La Sartilla

Felice Cherchi Paba, su quaderni storici e turistici d'Arborea, 1956

Pubblichiamo alcuni significativi stralci dal Volume "La Sartillia".

E' questo uno dei primi testi organici sulla Sartiglia, scritto con felice mano

e con autentica passione; ancora oggi vi si può cogliere l'antico spirito della Giostra.

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La tradizione vuole che, al fine di scongiurare durante il Carnevale le continue sanguinose risse che avvenivano fra arborensi e soldati aragonesi, che naturalmente erano circondati di odio da parte dei locali, pieni ancora di livore per la sconfitta subita e libertà perduta, per cui coglievano l'occasione del trambusto carnevalesco per accoltellare e stecchire i dominatori, un canonico istituisse un legato a favore del Gremio degli Agricoltori, per il mantenimento della Sartilla e sostenere le spese per il ricco cenone da imbandirsi ai Cavalieri partecipanti al giuoco.

In si fatto modo il sacerdote avrebbe pensato di creare un diversivo capace di strappare il popolo dalle bettole e dal vino, causa delle risse, e divertirlo senza spargimenti di sangue e funesti incidenti.

Piova o grandini, epidemie o guerre, i Gremi non devono sospendere la corsa della Sartilla pena per il Sodalizio di perdere, ove questa non venisse eseguita, i diritti al legato. Per tanto tutti gli anni, alle ore 14 esatte, il corteo mascherato, a cavallo, deve presentarsi dinanzi alla Cattedrale per dare inizio al tradizionale giuoco medioevale.

In anni di guerra e di pestilenze si presentò in piazza il solo Componidore per fare atto di presenza e salvare, così, il lascito.Come abbiamo già detto, la Sartilla, fu molto diffusa in periodo aragonese e ciò è dimostrato dalla terminologia schiettamente spagnola che, ancor oggi, è in uso per questa corsa che si praticava anche fuori di Oristano.

Il nome stesso di Sartilla o Sartillia è derivato dallo spagnolo Sortija che vuol dire "anello ".

Alla Sartilla è preposto come capo il Componidore, figura anche questa e vocabolo derivati dallo spagnolo Componedor che era il Capo, l'arbitro, della Sortija.

Fino a circa cinquant'anni fa nella Sartilla oristanese erano severamente osservate le antiche regole del giuoco che imponevano tassativamente, tra le tante, le seguenti condizioni:

1) l'altezza dell'anello veniva stabilita dal Componidore e non poteva essere corretta dai competitori. L'antica regola spagnola diceva: " este sortija pende de una cuerta o palo tres o cuatro varas de alto del suelo ". L'altezza era quindi prestabilita a tre o quattro "varas " misura antica aragonese da non confondersi con la "vara" asta o pica usata nel giuoco.

2) La direzione della corsa era assunta interamente dal Componidore al quale spettava, volta per volta, la designazione del cavaliere che doveva correre.

3)L'arma, inviata dal Componidore, doveva essere l'unica da usarsi durante il giuoco indistintamente da tutti i competitori; nessuno di essi poteva sostituirla, in quanto essa doveva essere di egual lunghezza, peso e impugnatura per tutti i competitori.Finita la corsa il Cavaliere, sempre al galoppo doveva riportare l'arma all'Aiutante di Campo.

4) Il Componidore non poteva far correre per due volte un cavaliere finché non avessero compiuto la prima corsa i rimanenti cavalieri.Il Componidore, stabilito il turno di corsa dei competitori non lo poteva più variare; non poteva anteporre o posporre questo a quel cavaliere nell'ordine e nella sequenza già stabilito per la prima corsa.Il Componidore di norma apriva la corsa con lo spadino e con la "vara", il cosidetto "stocco", e non correva più se non per salutare il pubblico a nome dei cavalieri - con la cosidetta " Cursa de sa Pippia de Maju " - corsa della Pupa di Maggio.

5) Ogni lamento doveva essere presentato a mezzo dell'Aiutante di Campo al Componidore, e in sua assenza, se impegnato nella corsa, al Vice Componidore.

6) il Componidore, sempre a cavallo, doveva disporsi in uno speciale recinto, a breve distanza dall'anello e assistere al passaggio d'ogni singolo cavaliere concorrente - onde giudicare sullo svolgimento della corsa - e intervenire al momento opportuno. Gli ordini venivano sempre impartiti avendo la spada sguainata.

7) L'anello, doveva essere infilato dalla spada o dalla lancia e recato sulla punta dell'arma per essere deposto ai piedi del cavallo del Conponidore; l'anello, anche se infilato, ma caduto nel proseguo della corsa, era considerato non imbroccato.

8) Nel caso di contestazioni e qualche cavaliere non si atteneva al giudizio inappellabile dei Componidore questi ordinava, a mezzo dell'Aiutante di Campo, al Miliziani di Servizio, l'estromissione dalla gara.

9) Era vietato, secondo le regole spagnole, recare vino in lizza o ai cavalieri presentarsi in condizioni di esaltazione alcoolica. A giudizio inappellabile del Componidore qualunque cavaliere poteva essere escluso dal giuoco, o per indecorosità, o per l'espressione della maschera che non poteva essere nè comica nè comunque scomposta, ma seria e dignitosa, o per litigiosità.

Il tempo ha apportato, su questa tradizionale corsa, sostanziali mutamenti, se non radicali certamente sensibili; e vien di chiederci se le antiche corse, pur facendosi di carnevale, obbligavano i cavalieri a mascherarsi.

Molti elementi depongono negativamente.

Anzitutto la maschera spoglia della sua personalità il cavaliere che entra in competizione, e lo priva dell'orgoglio della popolarità. Questo dicasi perché, fino a qualche decennio, era vietato ai cavalieri di togliersi la maschera fino a quando non fossero rientrati a casa. Anzi, per non farsi riconoscere, in genere, i cavalieri si facevano prestare, per l'occasione, pur possedendone di pregio e di sangue, il cavallo da amici di fuori, per mcdo che mancasse ogni indizio al loro riconoscimento.Tutto ciò depone contro la personalità del cavaliere che, in caso di vittoria restava sconosciuto, anonimo, il che feriva il suo personale orgoglio.Anche se nel medioevo si correva all'anello talvolta con la celata o l'elmetto, e quindi a viso coperto, l'onore, in caso di vittoria, andava allo stemma del casato per cui correva il cavaliere, rappresentato il casato dallo stemma dello scudo. L'onore della vittoria veniva quindi attribuito alla famiglia del vincitore, E questi sentiva appagato il suo amor proprio col trionfo dei suoi colori araldici secondo lo spirito dei tempi.

In un gioco eminentemente militare come la Sartilla, dove si saggia la perizia del cavallerizzo e dell'armigero, è proprio la personalità lo spirito di emulazione, che giuocano il loro ruolo psicologico, come molle che spingono cavalieri e cavalli a prove d'eccezione, il che contrasta con la anonimità con cui la maschera copre il competitore.

Propendiamo quindi a credere che, in origine e nei primi tempi giudicali e aragonesi, la Sartilla si corresse senza maschera, secondo le antiche regole militari e che in seguito, per le continue contestazioni, e il sorgere di odi e asti tra nobili cavalieri sardi e cavalieri di nobiltà aragonese, i Gremi organizzatori della Sartilla abbiano disposto di mascherare i competitori, onde mettere il Componidore nella condizione di applicare la regola del giuoco senza discriminazione essendo i cavalieri celati sotto l'anonimato della maschera.

Oltre che a certe regole del giuoco, s'è variato, oggi, anche il percorso della corsa che, anticamente, era pericolosissimo per la sua tortuosità.

Partiva da Porta Mari fino a Porta Manna attraversando per una lunghezza di circa 300 m. l'antica cittadella, insinuandosi tra strette vie, abbordando svolte a gomito, con un fondo stradale selciato e per tanto pericoloso per lo slittamento dei cavalli. Non bisogna dimenticare che si corre in febbraio con per fondo stradale, allora, un levigato selciato, sempre umido e untuoso.

Il percorso s'iniziava dall'attuale Piazza Mannu, voltava per Via Vittorio Emanuele, voltava ancora per Via Teatro S. Martino, per Piazza del Municipio per voltare e entrare nella cosidetta Via Dritta, in fondo alla quale si voltava ancora per infilare la Porta Manna dove doveva essere forse l'anello. I cavalieri rientravano in lizza girando a tergo dei bastioni di ponente e sotto il barbacane di sud per ritrovarsi a Porta Mari.

Verso il '700 fu variato il percorso, che è l'attuale, riducendo il pericolo delle curve a quella unica dell'attuale chiesa di S. Francesco.

La nomina del Componidore spettava, e ancora spetta, al Primo Majorale del Gremio che, riuniti i membri della Giunta, e udito il loro parere sulla persona cui affidare l'incarico, si recava, una volta avutane l'approvazione, dalla persona designata, unitamente alle più spiccate persone del Gremio stesso per formulargli l'invito e la preghiera d'accettare l'incarico.L'invito avveniva una o due settimane prima della Canderola onde consentire all'ufficiato il tempo di ricercare il cavallo adatto, apprestare la bardatura nonché compiere l'addestramento suo personale, trattandosi di una corsa impegnativa che richiedeva perizia e ardimento.

Il giorno della Canderola il Primo Majorale col Vice Majorale recava al Componidore, a nome del Gremio, una ricca candela con i nastri dei colori del Gremio e così per la Domenica delle Palme veniva, dal Gremio, portata al Componidore la Palma, riccamente intessuta e fiorita, con l'ulivo.

Fino a un trentennio fa il Componidore era prescelto generaImente fra nobili della città. E fra i cavalieri mascherati non furono rare le donne che Sotto il segreto della maschera parteciparono agonisticamente alla Sartilla.

Accettato l'incarico, il Componidore designava a sua volta il Vice Componidore e l'Aiutante di campo, e il Primo Majorale con i membri della Giunta si recavano dai designati a invitarli, anche a nome del Gremio.

Il Componidore ed il Vice Componidore diramavano, fra i nobili loro amici e parenti, segreti inviti per partecipare alla Sartilla, per cui convenivano, il giorno della Corsa, nobili e signori di Santulussurgiu, Seneghe, Paulilatino, Ghilarza, Sedilo, Solarussa, Milis, Busachi, Cabras, ecc. oltre ai nobili dellà città, per cui era una grandiosa rivista di superbi cavalli riccamente bardati e infiocchettati, e ricchi costumi di cavalieri i cui esercizi sugli impetuosi cavalli mettevano i brividi.

Non mancavano fatti ed episodi che il popolo ancora ricorda malgrado il corso dei secoli. Si racconta, ad esempio, che due nobili signori, uno aragonese e l'altro sardo chiedessero contemporaneamente, ad un nobile oristanese, la mano della sua bella figlia.

Date le ineccepibili condizioni morali e sociali, fisiche e culturali di entrambi, il nobile signore non seppe a chi, dei due, dare il consenso; per cui prese una singolare determinazione, comunicando ai pretendenti che la mano di sua figlia sarebbe stata concessa a cului che, fra i due, avrebbe alla Sartilla imbroccato, in maggior numero di volte, l'anello.

Altri fatti ed episodi si raccontano e sarebbe quindi fuori posto farne un elencazione. Basti ricordare che nel Carnevale del 1829 S. A. R. il Principe Eugenio di Carignano si entusiasmò della Sartilla alla quale in quell'anno parteciparono sessanta nobili cavalieri, Componidore il Marchese di Milis.

Il nome del Componidore, del Vice Componidore, e dell'Aiutante venivano tenuti in massimo segreto e nessuno, all'infuori degli invitati e dei cavalieri sapeva i loro nomi.

Il giorno della corsa alle ore 12 circa il Componidore si presentava in casa del Primo Majorale del Gremio ricevuto sulla soglia dai membri direttivi del Gremio.

Dopo essersi appartato in una stanza particolare e indossata la camicia ricamatissima del Componidore, infilati i calzoncini corti di rito di pelle scamosciata color miele e gli stivaloni che anticamente dovevano essere i "borzacchinos", pur essi di pelle, usciva nella sala d ingresso, dove era approntato un ampio tavolo cosparso di fiori e chicchi di grano.

Sul tavolo, circondato da scelte ragazze in costume, veniva, e tuttora viene ricoperto del rimanente abbigliamento, mentre si suonano le "launeddas" tra libazioni e motteti augurali.

Non staremo qui a descrivere dettagliatamente il costume del Componidore che ha subito nel corso dei secoli delle modifiche, diremo che esso e' attualmente il costume del '700 dell agricoltore del nostro Campidano e degli artigiani, con il coietto, ossia il giaccone di pelle scamosciata dello stesso colore dei calzoni arricchito da fermagli d'argento che lo chiudono, ai fianchi stretto da un largo Cinturone di pelle tenuto da una ricca fibbia d'argento.Il coietto, questa sorta di giacchettone, mette i mostra le maniche candide della camicia strette da nastri di seta rispettivamente di color bianco, rosso e azzurro: i colori della città d'Oristano e della Sardegna, d'Aragona e di Arborea creando così nelle maniche tre sbuffi che ricordano il costume del '600.

La maschera di legno viene assicurata, oltre che dai soliti legacci, da un colorato fazzoletto di seta che fascia l'orlo superiore della maschera e la fronte del cavaliere annodandosi dietro, sulla nuca.

Sulla testa vien posto quindi un velo bianco, ricamato di forma quadrata, ma piegato a triangolo, con le nocche più lunghe scendenti sul davanti e fermate sotto la maschera da un ricco fermaglio d'oro.

Su questo femmineo, vaporoso velo vien assicurato, sul capo, un lucido cappello a cilindro; la vestizione non è ancora completata: sul petto vien applicata una candida camelia con due foglie verdi.

Ora s'approssima il Primo Majorale e gli offre la spada che egli tocca con la destra, gesto che ha il simbolo di un giuramento , e una fanciulla gliela assicura al fianco.

Quest'ultimo rituale è stato oggi soppresso, ma lo ricorda un nobile oristanese, il Carta in una sua breve storia sulla città di Oristano.

Per ultimo venivano in passato, al Componidore, applicati gli speroni d'argento. La vestizione è ultimata.

Vien condotto entro sala il cavallo riccamente bardato, e approssimato al tavolo; il Componidore monta in sella. Dal tavolo monta e sul tavolo dovrà smontare a Sartilla ultimata; da quell'istante egli non potrà più mettere piede in terra e sarà per lui scorno, e cattivo auspicio per tutti, se verrà disarcionato o cadrà di sella per imperizia.

Gli viene subito consegnata la cosidetta Pippia de Maju (Pupa di Maggio) una sorta di scettro, lungo circa 40 cm. composto da un fascio di pervinca avvolto in una fettuccia di seta color viola , le estremità dello scettro sono ornate di due grossi, odoranti mazzi di viole mammole.

Ricevuta la "Pupa" fiorita, preannunzio della primavera, il Componidore segna nell'aria con la destra, un'ampia croce sulla famiglia del Primo Majorale, sugli astanti membri di Gremio e sulle ragazze che l'hanno vestito. E' un' attimo d'intensa commozione; gli occhi luccicano, qualcuno piange, le vecchie invocano la Madonna a protezione della sua vita.

Il Componidore si riversa subito dopo, supino, sulla groppa del cavallo e allunga le gambe sulle staffe guidando il cavallo verso l'uscita. E' questo un gesto simbolico a significare, così come escono i morti con le gambe in avanti dalle nostre case, di esser pronto a gettare la sua vita per il Gremio.

Innanzi alla porta s'è intanto radunata la folla e sono giunti tutti cavalieri partecipanti alla Sartilla.

Superata la soglia, il Componidore si erge nuovamente sulla sella e, fermo dinanzi all'uscio, segna col suo scettro fiorito tre croci per l'aria,- una alla destra, una al centro l'altro alla sinistra della folla; esplodon gli applausi e si lanciano benedizioni e invocazioni a Dio e alla Vergine per la sua incolumità. Si odono nitriti di cavalli, rullio di tamburi, invocazioni e saluti, scandire di argentine sonagliere: tutto un ribollire di vita e di colori.

Mai folklore sardo ha raggiunto così alta sinfonia cromatica!

Il corteo si dispone per raggiungere il Duomo; alla destra del Componidore si colloca il Vice Componidore, alla sinistra l'Aiutante d Campo.

Sei tamburini appiedati aprono col loro rullare il corteo e dietro ad essi viene la bandiera del Sodalizio, sormontata da un grosso fascio di spighe e ornata di decine e decire di variopinti nastri di seta che al vento e al sole annunziano con gaiezza il policromo corteo.

Dietro la bandiera viene il Primo Majorale, con al fianco il Vice Majorale e altri membri del Gremio che recano le spade, lo "stocco", una sorta di asta, e la stella.

Dietro il Primo majorale incede imponente sul suo cavallo brioso il Componidore con il suo seguito partecipante alla Sartilla, in genere trenta o quaranta, si contarono persino sessanta settanta cavalli tutti riccamente bardati, strigliati e lucidi, ricoperti di argentine sonagliere e di multicolori coccarde, nastri, fiocchi di seta con sottoselle variopinte, capolavori dei nostri antichi telai rustici.

Fatto rimarchevole le code dei cavalli vengono raccolte e legate all'uso italico e non spagnolo.

E questo può essere un seppure modesto ricordo della Sartilla dell'epoca pisana.

Alle ore 16 generalmente il corteo raggiunge la piazza del Duomo, e si da' inizio alle corse.

Il Padre Vittorio Angius , scrittore dell'800, e che intorno al 1835 visitò Oristano, così descrisse la Sartilla Oristanese :

"La Sartilla o Giostra chiamasi il giuoco dell anello che si costuma in Oristano la Domenica e il Martedi di Carnevale.Il capo di siffatto torneo veste il coietto, calzoni corti di pelle, stivali ed ha un fazzoletto sotto il cappello e una maschera di legno verniciata di verde nella domenica e color scuro il martedì'. Il luogo dello spettacolo è presso la cattedrale, ed ivi in mezzo al popolo muovono al galoppo da una parte il capo, dall'altra il Sotto capo della corsa scontrandosi sotto la corda che ha pendente la stella o l'anello nel quale si deve imbroccare, incrociando le spade.Dopo questo primo atto i torneanti uno dopo l'altro, spronando alla corsa i destrieri tentano infilzar l'anello, quindi lasciata la spada prendono la lancia e ripetono la prova."

Da quanto ha lasciato scritto l'Angius si desume che, come abbiamo già osservato, oltre al giuoco dell'anello si praticasse ancora una parvenza di giostra con l'incrocio delle spade, eseguito con i cavalli lanciati a spron battuto anziché a passo, come oggi avviene, con una specie di pantomima che sa troppo di carnevalesco!

E' anche questo, un esercizio che bisognerà rimettere in uso anche perché, oltre che bello, deve ricordare l'originaria giostra che precedeva il giuoco dell'anello.

La questione del colore della maschera, verde la domenica e oscura il martedì, ci fa pensare a colori rappresentativi dei Gremi concorrenti alla Sartilla. Il colore nella maschera forse aveva un simbolo, riferito o al colore nobiliare del Componidore o al colore del Gremio. E' questo un punto che ci ha posto dinanzi a molte perplessità e induzioni.

Attualmente la maschera è di legno, ha un colore carneo, con una vis quasi femminea, seria, composta e viva al contempo, e tutte le maschere dei cavalieri, che anticamente erano di cera, avevano una stretta somiglianza con quella del Componidore.

Mai è stata usata la mezza maschera come qualche cavaliere, in questi ultimi anni ha voluto innovare. Esempio che dovrebbe essere stroncato.

I costumi dei partecipanti alla Corsa, nel passato, dovevano essere gli sfarzosi e ricchi costumi della Spagna nobile e cavalleresca fra i quali si mischiavano i non meno cromatici costumi del popolo delle diverse contrade dell'isola.

Di come ci informa l'Angius la maschera del Componidore ha subito, in un secolo, la sua piccola variante: al posto del fazzoletto, sul capo v'è oggi il velo e al posto del cappello il cilindro, con l'andar degli anni il Componidore ha subito, nell'abito, l'influsso sociale e dell'elemento che l'ha impersonato.

Inizialmente vestito da un agricoltore o da un artigiano, il suo abito è andato, per seguire forse la galanteria, a ricoprire le spalle del nobile signore che, a mezzo '800, ha lasciato sulla verde maschera il suo cilindro e sul petto del coietto, il carnoso, bianco fiore senza profumo, simboli prediletti dell'età romantica dei Duval e delle languide Margherite, Signore delle Camelie.

Oggi la candida camicia ricamata di lino del Componidore più non profuma di spigonardo come un giorno, ma di ircici acrori, calidi di volgarità.

Ciononostante quella del Componidore è una bellissima maschera, dove, in superba, elegante armonia, sono amalgamate e rappresentate tutte le epoche e tutte le fasce sociali del nostro popolo; la gentilezza femminea è data dal suo velo, la, gaia ruralità del suo coietto,così come, allo stesso tempo, rappresenta col cilindro la nobiltà e il rurale mietitore col giaccone di pelle; l'uomo dei campi di pace e l'uomo dei campi di battaglia; la stirpe romantica e la gente cavalleresca di questa guerriera città giudicale.

Veniamo alla Corsa, ove gli ultimi cavalieri entrano in lizza a misurarsi coi precedenti competitori che finora non hanno ancora imbroccato; la folla reclama, rumoreggia: vuole da essi la prova di perizia.

L'Aiutante di Battaglia reca la spada a un cavaliere in costume di Oliena, dal corsetto di fiamma, dall'ampie braghe di lino candido, dagli azzurri e vermigli sgargianti del costume sfarzoso; cavalca un focoso grigio pomellato, dai garretti asciutti e dalle gambe nervose, i cui zoccoli raspano incessantemente il terreno.

Il cavaliere saluta il Componidore e parte al trotto all'estremo limite della lizza; scompare tra la folla che l'applaude. Poco dopo uno squillo e il rullio dei tamburi annunziano la sua partenza. Si ode lontano la folla urlante e la sonagliera, ecco appare, s'avvicina, il cavallo è lanciato a tutta carriera, con le froge dilatate: gli zoccoli sprizzano scintille sul nero selciato; il cavaliere trascina lo stame variopinto di centinaia di stelle filanti che gli hanno lanciato al volo dai marciapiedi assiepati di gente e dai balconi stipati; è superbo e bellissimo. S'avvicina all'anello; col braccio destro teso stringe la spada diritta e luccicante; mira, si sposta appena, s'approssima: un urlo prorompe da migliaia di petti. la stella d'argento. infilata, rotea intorno alla lama lampeggiante, imbroccata in pieno.

La corsa volge al termine, sulla torre campanaria del Duomo scoccano le 18. Il Componidore rinfodera la spada. si stacca dal gruppo dei cavalieri. e cinge lo scettro fiorito che gli appresta l'Aiutante di Campo e, tra gli applausi e le urla di saluto della variopinta folla, percorre a passo la lizza, segnando croci a destra e a manca sulla folla plaudente. Si avvia all'estremo capo della Lizza; si ferma. Volta il cavallo; uno squillo di tromba squarcia l'aria e rullano i tamburi, altri squilli fanno eco lontano. La folla ammutolisce. è il momento più solenne della corsa. Il Componidore sprona e il destriero parte, ventre a terra; s'odono solo i suoi zoccoli battere frenetici sulla lizza accompagnati dal tintinnio argentino della sonagliera. Vien la pelle d'oca; il Componidore è lungo riverso sulla groppa del cavallo, come un morto, simboleggiando il Carnevale morente. Col suo scettro di viole segna l'aria di ampie croci sulla folla: è l'addio.

Il cavallo passa come un fulmine tra la folla impietrita, supera la linea della stella, fila dritto; ecco che abborda la "curva maledetta, ove si sfracellano cavalli e cavalieri; rigido, sempre coricato sulla groppa, la supera.

La folla respira: la prova della "Corsa del Morto" è superata mirabilmente con perizia e maestria degna di tutto l'elogio di questo popolo Nostro nato, si può dire, a cavallo.

Un urlo sale allora dalla folla appagata e lieta: tutto bene, gli auguri si intrecciano fra parenti, amici e conoscenti: "a medas annos" a molti anni con salute!

La Sartilla è finita, la folla sciama per le vie diretta alla corsa della Pariglia.

L'augurio nostro è che essa non muoia mai; mai!

Perché la domenica o il martedì di Carnevale in cui non si udranno per le strade dei borghi oristanesi il rullio dei tamburi e il nitrire gioioso dei cavalli allegrati dalle sonagliere d'argento, annunzianti la Sartiglia, il corteo multicolore del Componidore, quel giorno Oristano potrà piangere la perdita di un caro e prezioso ricordo giudicale, la distruzione di una fresca e palpitante pagina della sua antica vita militare, un luminoso raggio di Folklore, la morte della più antica, gentile e cavalleresca maschera della terra di Sardegna; patrimonio storico che altri popoli le invidiano anche per quelle glorie nazionali ch'essa sa rievocare, ogni anno, ai postumi concittadini del grande Mariano II d'Arborea invitto Capitano delle Milizie Arborensi, grande Giudice del grande popolo nostro.

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