La breve carriera del musicista futurista Silvio Mix (Micks, giusta
la grafia originaria del cognome), nato a Trieste il 31 dicembre
1900 da una famiglia di origini ungheresi ma di cultura e sentimenti
italiani, prende le mosse da Firenze, città nella quale i Mix si
trasferiscono alla vigilia della prima guerra mondiale. Qui, a guerra
finita, il diciannovenne Mix dà le sue prime prove pubbliche di
musicista. Frequenta gli ambienti futuristi e si esibisce in improvvisazioni
pianistiche in occasione delle mostre di alcuni pittori futuristi.
"Arruolato" da Marinetti, partecipa come compositore e direttore
d’orchestra alla tournée italiana del Nuovo Teatro Futurista. Nel
settembre del 1924 prende parte, a Milano, al Primo Congresso Nazionale
Futurista. L’intervento di Mix apparirà due anni più tardi, tra
agosto e settembre 1926, in tre articoli sulle colonne del quotidiano
romano «L’Impero», di cui il musicista era all’epoca critico musicale.
Tanto in sede teorica quanto compositiva, Silvio Mix condivide con
l’estetica futurista l’accentuato interesse per la dimensione eminentemente
ritmica della musica. L’ossessività ritmica posta a fondamento della
composizione assume valenze più marcatamente futuriste nel momento
in cui si presenta come mimesi degli affannosi tempi moderni iper-meccanizzati
e industrializzati. Ma la musica delle macchine diviene tale, a
pieno titolo, soprattutto quando entra in relazione con la componente
visivo-rappresentativa. Di qui la grande fortuna dei balletti «meccanici»,
che hanno come protagonisti automi, eliche e locomotive, e delle
musiche di scena per drammi di tema macchinistico. Nella produzione
sinfonica di Mix sono esemplari da questo punto di vista la partitura
(perduta) per il balletto di Enrico Prampolini Psicologia di macchine
e quella dei sette «Commenti sinfonici» per il dramma di Ruggero
Vasari L’angoscia delle macchine. Concepito nel 1921 e terminato
nel 1923, il dramma di Vasari era stato pubblicato nel 1925 (agosto)
sulla rivista torinese «Teatro». Il mito della macchina, caro all’estetica
futurista, è rivisitato in chiave dichiaratamente polemica: «Mentre
da un lato esalto la macchina - scrive Vasari - dall’altro ne provo
orrore! E perché? Perché la meccanizzazione uccide lo spirito» (lettera
a G. Jannelli, 12 marzo 1931). Ambientato in un lontano «regno delle
macchine», il dramma si presenta come un tragico apologo sui destini
della società robotizzata: la macchina impazzisce e nella sua follia
distruttiva travolge, in un’ultima catastrofe, il genere umano.
L’importanza della musica di scena di Mix per la piena riuscita
dello spettacolo è sottolineata dallo stesso Vasari. L’orchestra,
di dimensioni ridotte, comprende sette strumenti a fiato (flauto,
clarinetto, corno inglese, corno, tromba, trombone, basso tuba),
percussioni, archi e pianoforte, quest’ultimo impiegato «come strumento
di colore, non d’assieme». La «Pantomima e tregenda» (commento n.
5) si inserisce nel solco di quell’attitudine al balletto meccanico
che negli anni Venti si configura come un’autentica moda: si pensi
al Ballet méchanique di Ferdinand Léger con musica di George Antheil
(1923), o al Triadisches Ballet di Oskar Schlemmer con musica di
Paul Hindemith (1926). Ma novità anche maggiori presenta il n.6
(«Pantomima II»), con l’impiego di due sirene collocate in punti
diversi del palcoscenico (un precedente si trova nel Finale della
Kammermusik n.1 di Hindemith, 1921, mentre di poco successivo è
l’uso della sirena in Ionisation di Edgar Varèse, 1930-31) e soprattutto
con la comparsa, timida ma già coerente e calcolata, di forme di
linguaggio «microtonale» (si noti, ad esempio, la scordatura «mezzo
tono sotto» prescritta per metà dei violini e delle viole). Sono
il segno di un’apertura europea, insolita nell’Italia del tempo,
che trova riscontro nei tre citati articoli su «L’Impero» del ‘26,
dove Mix rivendica a se stesso i primi esperimenti di sovrapposizione
poliritmica e politonale e il trasferimento in musica della poetica
delle «parole in libertà» di Marinetti, ipotizzando inoltre un «ampliamento
dell’attuale sistema diatonico-cromatico mediante i quarti di tono,
cioè raddoppiando il numero delle scale maggiori e minori, e arrivando
così al policromatismo». Contempla anche l’uso di strumenti microtonali,
prescrivendo un’accordatura differenziata per quarti di tono, e
conclude : «questo è, dirò così, il «sistema» del quale mi sono
valso per la composizione di alcune parti dei commenti sinfonici
per l’Angoscia delle macchine di Ruggero Vasari». Partito per Parigi
nel dicembre 1926, Mix avrebbe qui dovuto partecipare alle rappresentazioni
del Teatro della Pantomima Futurista di Prampolini e Maria Ricotti,
nonché presiedere all’esecuzione delle sue musiche per il dramma
di Vasari. Una misteriosa malattia lo costringe tuttavia ad un precipitoso
rientro in patria. Il viaggio di ritorno alla volta di Firenze si
interrompe all’ospedale di Gallarate, dove Mix muore poche ore più
tardi. Nel programmato allestimento dell’Angoscia delle macchine
al Teatro Art et Action di Parigi, verso la fine di aprile, i commenti
sinfonici di Mix saranno così sostituiti da una «polifonia rumorista»
di Eduard Autant. La riesumazione della partitura originale, che
viene qui presentata in una revisione condotta sulle tre versioni
manoscritte pervenuteci, getta nuova luce su una figura affascinante
di musicista e sulla componente musicale di una stagione della cultura
italiana, in cui l’idea della macchina e le sue trasposizioni simboliche
diventano ingrediente fondamentale nella definizione di una nuova
norma poetica. Suddiviso in sette episodi, il «commento sinfonico»
di Mix interviene in momenti preordinati della tragedia di Vasari,
in stretta correlazione con gli eventi e i significati morali della
vicenda. Luogo del dramma è un pianeta non identificato, dove Bacal,
Singar e Tonchir sono i signori assoluti di una società di uomini
«condannati alle macchine». Una macchina-cervello, collegata direttamente
alla volontà dei dominatori, impartisce gli ordini ai sudditi, che
li ricevono per mezzo di un’antenna sulla fronte. Dei tre tiranni,
Tonchir è l’inventore; egli ha appena costruito una nuova macchina
allo scopo di aumentare la produttività degli uomini meccanizzati.
Ma è tormentato dal dubbio. L’arrivo delle donne, esiliate su un
altro pianeta in quanto residuo di un’umanità debole e sconfitta,
rende più torbido il dramma che rapidamente evolve verso la catastrofe.
Il brano n.1 («Prefonia»: Alquanto lento e incolore), prelude alla
scena iniziale; alle ultime battute si alza il sipario, rivelando
l’interno di una cabina radiotelegrafica della centrale aerea. Un
uomo, al tavolino, improvvisamente si alza e resta in ascolto della
musica, esclamando stupito: «Questa notte l’aria vibra di rumori
strani [...] Lontano una nube di avvoltoi scudiscia l’aria con stridule
risate». Il n.2 («Commento I») si riferisce all’arrivo dell’ambasciatrice
delle donne, le quali vorrebbero diventare le compagne degli uomini.
Bacal rifiuta le profferte con veemenza e dà alla donna una prova
di forza distruggendo l’aeroflotta. La musica, da eseguirsi «con
energia» e «ben ritmata», commenta la scena della distruzione: i
violini attaccano in tessitura altissima, con sordina ma fortissimo,
mentre le ottave spezzate del pianoforte, in rapida ribattuta e
in crescendo, rispondono a un effetto di «colore». Il n.3 («Interludio»)
introduce l’atto II, ambientato nel laboratorio di Tonchir. Come
in altri lavori di Mix, la musica si spezza in una dilatazione violenta
dello spazio dinamico, con la contrapposizione secca di pianissimo
e fortissimo. All’improvviso l’andamento in 4/4 si interrompe per
un martellante 5/4, fff e «rallentando», che segna la climax del
brano («col massimo fragore», «sforzatissimo e secco»). Poi una
pausa ci riporta al «pianissimo e cupo» di un Molto lento e misterioso,
dove è prescritto agli ottoni di «soffiare nello strumento senza
levare il suono». Al tacere della musica si assiste ai dubbi e alle
angosce di Tonchir, artefice di un mondo meccanizzato del quale
non vede più i benefici. Nella sua mente si affollano i rimorsi,
fino all’apparizione di tre ombre, ricordo allucinato di una condizione
umana ormai perduta. Il n.4 («Commento II») è di una brevità aforistica:
cinque battute soltanto, a note lunghe (Calmissimo e metafisico),
che accompagnano il rialzarsi di Tonchir, trasognato e smarrito.
Il n.5 («Pantomima e tregenda») apre l’atto III con la danza dei
condannati alle macchine: con gesti da automi, ora lenti ora rapidi,
gli uomini-macchina si muovono in ogni direzione. È il culmine tragico
della vicenda, il nucleo in cui si addensano i significati del dramma:
è la perdita dell’ultima parvenza umana, l’estremo stadio dell’alienazione.
Tonchir riconosce la propria sconfitta e si allontana. Allora, la
macchina stride, manda scintille, poi «comincia a dare segni di
follia. Vampe multicolori. Fili che s’arroventano e si fondono.
Gorgoglìi. Stridori. Scricchiolìi. Crepitìi. Rantoli». Tonchir muore
mentre attacca il commento n.6 («Pantomima II»): note sincopate,
insistite nelle diverse famiglie strumentali, suggeriscono la monotona
meccanicità dei condannati (Tragicamente sostenuto). Al culmine
del parossismo allucinato l’orchestra si ferma su una lunga corona;
solo il tamburo procede, sottolineando le urla di Bacal che inutilmente
si getta sulla macchina impazzita nel tentativo di arrestarla. A
questo punto partono le sirene, che continuano fortissimo per tutta
la durata dell’ultimo commento («Finale»). Le macchine cominciano
«ad intonare con le sirene un canto angoscioso, lugubre, straziante».
La musica trascorre dall’iniziale Agitato al rallentando assai,
sino a un Largamente e grandioso, fortissimo, «sforzatissimo»: la
macchina ha vinto.
Stefano Bianchi, Trieste
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