevano parte delle nostre città, che giravano per le strade offrendo casa per casa le loro “arti”: basti pensare all’uomo che all’angolo della strada riparava gli ombrelli o a quello che impagliava le sedie. Un mondo che ai nostri giorni appare lontano, che soltanto i nostri nonni ricordano ancora e che, però, riemerge con la freschezza e il sapore della nostalgia. Ve li immaginereste, nelle città e nei paesi, lavoratori ambulanti che, spostandosi con i loro carretti, facessero la felicità di molte massaie? No, escludendo qualsiasi possibile idea carnevalesca. La civiltà in cui viviamo ha eliminato tante tradizioni diventate oggi veri e propri tesori di una storia che non ci riguarda più e che si rischia di scordare per sempre. Fra i molti cambiamenti avvenuti con la nascita di questa nuova civiltà industriale, gli anziani ci rammenterebbero la scomparsa dei “mestieri della strada”: erano così qualificati poiché il lavoro era svolto ai margini delle strade. Questa categoria comprendeva l’arrotino, l’ombrellaio, lo stagnino, lo spolverino, il lavandaio .. L’arrotino, chiamato molèta, affilava gli utensili con il suo laboratorio ambulante semplice ma efficace. Il meccanismo era in legno,costituito principalmente da due ruote, una grande ed una piccola. Quest’ultima era mossa da quella più grande ed affilava le lame. L’ultimo arrotino che operava nella città di Bergamo si era dotato, rispetto ai suoi predecessori, di elementi più moderni: il meccanismo in legno era stato sostituito con il telaio di una bicicletta, che consentiva all’arrotino di muoversi più rapidamente. Il molèta scomparve dalle strade della città circa trent’anni fa. L’arrotino si vedeva raramente, ogni due o tre mesi, nei borghi e nei quartieri operai, dove risiedeva la sua clientela; quando arrivava, per avvertire le massaie, diceva ad alta voce: ”Molèta,molèta”. Fare il molèta (o mulèta) era la grande specialità degli uomini della Val Rendena, in Trentino. Essi si spostavano nelle diverse località per affilare coltelli, forbici, falci e tutto il necessario per tagliare.. C’era poi lo stagnaio o ramaio, stagnì, che aggiustava le pentole. Quest’uomo srotolava il suo involto che conteneva gli attrezzi, sempre attorniato da un curioso e petulante gruppo di ragazzi. Le massaie portavano il pentolone rotto e lo stagnaio aggiustava sia il piccolo foro che quello enorme. Usava delle bacchette di stagno che, riscaldate, davano delle palline: subito i ragazzi accorrevano per raccoglierle. Egli sostava un giorno intero in un luogo: non c’era bisogno di licenze richieste in Comune; le tasse, poi, lo stagnaio non sapeva neanche cosa fossero. A far sparire questo artigiano fu la diffusione delle pentole in alluminio e in acciaio, queste ultime praticamente indistruttibili. Paladina, a causa di una secolare tradizione, era la terra di provenienza dei lavandai. Il lavandaio girava con un carro, puntando soprattutto verso la periferia della città di Bergamo, dove era in uso far lavare i panni, soprattutto la biancheria più grande come le lenzuola. Le massaie gli portavano il sacco della biancheria sporca e ritiravano quello con la biancheria pronta. C’era anche un altro ambulante, era un venditore di candeggina che faceva affari nelle strade di Città Alta. Sul suo carretto era fissata una damigiana con il liquido; il recipiente (bottiglia o bottiglione) lo forniva la massaia. Oltre ai lavandai di Paladina, c’erano anche i lavandai e le lavandaie di Valverde e quelli di Ponteranica. Secondo la tradizione, furono proprio le lavandaie di Ponteranica a salutare di primo mattino Giuseppe Garibaldi diretto a Bergamo con i suoi Cacciatori delle Alpi per mettere in fuga la guarnigione austriaca. Il lavoro della lavandaia era accompagnato dalla “cura” del sole: quando i panni stesi sui prati ad asciugare erano pronti, profumavano di fiori e questo era un profumo migliore rispetto a quello dei detersivi di oggi. Ricordiamo anche gli spolverì, cioè i venditori di una speciale sabbia che si raccoglieva sulle rive del Serio. Era utilissima per pulire oggetti di rame e per altri usi di cucina. Bastava strofinare e le padelle diventavano lucidissime. Quando sulle strade gridavano il loro richiamo alle massaie con lo stridulo grido : Spolverì ! Spolverì ! queste accorrevano e comperavano due o tre chili di polvere. I prodotti di un tempo erano ricavati dalla natura.



Da oltre cinquant’anni sono scomparse le donne che scendevano dalla Valle Imagna a vendere oggetti di legno che venivano costruiti dai montanari durante le lunghe serate d’inverno. Erano i cosiddetti basgiotér, cioè venditori ambulanti di articoli casalinghi in legno. Nella stagione invernale, specialmente da legni “forti”, cioè faggio, acero, noce, ciliegio dei quali la valle era ricca, ricavavano cucchiai, forchette, mattarelli, attaccapanni, palette e bastoni per la polenta, mestoli di legno, ecc. Ma due articoli erano di loro particolare fabbricazione: dei rustici fischietti colorati di rosso e delle ciotole usate nell’industria casearia. Sono stati proprio questi, detti in dialetto rispettivamente sìfoi e baslòcc quelli che hanno dato agli artigiani che li fabbricavano il nome di sifolì o basgiotér coi quali erano conosciuti da tutti. Tra gli altri articoli di loro fabbricazione c’erano anche trottole, portauova, trappole per i topi, ecc. Durante la buona stagione questi tornitori del legno diventavano ambulanti: donne ed uomini con un gerlo sulle spalle pieno dei vari oggetti e con una cassetta in mano, per mesi e mesi andavano per i paesi e per le fiere della Lombardia, del Piemonte e del Veneto, spingendosi anche in Austria e nella Svizzera. I loro itinerari erano lunghissimi: infatti i baslotér andavano non solo di paese in paese, ma anche di cascina in cascina ad esibire i loro prodotti. L’ultimo baslotér scomparve dalle strade di Rota Imagna circa trent’anni fa. Ad Almenno S.Bartolomeo esiste un museo dove sono conservati oggetti prevalentemente in legno che riguardano i lavori oggi scomparsi. Fra questi mestieri ricordiamo anche gli zoccolai che avevano una produzione molto misera che non usciva dal commercio paesano. Esistevano mestieri per esercitare i quali bisognava avere una grande abilità: ad esempio quello del carraio il quale doveva costruire carri resistenti alle strade di quel tempo. I carri venivano usati per il trasporto di materiali di cantiere, sabbia e pietra. I carrettieri scendevano sull’orlo del Brembo per recuperare la sabbia e la ghiaia. Il carico veniva portato a destinazione senza fretta: infatti spesse volte i carrai si fermavano nelle numerose osterie esistenti nei paraggi. I laboratori degli ultimi carrai sono scomparsi non molto tempo fa. Il materiale che si usava per costruire il carro era il legname di qualità, particolarmente resistente. Le ruote richiedevano una cura particolare, perché dovevano sopportare notevoli contraccolpi sul fondo stradale pieno di buche. Una delle operazioni più affascinanti era quella della cerchiatura: si prendeva il cerchio in ferro da applicare all’esterno della ruota e lo si scaldava sulla fucina fin quando non diveniva rovente. Con lunghe tenaglie il cerchio veniva collocato attorno alla ruota. L’operazione era possibile perché il calore aveva fatto dilatare il ferro giusto il necessario; quando si raffreddava, il cerchio si chiudeva come una morsa sul legno dal quale non si sarebbe più staccato se non in caso di rottura. Botteghe e laboratori di ieri, messi a confronto con stabilimenti o supermercati di oggi, sembrano appartenere all’epoca delle caverne. Con il modo di lavorare è cambiato il modo di vivere. Il traffico intenso nelle strade delle città e dei nostri paesi, l’inquinamento ... Una volta le ore e i giorni erano segnati dal grido tipico di coloro che, esercitando i più strani mestieri, andavano in cerca di clienti. Si sentivano voci basse, oppure dure, stridule. C’erano persino i venditori di polenta: nelle strade si vendeva di tutto. Ma soprattutto pullulavano i prestatori di servizi: lo spazzacamino, l’ombrellaio, l’arrotino, lo straccivendolo, lo stagnaro. Queste attività sono ora scomparse e con loro se n’è andato anche l’alone di poesia che le circondava.