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Silvio Mix (1900-27)
L’Angoscia delle Macchine, commenti sinfonici per la
Sintesi tragica di Ruggero Vasari
(1926)
a cura di Stefano Bianchi

Silvio Mix (caricatura di Giacomo Balla, 1926)

CD: La Musica delle Macchine
Ghedini, Malipiero, Mix, Scelsi, Cristiano,1999
Registrazione effettuata in occasione del concerto per l'inaugurazione della mostra "Torino all'alba della Fiat" a cura del Centro Studi Musicali "Carlo Mosso" di Torino
Archivio storico AMMA

Silvio Mix






La breve carriera del musicista futurista Silvio Mix (Micks, giusta la grafia originaria del cognome), nato a Trieste il 31 dicembre 1900 da una famiglia di origini ungheresi ma di cultura e sentimenti italiani, prende le mosse da Firenze, città nella quale i Mix si trasferiscono alla vigilia della prima guerra mondiale. Qui, a guerra finita, il diciannovenne Mix dà le sue prime prove pubbliche di musicista. Frequenta gli ambienti futuristi e si esibisce in improvvisazioni pianistiche in occasione delle mostre di alcuni pittori futuristi. "Arruolato" da Marinetti, partecipa come compositore e direttore d’orchestra alla tournée italiana del Nuovo Teatro Futurista. Nel settembre del 1924 prende parte, a Milano, al Primo Congresso Nazionale Futurista. L’intervento di Mix apparirà due anni più tardi, tra agosto e settembre 1926, in tre articoli sulle colonne del quotidiano romano «L’Impero», di cui il musicista era all’epoca critico musicale. Tanto in sede teorica quanto compositiva, Silvio Mix condivide con l’estetica futurista l’accentuato interesse per la dimensione eminentemente ritmica della musica. L’ossessività ritmica posta a fondamento della composizione assume valenze più marcatamente futuriste nel momento in cui si presenta come mimesi degli affannosi tempi moderni iper-meccanizzati e industrializzati. Ma la musica delle macchine diviene tale, a pieno titolo, soprattutto quando entra in relazione con la componente visivo-rappresentativa. Di qui la grande fortuna dei balletti «meccanici», che hanno come protagonisti automi, eliche e locomotive, e delle musiche di scena per drammi di tema macchinistico. Nella produzione sinfonica di Mix sono esemplari da questo punto di vista la partitura (perduta) per il balletto di Enrico Prampolini Psicologia di macchine e quella dei sette «Commenti sinfonici» per il dramma di Ruggero Vasari L’angoscia delle macchine. Concepito nel 1921 e terminato nel 1923, il dramma di Vasari era stato pubblicato nel 1925 (agosto) sulla rivista torinese «Teatro». Il mito della macchina, caro all’estetica futurista, è rivisitato in chiave dichiaratamente polemica: «Mentre da un lato esalto la macchina - scrive Vasari - dall’altro ne provo orrore! E perché? Perché la meccanizzazione uccide lo spirito» (lettera a G. Jannelli, 12 marzo 1931). Ambientato in un lontano «regno delle macchine», il dramma si presenta come un tragico apologo sui destini della società robotizzata: la macchina impazzisce e nella sua follia distruttiva travolge, in un’ultima catastrofe, il genere umano. L’importanza della musica di scena di Mix per la piena riuscita dello spettacolo è sottolineata dallo stesso Vasari. L’orchestra, di dimensioni ridotte, comprende sette strumenti a fiato (flauto, clarinetto, corno inglese, corno, tromba, trombone, basso tuba), percussioni, archi e pianoforte, quest’ultimo impiegato «come strumento di colore, non d’assieme». La «Pantomima e tregenda» (commento n. 5) si inserisce nel solco di quell’attitudine al balletto meccanico che negli anni Venti si configura come un’autentica moda: si pensi al Ballet méchanique di Ferdinand Léger con musica di George Antheil (1923), o al Triadisches Ballet di Oskar Schlemmer con musica di Paul Hindemith (1926). Ma novità anche maggiori presenta il n.6 («Pantomima II»), con l’impiego di due sirene collocate in punti diversi del palcoscenico (un precedente si trova nel Finale della Kammermusik n.1 di Hindemith, 1921, mentre di poco successivo è l’uso della sirena in Ionisation di Edgar Varèse, 1930-31) e soprattutto con la comparsa, timida ma già coerente e calcolata, di forme di linguaggio «microtonale» (si noti, ad esempio, la scordatura «mezzo tono sotto» prescritta per metà dei violini e delle viole). Sono il segno di un’apertura europea, insolita nell’Italia del tempo, che trova riscontro nei tre citati articoli su «L’Impero» del ‘26, dove Mix rivendica a se stesso i primi esperimenti di sovrapposizione poliritmica e politonale e il trasferimento in musica della poetica delle «parole in libertà» di Marinetti, ipotizzando inoltre un «ampliamento dell’attuale sistema diatonico-cromatico mediante i quarti di tono, cioè raddoppiando il numero delle scale maggiori e minori, e arrivando così al policromatismo». Contempla anche l’uso di strumenti microtonali, prescrivendo un’accordatura differenziata per quarti di tono, e conclude : «questo è, dirò così, il «sistema» del quale mi sono valso per la composizione di alcune parti dei commenti sinfonici per l’Angoscia delle macchine di Ruggero Vasari». Partito per Parigi nel dicembre 1926, Mix avrebbe qui dovuto partecipare alle rappresentazioni del Teatro della Pantomima Futurista di Prampolini e Maria Ricotti, nonché presiedere all’esecuzione delle sue musiche per il dramma di Vasari. Una misteriosa malattia lo costringe tuttavia ad un precipitoso rientro in patria. Il viaggio di ritorno alla volta di Firenze si interrompe all’ospedale di Gallarate, dove Mix muore poche ore più tardi. Nel programmato allestimento dell’Angoscia delle macchine al Teatro Art et Action di Parigi, verso la fine di aprile, i commenti sinfonici di Mix saranno così sostituiti da una «polifonia rumorista» di Eduard Autant. La riesumazione della partitura originale, che viene qui presentata in una revisione condotta sulle tre versioni manoscritte pervenuteci, getta nuova luce su una figura affascinante di musicista e sulla componente musicale di una stagione della cultura italiana, in cui l’idea della macchina e le sue trasposizioni simboliche diventano ingrediente fondamentale nella definizione di una nuova norma poetica. Suddiviso in sette episodi, il «commento sinfonico» di Mix interviene in momenti preordinati della tragedia di Vasari, in stretta correlazione con gli eventi e i significati morali della vicenda. Luogo del dramma è un pianeta non identificato, dove Bacal, Singar e Tonchir sono i signori assoluti di una società di uomini «condannati alle macchine». Una macchina-cervello, collegata direttamente alla volontà dei dominatori, impartisce gli ordini ai sudditi, che li ricevono per mezzo di un’antenna sulla fronte. Dei tre tiranni, Tonchir è l’inventore; egli ha appena costruito una nuova macchina allo scopo di aumentare la produttività degli uomini meccanizzati. Ma è tormentato dal dubbio. L’arrivo delle donne, esiliate su un altro pianeta in quanto residuo di un’umanità debole e sconfitta, rende più torbido il dramma che rapidamente evolve verso la catastrofe. Il brano n.1 («Prefonia»: Alquanto lento e incolore), prelude alla scena iniziale; alle ultime battute si alza il sipario, rivelando l’interno di una cabina radiotelegrafica della centrale aerea. Un uomo, al tavolino, improvvisamente si alza e resta in ascolto della musica, esclamando stupito: «Questa notte l’aria vibra di rumori strani [...] Lontano una nube di avvoltoi scudiscia l’aria con stridule risate». Il n.2 («Commento I») si riferisce all’arrivo dell’ambasciatrice delle donne, le quali vorrebbero diventare le compagne degli uomini. Bacal rifiuta le profferte con veemenza e dà alla donna una prova di forza distruggendo l’aeroflotta. La musica, da eseguirsi «con energia» e «ben ritmata», commenta la scena della distruzione: i violini attaccano in tessitura altissima, con sordina ma fortissimo, mentre le ottave spezzate del pianoforte, in rapida ribattuta e in crescendo, rispondono a un effetto di «colore». Il n.3 («Interludio») introduce l’atto II, ambientato nel laboratorio di Tonchir. Come in altri lavori di Mix, la musica si spezza in una dilatazione violenta dello spazio dinamico, con la contrapposizione secca di pianissimo e fortissimo. All’improvviso l’andamento in 4/4 si interrompe per un martellante 5/4, fff e «rallentando», che segna la climax del brano («col massimo fragore», «sforzatissimo e secco»). Poi una pausa ci riporta al «pianissimo e cupo» di un Molto lento e misterioso, dove è prescritto agli ottoni di «soffiare nello strumento senza levare il suono». Al tacere della musica si assiste ai dubbi e alle angosce di Tonchir, artefice di un mondo meccanizzato del quale non vede più i benefici. Nella sua mente si affollano i rimorsi, fino all’apparizione di tre ombre, ricordo allucinato di una condizione umana ormai perduta. Il n.4 («Commento II») è di una brevità aforistica: cinque battute soltanto, a note lunghe (Calmissimo e metafisico), che accompagnano il rialzarsi di Tonchir, trasognato e smarrito. Il n.5 («Pantomima e tregenda») apre l’atto III con la danza dei condannati alle macchine: con gesti da automi, ora lenti ora rapidi, gli uomini-macchina si muovono in ogni direzione. È il culmine tragico della vicenda, il nucleo in cui si addensano i significati del dramma: è la perdita dell’ultima parvenza umana, l’estremo stadio dell’alienazione. Tonchir riconosce la propria sconfitta e si allontana. Allora, la macchina stride, manda scintille, poi «comincia a dare segni di follia. Vampe multicolori. Fili che s’arroventano e si fondono. Gorgoglìi. Stridori. Scricchiolìi. Crepitìi. Rantoli». Tonchir muore mentre attacca il commento n.6 («Pantomima II»): note sincopate, insistite nelle diverse famiglie strumentali, suggeriscono la monotona meccanicità dei condannati (Tragicamente sostenuto). Al culmine del parossismo allucinato l’orchestra si ferma su una lunga corona; solo il tamburo procede, sottolineando le urla di Bacal che inutilmente si getta sulla macchina impazzita nel tentativo di arrestarla. A questo punto partono le sirene, che continuano fortissimo per tutta la durata dell’ultimo commento («Finale»). Le macchine cominciano «ad intonare con le sirene un canto angoscioso, lugubre, straziante». La musica trascorre dall’iniziale Agitato al rallentando assai, sino a un Largamente e grandioso, fortissimo, «sforzatissimo»: la macchina ha vinto.

Stefano Bianchi, Trieste

 
 
 
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