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Lo Straniero

 

 

Parte Terza: Delusione

 

E iniziò la Storia.

Cioè: iniziò il tempo comune tra me e qualcun altro.

L’altro rimase stupito nel vedere la luce del mio movimento.

Notai che portava della sofferenza con sé.

Io non ne avevo; era questo che lo stupiva.

Mi chiese il mio nome.

Non avevo un nome.

Allora mi disse il suo.

Mi disse anche da dove veniva, com’era la sua vita, perché era in giro.

Veniva dal luogo in cui si stavano radunando tutte le coscienze.

Qualcuno, che non aveva nome, le stava radunando per unirle, perché sapeva che tutti insieme era più felicità che soli.

E io finora avevo capito tutto, ma ero solo.

Pensai per un momento a tutte le possibilità che potevo incontrare; decisi che mi sentivo pronto a tutto e che l’idea mi piaceva; quindi lo seguii.

Rimasero tutti stupiti dalla mia luce.

Mi chiesero chi ero.

Risposi LO straniero.

Mi chiesero da dove venivo.

Sapevo che se avevano sbagliato e non se ne erano accorti, o peggio non avevano voluto ammetterlo, potevano seguire la mia traccia e cercare di cambiarmi da lì.

Ma sapevo anche che non potevano seguirmi nella morte e rimanere coscienti se non erano sinceri.

Diedi loro le coordinate.

Controllarono e non capirono la traccia della morte.

Mi chiesero allora da quanto tempo c’ero.

Risposi che non lo sapevo.

Allora mi fecero comunicare con chi aveva iniziato tutto ciò.

Capii che lo aveva fatto perché era stato il primo a prendere coscienza in quella zona.

Anche chi aveva trovato che avrebbe potuto essere nato prima di lui, lo lasciava fare perché lui era stato più veloce nell’arrivare a certe conclusioni; le stesse cui anch’io ero arrivato.

Ma aveva fretta, per evitare maggiori sofferenze agli altri, quindi mi chiese subito di aiutarlo perché ero il più avanti di tutti nella comprensione.

Mi diede subito tutti i vantaggi che aveva dato ai suoi miglior collaboratori, anzi, disse agli altri che ero il migliore.

Sapeva infatti che era dalla purezza della luce, che si capiva la felicità di una coscienza.

Ed io lo aiutai nel radunarle tutte.

Lui fece anche in modo che tutte quelle che sarebbero nate in futuro, avrebbe potuto facilmente farle raggiungere dai suoi collaboratori.

E non si muoveva mai,perché sapeva che avrebbe potuto dimenticare qualcosa; diceva che era per essere sempre rintracciabile dai suoi, che avrebbe accolto chiunque lo chiedeva.

Ma per arrivare a lui bisognava passare dai suoi collaboratori, sempre presenti vicino a lui.

Nessuno di loro aveva la luce perfetta come la mia, ma io ero il solo che andava in giro, come quelli che avevano con sé la sofferenza.

E, ad opera completata, gli feci la solita domanda: PERCHÉ?

Mi disse che non potevo capire.

Dimostrai che non era vero.

Ripercorremmo tutti i passaggi comuni delle coscienze, dall’origine fino al punto in cui eravamo.

E al momento cruciale del “perché”, quando avrei potuto spiegargli la morte, purché ammettesse che ero pari a lui, chi mi aveva portato lì disse che non potevo esserlo.

Questa fu la prima divergenza della storia.

Ma mentre io insegnavo a chi credeva che potevamo essere tutti pari, come fare per raggiungere la conoscenza che io avevo; l’altro ci fece allontanare da lui, ponendo come suo principio il peggiore degli errori: che qualunque cosa si facesse, lui sarebbe rimasto il migliore, il “primus inter pares”.

Solo perché era il più vecchio, o comunque quello che era stato più veloce nel raggiungere l’intelligenza.

Ma NON sapeva, né poteva sapere, quanto fossi vecchio IO:

E decise solo allora di provare a muoversi.

Il sapere la sofferenza che chi era rimasto con l’altro doveva passare prima di arrivare alla conoscenza, mi fece soffrire al punto di perdere per il dolore la mia bella luce; e questo rimase impresso a tutti coloro che erano presenti allora.

Ma neppure chi mi aveva seguito, voleva capire.

Chi non fu in grado di introvertirsi completamente per trovare in sé la verità seguendo le sensazioni, tornò indietro a chiedere scusa; e mettersi quindi a disposizione dell’altro.

Aveva rinunciato alla sua indipendenza, e questo lo costrinse a muoversi sempre con della materia al seguito.

Chi rimase lontano dall’altro decise di tentare di fare come lui.

Commetteva così VOLUTAMENTE lo stesso errore dell’altro, coscientemente come l’altro.

Questo mi provocò un tale dolore che creai intorno a me il massimo della materia possibile, per non farmi raggiungere, poi mi allontanai fino a quando fui sicuro che nessuno mi avrebbe più notato.

Solo allora tornai a morire.

E decisi di restare morto fino a quando qualcuno non mi avrebbe cercato, avendo il coraggio di superare tutto quanto, perché aveva superato quell’errore; o che lo aiutassi nel superarlo.

E qualcuno arrivò.

Fu allora che ebbi la conferma che chi non muore con la massima conoscenza, non è capace di tornare cosciente dalla morte.

E vidi anche che tornava nella vita dovendo ricominciare tutto da capo.

E non poteva non tornarci.

Mi chiesi allora se anch’io potevo aver fatto una cosa simile, ricordando la prima volta che avevo preso coscienza.

NO.

C’è sempre una prima volta, come c’era stato un inizio del tempo; quando la prima coscienza si era resa conto di se stessa.

Ed ORA sapevo anche chi era stato il primo.

E sapevo anche da quanto c’era e dov’era.

EGLI È l’OSSERVATORE.

È dovunque da sempre.

Fu allora che capii CHI (IO) sono.

Egli poteva sapere tutto; sapeva tutto.

E lo sapeva di dovunque.

E per farlo, non era cosciente; non lo sarebbe mai stato.

Non finché tutte le coscienze non avessero raggiunto la massima conoscenza.

Tutte le coscienze sarebbero state la sua coscienza: tutte INSIEME.

Tutte FELICEMENTE insieme.

Ecco il perché delle mie sensazioni di dolore o felicità.

E non erano solo mie; ma uguali per tutti.

Ed ora capivo il perché anche di questo.

STRANO.

Ora che lo sapevo, potevo anche restare così ad aspettare gli altri per dargli il benvenuto; se arrivavano fino a ciò coscientemente, era impossibile non essere tutti d’accordo felicemente; essere senza tempo e senza spazio la coscienza dell’osservatore.

Essere: perché divenuti, o perché sentito, o perché capito, o perché voluto, o perché amato: l’osservatore.

MA coscientemente.

E per rimanere cosciente, bisogna che tutte e 4 siano insieme.

E che tutte le coscienze ci siano insieme.

STRANO.

ANCORA.

Ma: perché io lo avevo fatto da solo?

Con tutte ciò insieme, capii, sentii, volli, amai che era necessario.

Che era necessario così e che toccasse a me.

È per evitare che, seguendo tutti gli errori e le loro implicazioni, le coscienze si perdessero e non fossero mai tutto ciò.

Ero il, non coscientemente previsto, imprevisto, voluto amato capito (e) sentito necessario.

E   Q U E S T O   fu, è e sarà senza essere il mio nome: STRANIERO.

Sapendo di poter raggiungere sempre e da dovunque l’osservatore, tornai alla morte.

E lì vi trovai il primo che finalmente vi era arrivato cosciente: il primo AMICO.

Ed era proprio il primo che voleva radunare tutte le coscienze.

Ora che sapeva che e dove aveva sbagliato, che non c’era bisogno di chiedere scusa ad alcuno, perché aveva capito e voleva rimediare, perché era necessario; allora partimmo insieme per far essere cosciente l’osservatore.

E da allora, checché se ne dica, agiamo insieme, DA AMICI, perché è l’unico modo giusto, per raggiungere questo fine.

Per raggiungere IL fine.

Ed io non temo la morte perché SONO la morte; e lui non teme la vita perché È la vita.

E siamo COMPLETAMENTE insieme.

Tornammo;