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numero
n.. 4 novembre 2003 – gennaio
2004 |
IL PROBLEMA DI FONDO DELLA POLITICA
ITALIANA
di Lando Mannucci
Dopo 56 anni dalla promulgazione della Costituzione della Repubblica
italiana penso valga la pena di rileggerla e di fare qualche
considerazione. Modesta s’intende, perché non ho titoli e qualifiche tali
da competere con coloro che invece le hanno o che credono di avere.
Recentemente il presidente della Repubblica ha proposto che ad ogni nuovo
cittadino italiano, proveniente da altri luoghi, sia offerta in omaggio
una copia della Costituzione, perché la legga e se n’avvalga per conoscere
quali sono i principi morali e sociali riconosciuti e stabiliti che gli
italiani si sono dati per convivere secondo giustizia ed equità. Mazzini
lo avrebbe chiamato «patto nazionale». Questa proposta sottintende che la
Costituzione non è fatta ad uso degli specialisti, ma di tutti i cittadini
(me compreso) che sappiano leggere e quindi essere informati dei propri
diritti e doveri, ed essere in diritto e in grado di fare qualche
osservazione, dopo l’esperienza dei 56 anni tutti trascorsi e vissuti da
adulti e da cittadini consapevoli.
Un’osservazione riguarda un problema che secondo me è uno dei problemi di
fondo per aspirare ad una democratica, corretta, armoniosa convivenza
della comunità nazionale. Il punto centrale è il modo ed il momento nel
quale si formulano e si approvano le leggi. L’istituto preposto è il
Parlamento dove, sulla base della Costituzione – cioè del patto nazionale
convenuto – il popolo, tramite i suoi rappresentanti democraticamente
eletti, si riunisce per discutere sulle necessità della nazione in
rapporto alle varie esigenze che sorgono nel paese e quindi legiferare. E’
lì, se sbaglio correggetemi, che prima d’ogni altro luogo, si esprime e si
risolve la “sovranità del popolo” di cui all’art. 1 della Costituzione.
Nel titolo I dei “rapporti civili”, all’art.18, è stabilito il diritto di
libera associazione per fini non vietati ai singoli dalla legge penale e
nel Titolo IV dei “rapporti politici”, si stabilisce che tutti i cittadini
sono elettori ed hanno diritto, non obbligo, “di associarsi liberamente in
partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale” (art.49). Si possono stabilire limitazioni al diritto di
iscriversi ai partiti per alcune categorie di pubblici impiegati i quali,
per altro, “sono al servizio esclusivo della Nazione” (art.98), concetto
che dovrebbe bastare di per se a garantire onestà di funzionario pubblico.
Questo è tutto quel che sui partiti c’è nella Costituzione. Si può
aggiungere che non si è addivenuto al criterio del loro riconoscimento
dello stato giuridico (quel che con altre parole viene anche chiamato
“ente morale”) con le non futili conseguenze d’ordine pratico, ma anche
concettuale.
L’idea di associarsi in partiti fu una conseguenza degli ideali e delle
esperienze maturati con la rivoluzione francese. In Italia i partiti
politici veri e propri sorsero, ovviamente con lenta evoluzione, nel XX
secolo intorno ad ideali di carattere sociale e politico, elaborati e
propagandati per creare una cultura politica diffusa nel popolo e
razionalmente tradotta in azioni pratiche per l’applicazione alla vita
della Comunità. Gli ideali si trovarono a confrontarsi con la realtà
pratica della vita pubblica e nacque la tendenza dei partiti ad assumere
struttura oligarchica che non è, mi sembra, una virtù in assoluto.
Storicamente si era cominciato con l’aristocrazia come “governo dei
migliori”, poi l’oligarchia in quanto “governo dei pochi” che coincide
spesso col “governo dei ricchi”. Nei partiti politici la struttura
oligarchica, anche in democrazia, dipende da una necessità organica di
funzionamento. Ne consegue tuttavia che in ciascun partito il potere sia
nelle teste e nelle mani di pochi, magari anche illuminati e di buona
volontà, tendenti a divenire professionisti della politica. In democrazia
si adottano correttivi di bilanciamento dei poteri esistenti nella stessa
struttura organica dei partiti, al fine di ottenere la più ampia possibile
partecipazione alla formulazione di principi e idee da proporre e
perseguire, limitando il potere del gruppo dirigente.
Nella realtà attuale italiana i partiti non nascono più intorno ad ideali,
ma intorno ad una persona o ad un gruppo di pressione (che sarebbe una
lobby; se non lo dici in inglese nessuno ti considera). Assumono anche
nomi fantasiosi e carini che non riporto, tanto li conoscete. Un difetto
italiano dovuto probabilmente all’eccesso di individualismo, o a qualcosa
di peggio, è che nell’istituto parlamentare che si vorrebbe bipolare –
destra o sinistra, conservatori o progressisti – in effetti, in ognuno dei
due poli convivono, malamente, più partiti che hanno, o dovrebbero avere,
una sola grande ideologia di fondo per realizzare la grande ed unica
finalità politica (ovviamente morale, altrimenti non è politica) affidata
al Parlamento cioè quella dell’interesse della nazione, non di una parte
di essa. Invece si tende a far prevalere il proprio gruppo ristretto, per
interessi ristretti, quando non addirittura personali. Si potrebbe anche
costituire un terzo polo, diciamo di centro, per accontentare gli
incontentabili.
Secondo un’osservazione di Jürgen Habermas, esistono anche, e non solo in
Italia, «partiti integrativi di superficie» che non hanno lo scopo di
attivare le masse in base a interessi sociali, ma di mobilitarle di quando
in quando a soli fini elettorali. E’ anche accaduto che i partiti
rivoluzionari, nelle scorrere delle vicende della storia, anche quelle
drammatiche, e nel cammino del pensiero abbiano compiuto deviazioni,
negative o positive, dai loro fini primitivi, una specie di
imborghesimento o di adattamento alla nuova realtà sociale.
A questo punto vi prego di rileggere il dimenticato art.67 della
Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”
Tradotto in parole povere vuol affermare che i partiti non possono
vincolare i parlamentari da loro presentati o facenti parte di un “gruppo
parlamentare”. Essi dipendono cioè solo dalla propria coscienza se essa
non può accettare in tutto o in parte quel che stabilisce (o ordinasse)
l’oligarchia di partito.
E’ qui che sta, a parere di un cittadino della strada, il problema di
fondo della vita politica italiana: restituire la coscienza personale a
tutti coloro che fanno politica, nelle istituzioni o fuori di esse, ed in
particolare di coloro che fanno parte del parlamento eletti dal popolo,
non tanto o non solo perché proposti da un partito del quale si
condividono gli indirizzi generali. Richiamare ciascuno al senso della
responsabilità morale ed intellettuale personale, senza presunzione
alcuna, ma per una questione di coscienza, di dignità di persona e di
cittadino, per sentirsi davvero libero ed in accordo con la propria
coscienza che è lì, con te, quando stai per mettere il tuo voto nell’urna
o stai per premere il dito sul tuo bottone (non su quello del vicino da
scappatella di scolaretto), nel voto automatico o come si chiama.
Non sono i partiti che votano le leggi, sono i parlamentari eletti dal
popolo. Non è la maggioranza che governa, è il Parlamento. Quel che
chiamiamo “Governo” secondo il titolo III della Costituzione è soltanto
l’Esecutivo, tanto è vero che deve avere la fiducia delle due Camere.
Conclusione: l’art. 67 limita il potere delle oligarchie di partito,
controllate dalla coscienza vigile dei singoli deputati e senatori. E’ uno
di quei contrappesi che distinguono le democrazie.
SI SEGNALANO
QUESTI ARTICOLI
n.. 4 novembre 2003 – gennaio 2004
Lando MANNUCCI, Il problema di fondo della politica italiana
[Riflessione sull’art. 67 della Costituzione italiana]
Anna RUGHETTI, Un viaggio nella memoria
Gianfranco PARIS, L’8 settembre della Divisione Garibaldi in Montenegro
[Impressioni sul viaggio-pellegrinaggio in Montenegro]
Luciano LUCIANI, La passione del vero di Nino Costa
[Profilo biografico dell’artista garibaldino Nino Costa]
Antonello NAVE, Giovanni Battista Tassara, uno scultore fra i Mille
[La vicenda umana ed artistica dello scultore genovese maturata durante la
Spedizione dei Mille]
Giovanni ZANNINI, Adamo Ferraris, medico e garibaldino
[La figura del garibaldino Adamo Ferraris tratteggiata dal suo biografo]
Diario storico della Divisione “Venezia” a cura del Ten. Col. Ezio
Stuparelli
[Quinta parte dei diari storici delle divisioni “Venezia” e “Taurinense”
operanti in Jugoslavia dopo l’8 settembre 1943 unite poi nella divisione
italiana partigiana “Garibaldi” ]
Salvatore PICCOLI, Giosafatte Talarico, brigante mandato dai Borboni ad
uccidere Garibaldi
[Curiosità su aspetti della vita di un brigante rimasto affascinato
dall’Eroe]
Annita GARIBALDI JALLET, Il centenario della morte di Menotti Garibaldi
[Dal convegno di Aprilia il ritratto a tutto tondo di Menotti Garibaldi,
primogenito di Anita e Giuseppe, nelle relazioni di Zeffiro Ciuffoletti e
Mario Di Napoli]
Sergio GORETTI, Norberto Bobbio, Nuto Revelli
[Scheda su due protagonisti della cultura italiana del Novecento
recentemente scomparsi]
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