Ballo, musica

( tratto da “Cenni sulla Sardegna” di Baldassarre Luciano del 1841)

(pag. 43–44-45-46-47)

In ogni parte del mondo gli uomini forti, generosi ed intrepidi sogliono correggere le fatiche, temperare gli istinti, e rinnovellare il valore col mezzo di dolci sollievi, di graditi divertimenti.

Tali sollazzi proprii a ciascun popolo presentano delle enormi dissomiglianze se considerati vengono relativamente fra loro, ma custodiscono però sempre l’impronta della nazione a cui appartengono. Ora i romantici caratteri dei Sardi, ricercando nei loro esercizii le più pittoresche forme, i meno comuni conseguimenti, non è cosa straordinaria che le loro danze vadano rivestite di quell’originalità che caratterizza la loro nazione: e quindi non sarà sorprendente che i balli sardi siano del tutto disparati da quelli del vicino continente.

Molte sono le danze in Sardegna che in molte circostanze si eseguiscono, onde s’esaltano inebbriati uomini e donne: ma il vero ballo nazionale è il così detto BALLO TONDO.

Il voluttuoso ballo tondo consiste nel formare un circolo che rinchiude i suonatori; tutti i ballerini d’ambo i sessi, intralciate le mani, offrono la più bizzarra posizione: il braccio della donna appoggiasi perfettamente su quello del cavaliere, e si eseguiscono liete mosse col reciproco stringimento e riunione delle loro mani. Facile comparisce in sulle prime  il ballo tondo agli stranieri che lo contemplano, e credono non iscorgervi altro che un semplice circolo, non di meno s’avvedeono delle  difficoltà che non possono vincere ogni qual volta tentano di prendervi parte.

Non consistono tali difficoltà nella sola maniera di eseguire i passi, ma in quella eziandio di effettuare i diversi movimenti della persone con particolari scosse delle mani e delle braccia volute dal successivo abbassarsi e rialzarsi delle medesime.

Non meno attratti dei giovani, i vecchi pastori intervengono al ballo tondo obliando i loro più stretti bisogni.

Nelle regioni centrali e settentrionali le danze sono maggiormente animate: sovente si rallegrano con salti e giuochi ginnastici, che eseguiscono i più abili danzatori, e con grida di giubilo che di tempo in tempo innalzano i trasportatori astanti.

Nelle parti meridionali si danza comunemente al suono della LAUNEDDA, e talvolta a quello del piffero e del tamburino. La Launedda riguardata come l’instrumento particolare dei Campidanesi e della Sardegna meridionale, comunica, pari al flauto del Dio pane, una strana impressione ai sensi, e produce un quasi magico effetto sovra i danzatori: furono veduti gravi personaggi, e vecchi cadenti incapaci di trattenersi a far salti, e d’immischiarsi nel ballo tondo.

Quantunque contrastata dalle rimote vicende, sconcertata dalle lunghe trascorse guerre, l’antichissima musica della Launedda non restò mai sepolta nella dimenticanza.

La Launedda è formata da due, tre, o fin anco da quattro pezzi di canna di diverso diametro e lunghezza, perforati in vari siti come i flauti ordinari: l’esecutore della musica tiene in bocca le estremità di queste graduate canne, e col fiato ne trae i concenti.

Siccome era laborioso oltremodo il continuo soffiare nella launedda, ed affaticava immensamente i suonatori, spesso rendendoli vittime del loro mestiere, alcuni ingegnosi dilettanti incominciano presentemente a collocare sopra le canne d’un tale instrumento un beccuccio onde averne una facile imboccatura, risparmiando così un superfluo gonfiamento di guance e rendendo nello stesso tempo più delicato il suono.

A prima giunta sembra strano e selvaggio il suono della launedda, ma avvezzandosi l’orecchio, si finisce col rinvenirvi una particolare armonìa. La musica della launedda non è propria solo delle danze, ma suole accompagnare le processioni, le feste religiose, eseguendo bellissime pastorali.

Finalmente parlando della musica Sarda, non è da omettersi un originale concerto di voci che nella parte settentrionale dell’isola particolarmente primeggia. Riunendosi alcuni giovani per cantare, uno o due di essi soltanto pronunziano le parole della canzone; gli altri non hanno che a secondare quel canto con un accompagnamento di basse voci tratte inarticolatamente dalla gola. Quanto maggiore è il numero dei cantori, tanto più sonoro riesce l’accordo di quelle gravi armonie, ed è veramente un dilettevole spettacolo l’osservare le contorsioni in tutte guise delle bocche e delle persone onde comunicare alle loro voci una variata melodìa.

 


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