Ricordo in lacrime
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a.p.c.l. P. n. 233/336/ [1] 

Ricordo di lacrime

Alle ore tredici del giorno 28 di Febbraio del 1931, prendo la benedizione da Gesù Sacramentato, monto a cavallo e volo ansiosamente in direzione di un incontro giocondissimo, quello del mio caro Vescovo, Mons. Emiliano che ritornava dall’Italia, rivestito dalla pienezza del Sacerdozio, per il Quale avevamo preparato una bella ricezione a Barra do Corda.

In poche ore il mio mulo aveva divorato alcune decine di chilometri. Alle ore 18, ascolto il fischio della lancia, o machina a vapore, che portava a Barra do Corda il Vescovo accompagnato da Fra’ Simpliciano. Mi avvicino alla riva del fiume, faccio un segnale, e il comandante della lancia, mio amico, gentilmente mi attende. Ferma la macchina, ed io posso parlare col Vescovo... Nessuna novità. Tutto bene.

Lascio al Vescovo continuare il suo viaggio, ed io ritorno a cavallo, di notte alla mia residenza. Arrivo alle ore 10 e mezzo. Batto la porta della cella di P. Riccardo per avvisarlo del mio arrivo. P. Riccardo non mi risponde. Torno a bussare, ed ascolto solamente prolungati gemiti e singhiozzi. Chiedo al di fuori: “Padre Riccardo, che cosa hai? Ti senti male? Che è successo?”. Ancora gemiti e sospiri, e non mi dà soddisfazione. Soprappensiero, io mi ritiro per la piccola cena.

Mi ero appena seduto in refettorio, ed ecco apparirmi P. Riccardo con gli occhi gonfi: mette la faccia tra le mani, non parla. Ma che cosa hai? Per risposta, mi getta sul banco un telegramma, e se ne va coi singhiozzi alla gola. Prevedo di leggere qualche disgrazia. Afferro il telegramma, leggo “E’ MORTO PADRE NATALE”

Rimasi di pietra, scomparve l’appetito, e mi ritirai piangendo. Come sarà accaduto? mio Dio, pensava tra me. Da qualche ora, parlai col Vescovo... Nessuna novità. Ed allora? Ah! Qualche colpo apoplettico? Qualche disgrazia imprevista? Come sarà avvenuto? Il Vescovo sta per arrivare, e non lo sa. Che schianto al suo Cuore, che tanto stima P. Natale!

Alle ore due di notte, il fischio della lancia annuncia il suo arrivo al porto del fiume che mette al paese. Andiamo a ricevere il Vescovo. Fu un abbraccio quasi muto, triste, e sto per dire insensibile. Arriviamo al Convento. Un nodo ci stringe alla gola. Mons. Emiliano comprende che P. Riccardo ed io non siamo, come di solito, tanto allegri; nota subito un senso di mestizia; “Che cosa avete? A si gnec?...”. P. Riccardo, si mette a piangere.

Io mi faccio forte, rompo il gelo. “Mons. Triste notizia, ecco qui un telegramma”. Sua Ecc.za, legge, ammutolisce. Da un sospiro, e, mi par di udirlo “Fiat!”. Continua. “Dieci giorni fa, ebbi lettera di P. Natale che solo accusava buone notizie”. Ma nessuno può immaginare come avvenne. Intanto suffragammo l’anima del nostro carissimo confratello, vero apostolo, scomparso dal nostro campo di Missione.

In memoria aeterna erit justus

Sono già passati cinque anni dalla morte di P. Natale. Per divina disposizione, do grazie al Signore, sono stato rimosso dalla mia cara Parrocchia di Barra do Corda, per questa stazione di Tury-Assù, occupando il posto del caro defunto. Preso possesso della nuova Parrocchia, mi sono fatto un dovere di visitare la tomba che ne raccoglie le venerate spoglie. Prego, mi sento commosso... La fotografia, incastrata nella croce di cimento, mi rinnova tutta la vita di questo apostolo Cappuccino...

In un giorno libero, celebro la Santa Messa all’Altare della Cappellina delle nostre Suore Cappuccine. Ignoravo un fatto impressionante. Dopo la S. Messa, la Superiora mi indica il luogo dove era spirato P. Natale. Qual luogo? Proprio quello convertito in altare. Pensiero consolante! Lì, dove si compie il Sacrificio della vittima Divina, si è compiuto quello del suo Servo fedele. La cella di P. Natale, si è trasformata in devota cappella. Il luogo della morte, in quello della Vita.

E lì, si prega bene. Cimitero, tomba, altare, ritratto, mi ricorda un nome davvero in benedizione perché nome di un vero Cappuccino, di un Santo religioso, di un apostolo Missionario.

Io non vorrei ripetere ciò che si scrisse di Lui, dopo la sua morte, avvenuta il 27 Febbraio 1931, ma solamente di racimolare qual pensiero e fatto che lo riguardano e che più mi ha impressionato l’animo mio.

Siamo nel mese di ottobre dell’anno 1912. L’Altare Maggiore del nostro Tempio di Viale Piave (Monforte) era parato a una commovente solennità. Oh! Se potessero parlare, quell’altare, quei cerei, quel Sacrario, quei Frati, quel popolo assistente!!!!! Ma io ero presente, e penso in allora, e scrivo.

Là, sta P. Natale, in ginocchio, assorto in estasi di carità per il suo Dio.

Aveva già fatto il sacrificio della famiglia, della patria, dei fratelli per amore ai fratelli lontani. Riceve dal P. Provinciale il CROCEFISSO, l’arma potente del Missionario. Lo bacia, lo appende al collo, lo stringe al petto come per testimoniargli giurata fedeltà e dirGli “Sei mio”

Commosso ascolta il verbum veritatis dal ministro di Dio, che in nome del serafico P. S. Francesco invia i missionari per il mondo da redimere.

Benedetto da Gesù, abbraccia i suoi Confratelli, Padri e studenti. E mentre si canta il salmo Benedictus, P. Natale, oh come ben lo ricordo! Nell’atto di baciarmi, mi fissa fortemente e mi dice perentoriamente: “Fra Eliodoro arrivederci là, ti aspetto, Dio ti vuole

Quello sguardo, quell’espressione calda, spontanea, sincera, mi scosse, come potente scintilla: mi parve un’ispirazione del Cielo. Se io invidiava la sorte di P. Natale, Lui, a mio riguardo fu profeta.

Dopo alcuni mesi, P. Natale scrive dalla Missione agli studenti di Teologia. Si faceva ricreazione, e quel santo nostro Direttore M. R. P. Maurizio di cara memoria (Vescovo testé defunto), ammiratore di P. Natale, viene a noi e ci dice: “ecco qui le notizie di P. Natale, leggete e sappiate approfittare”.

Io non saprei dire chi tra gli studenti, prestasse più attenzione a quello scritto. Troppo certo mi tengo che bevetti a sorsi quei sentimenti di vero apostolo che furono per me carezza allo spirito, fiamma al cuore. E quando volli fra le mie mani quella lunga lettera, vergata con tanta semplicità, ed entusiasmo, la meditai, la incarnai in me, e fin da quel momento mi sono fatto della Missione, una passione.

Che se da tempo sentiva inclinazione per le missioni, la voce, la parola di P. Natale fu conferma della chiamata di Dio al campo dell’apostolato. Mancava l’assenso del mio Direttore e dei Superiori Maggiori, quando, ordinato Sacerdote e finiti gli studi, aveva inoltrata la petizione. E, se passarono alcuni anni, avanti di realizzare il mio sogno, la ragione è chiara: era il tempo della conflagrazione europea e ci era proibita l’emigrazione.

Ma da P. Natale non si poteva aspettare diversamente. Lo conoscevamo bene nello studentato. Esempio di pietà e studio; di obbedienza e di carità. E siccome la lingua batte dove c’è il cuore, dal suo labbro affiorava, e con qual entusiasmo, continuamente la dolce parola Missione e Missione di Maranhão.

Quel sogno accarezzato da anni, quella voce di Dio che lo chiamava, gli parlava intimamente, operava alle volte trasformazioni di accentuato ardore in mezzo ai suoi compagni. E allora: “Cari fratelli, un poco di coraggio, Andiamo alla Missione del Brasile, il campo è vasto, vi sono anime da salvare...”.

E quando, qualcuno, come per provarlo, lo contraddiceva, dichiarando che anche in provincia ed in Italia vi sono anime da salvare, P. Natale, con santa semplicità ribatteva quell’insidia giocosa, dicendo “qui in provincia non mancano i mezzi per andare al Paradiso, perché ci sono molti Sacerdoti, mentre là, la messe è grande, e non ci sono operai”.

Nessuno di noi dubitava della sua vocazione. Gli stessi Superiori e Direttori ce lo indicavano come modello di grande ideale missionario. E quando, nella Congregazione di Settembre, 1912, il nome di P. Natale veniva pubblicato sulla lista dei Missionari, chi può immaginare la gioia che inondò quel gran cuore tutto di Dio? Sussulta di francescana letizia, da un sospiro, e “Deo Gratias, evviva i Missionari”.

P. Natale, contemplò, meditò, pregò. Quel sogno adorato, dell’ideale missionario, divenne realtà. E noi, qui siamo stati testimoni oculari e auricolari del suo spirito missionario, di vero apostolo inter gentes. E se il Cielo ce lo ha rapito, ancora in piena virilità, e proprio sul campo di lavoro, e quasi di repente, dovrà scomparire da noi la sua memoria?

Non omnis moriar, io non scomparirò completamente - lasciò scritto Orazio - perché di me parleranno i miei scritti ed io vivrò nelle opere mie”. Se questi è dei pagani, attraverso scritti umani, che dire dei cristiani, dei soldati impavidi di Gesù, degli eroi della fede, dei missionari apostoli che ci hanno lasciato una vera apoteosi di sacrifici, un incanto di attività apostolica, una scia luminosa di virtù????

Di questi, canta la Chiesa: in memoria aeterna; ma non soltanto nel libro dell’eterna vita, ma anche nel gran libro del cuore umano per avvicinarlo al Signore.

Di P. Natale, non parlano i suoi scritti, perché Lui ignorava il linguaggio della poesia e dell’eloquenza umana; ma parlano le opere. La sua vita di Missionario costituisce davvero un monumento di redenzione di anime.

Ci sarebbe da dubitare, se chi scrive, non avesse constatato de visu il campo dove lavorò P. Natale, e non avesse viaggiato sopra i suoi passi.

La necrologia, composta dal M. R. P. Stefano di cara memoria, e pubblicata sopra gli Annali Francescani, dà una prova palmare di quanto asserisco. Ma io voglio aggiungere qualche altra riflessione sopra circostanze difficili e che può essere di santo incitamento ai nuovi Missionari.

Alla morte del nostro indimenticabile P. Carmelo, io vengo destinato per la disobriga della Parrocchia di Barra do Corda. Terminata la S. disobriga nel 1925, lo confesso, io mi sentiva scoraggiato, abbattuto fisicamente per le grandi febbri palustri che mi ridussero a scheletro, e anche moralmente, perché accerchiato da tante difficoltà di ministero, mi vedeva quasi nell’impossibilità di attendere alla voce di tanti cuori chiedenti il pane della grazia, e abbandonati a se stessi, immersi nell’ignoranza e nella superstizione.

Sapeva troppo bene che un abboccamento con P. Natale mi avrebbe ridato nuove energie morali, tranquillizzata la mia coscienza, nella soluzione di tanti casi strambolici e complicati, specie di matrimoni, che a prima vista, non sembrerebbero contemplati nella morale. D’altronde mi divorava il desiderio di vederlo, riabbracciarlo, perché dalla sua partenza da Milano, non l’avevo più visto. Combinammo per lettera un incontro ai confini della Parrocchia di Barra con quelli di Grajahú. (vedi Ann. Franc. Mese di... 1926 con gravura di P. Natale con P. Eliodoro ecc.) (qui si potrebbe inserire l’episodio dell’incontro).

E ci rivedemmo, ci abbracciammo. Nessuno può ridire la commozione dei nostri cuori. Fu una festa di spirito giocondata dalla mutua carità.

Intanto dopo tanti anni, attraverso innumeri peripezie, vicende, sempre prospere per il Missionario, anche le avverse; dopo grandi trasformazioni di progetti, creazione di altre idee, istituzioni nuove ecc. per l’incremento della missione, io ebbi agio di rilevare in P. Natale due cose che mi hanno santamente impressionato.

Prima, che P. Natale era ancora quello di studente, col suo spirito di fervente Cappuccino, colla sua evangelica semplicità francescana, dell’est, est, non, non, senza troppi preamboli, tergiversazioni o sofismi. Come da studente, possedeva un cuore innocente, santo, sublime, vampante di amor di Dio, di carità per le anime. Un cuore rotto ad ogni sacrificio, pur di conquistare anime al Cielo; un cuore reso più prezioso, perché regolato da una coscienza rettissima, incapace di volontariamente mancare.

E questo fu sempre il suo modo di vedere e di pensare: giammai contro coscienza.

Secondariamente, in base ad una tal coscienza, P. Natale dopo tanti anni di apostolato aveva acquistato un finissimo senso di vita pratica, per cui sapeva sicuramente sciogliere problemi tanto complicati che darebbero da pensare a dottori di teologia. Di qui, la illimitata confidenza in lui, la certezza della sua parola, la tranquillità del cuore. Di qui, la persuasione che P. Natale era filosofo, era teologo, era asceta, perché aveva studiato Gesù, il grande Libro della verità e della santità, che egli amava e Lo faceva amare e per il Quale sacrificò la sua preziosissima esistenza.

 

Sorrisi di Apostolato

Otto anni di Missione nella Parrocchia di Barra do Corda: sette anni in quella di Grajahú. Soltanto l’Angelo del Signore avrà notato e contato i meriti di quell’anima santa di quel cuore ardente e generoso. Non lo arrestano la fame, la sete, le umiliazioni, le illusioni, tutte le sofferenze e immensi disagi a cavallo, le febbri micidiali, la pioggia, il sole di fuoco.

Lui passa, nunzio di Dio, in cerca di anime e vuol popolare il Cielo. Lui passa come luce che lascia dietro di se, tracciato il cammino del bene. Il suo nome è ancora ricordato. Non vi è persona del più oscuro tugurio della selva o del Sertão che non pronuncia con venerazione il nome di P. Natale. Lo posso dire, perché ho rifatto i suoi passi, e per altrettanti anni mi sono trovato in mezzo alle genti da lui evangelizzate in quel di Barra do Corda. E quando la santa obbedienza lo destina alla nuova residenza di Grajahú, in qualità ancora di Padre disobrigante, P. Natale, pur sentendo il dolore del distacco dal suo popolo antico, pare ringiovanire, canta l’inno della santa obbedienza e della letizia francescana, armarsi di rinnovato ardore ed impavido si slancia nel nuovo spinoso campo di disobriga.

Si spande il suo cuore, estende le sue braccia, chiede subito le più minute informazioni dei luoghi sconosciuti, i più lontani, dove giammai fu Sacerdote. Niente gli sfugge. Là vi sono pagani? Là concubinari? Là bisogna andarci. E va con l’allegria dello spirito, fidente in Dio. Non conta i chilometri a cavallo e i mille accidenti che possono succedere. Non pensa se sarà ricevuto bene o no. Il suo pensiero è uno solo: “Signore datemi anime, voglio anime”. “Oh quante consolazioni mi dà il Signore - mi diceva estatico nell’incontro sopra menzionato - ho battezzato tanti adulti, vecchi, già padri di famiglia. Ho benedetto centinaia di Matrimoni di poveri infelici, di cattiva vita. Oh come è bello sudare per trionfo del regno di Dio!!!. Certo, se i nostri novelli Sacerdoti di Milano sapessero il valore nel nostro oscuri apostolato, si farebbero tutti Missionari. Evviva la nostra Missione! Avanti caro Padre Eliodoro

Datoci l’abbraccio di saluto, saltiamo in groppa dei nostri superbi muli. P. natale, canta la gioia del suo cuore. Alla sua voce che si sperde nella selva, cupa e lontana, fa eco la mia, che, in direzione opposta, risponde con la stessa nota di francescana letizia...

Felice quella residenza missionaria che possiede apostoli di tale spirito. Va di più. P. Natale, non pensa solamente al bene che lui stesso può fare, ma anche a quello dei futuri Missionari. Ed eccolo tutto intento a studiare i mezzi per facilitare ed intensificare i frutti del santo Ministero. Formula, uno scrupoloso itinerario, perché comprese per l’esperienza fatta, che viaggiare a zigzag, per sentieri sconosciuti, a capriccio di persone ignoranti, qualche volta esigenti, che giudicano il Padre di ferro, senza diritto a riposo, è doppio sacrificio, è tempo sprecato, è meno fruttuoso.

Mentre un itinerario ben ordinato in queste vastissime regioni, specialmente sul principio, costituisce il più efficiente mezzo di organizzazione per un più intenso e fruttuoso apostolato. Così, P. Natale ci aveva appianata la via, sia a Barra do Corda come a Grajahú. E noi successori apprezzammo il valore di questo mezzo e lo si pratica appuntino.

Intanto anche a Grajahú, P. Natale lascia l’impronta di vero missionario. Il popolo della selva e del Sertão benedice i passi del suo Padre, ed è benedetto. Il suo nome sta inciso nella mente, nel cuore dei poveri, degli ammalati, dei bisognosi spirituali. E quando, nel 1927, venne l’ordine di lasciare anche questa stazione, perché promosso a Superiore e Parroco della residenza di Tury-Assù, nessuno può immaginare il cruccio di tanti cuori beneficati, per vedersi privati di un sì prezioso e santo Missionario. Tury-Assù, lo aspetta, nuovo gregge lo attende.

 

Pronto come sempre alla santa obbedienza, si dirige alla nuova stazione assegnatagli. Lui sa che la prima qualità di un Parroco missionario è di amare il suo popolo, e tanto più amarlo quanto più straviato: che il segreto per guadagnarlo a Dio, è compatirlo, avvicinarlo con l’olio della misericordia simulando da principio i suoi errori, specialmente mostrando viscere di compassione verso gli infelici amicati, concubinari, che, non tanto forse per malizia, quanto per tradizionale apatia, frutto di ignoranza e di superstizione, vivono nel peccato e pensano di salvarsi soltanto coll’invocare il nome di Gesù e della Madonna. E P. Natale ama questi poveri peccatori, prega per loro, con paternale consiglio li avvicina e li incanta con la sua semplicità evangelica, affine di facilitare loro l’ingresso della grazia mediante il Matrimonio religioso.

Leggo accuratamente gli atti della cronaca parrocchiale, compiuti da P. Natale, e rimango edificato. E’ sempre la voce di un gran cuore che parla, prima al suo Dio, poi al suo popolo. Faccio il censo della popolazione del villaggio di Tury-Assù, e comprendo la morale condizione di alcune famiglie messe in regola con Dio dallo zelo di P. Natale. E quante ascolto con venerazione dalla bocca dei semplici: “Oh! La morte quasi improvvisa di P. Natale, quanto ci ha impressionati e commossi! Quanta saudade nos deixou Frei Natal!”.

È un’espressione semplice, ma insieme un panegirico. E se questo è il pensiero del popolo, qual sarà il nostro, che abbiamo conosciuto quella grande figura di Cappuccino e di Missionario? Se, come diceva il Santo Curato d’Ars, “Buono diverrà quel popolo, il cui Parroco è buono: santo si farà quel popolo, il cui pastore è santo”. Dalla bontà, pietà, virtù e zelo di P. Natale, non si poteva aspettare se non, nuove risorse di fede, nuove conquiste di anime, nuova fase di redenzione.

Ma fiat; il Signore ce lo ha portato via dal nostro affetto, lo ha strappato al suo popolo; e mentre lo piangiamo tra i morti, lo contempliamo nella gloria, intercedendo per noi e per la Missione.

 

RITORNO sulla TOMBA venerata di P. Natale, mi inginocchio sopra l’Altare del sacrificio e, concentrando i pensieri ed affetti di tutti i missionari, dei nostri cari Superiori di Missione e di Provincia, dei confratelli tutti che hanno conosciuto P. Natale e che furono e sono ammiratori di questo apostolo della Chiesa, deposito, a nome di tutti, il fiore del cuore, palpitante di venerazione e di infinita saudade.

 

Signore, avete ricevuto nella vostra gloria il vostro servo buono e fedele. Dateci, per sua intercessione, e conservateci una particella del suo spirito, di religioso, di Cappuccino, di Sacerdote, e di Missionario.

Fra Eliodoro Maria da Inzago Missionario Cappuccino

  

 

  

N.B. Aspetto l’ordine dei Superiori Maggiori, per esumare le venerate spoglie del caro estinto, P. Natale, dal civico cimitero di Tury-Assù, onde collocarlo in apposito sepolcreto, conforme le norme sante del nostro Ordine.


[1] Archivio Provinciale del Cappuccini Lombardi, con sede a Milano, in Viale Piave 2

 

 

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