La
riforma
come
origine
della
modernità
Annalisa
Terranova
Con
esercizi
per
l'analisi
e
l'approfondimento
del
testo
a
cura
di
Fabrizio
Foschi
La
Riforma
protestante
giunse
a
mettere
in
discussione
il
corpo
dogmatico
fondamentale
del
cattolicesimo
e
a
sovvertire
sistematicamente
la
secolare
tradizione
ecclesiastica.
Inoltre
gli
interessi
politici
dei
regnanti,
interagendo
coi
fini
religiosi
di
Lutero,
di
Calvino,
di
Zwingli
e
degli
altri
riformatori
aggiunsero
scopi
del
tutto
"temporali"
a
quelli
spirituali.
La
riforma
determinò
un'insanabile
frattura
non
solo
tra
schiere
di
fedeli
professanti
confessioni
religiose
differenti,
ma
anche
tra
re,
principi
e
nazioni.
La
Riforma
non
esplode
all'
improvviso,
a
causa
dell'
Intemperanza
del
monaco
agostiniano
Martin
Lutero.
Prima
delle
sue
tesi
contro
le
indulgenze,
infatti,
numerosi
erano
stati
i
segnali
di
un
malessere
religioso
che,
ai
vari
livelli
della
società,
richiedeva
solu-zioni
radicali
ed
urgenti
per
riportare
la
Chiesa
e
il
clero
allo
spirito
delle
origini.
Il
pontefice
sovrano
aveva
rischiato
di
trasformarsi
in
un
principe
mondano,
mecenate
e
amante
delle
"bonae
Litterae",
del
tutto
dimentico
dei
suoi
doveri
spirituali.
Non
stupisce
che
papa
Leone
X
abbia
inizialmente
considerato
il
putiferio
scatenato
da
Lutero
in
Germania
alla
stregua
di
una
"bega
di
frati",
rendendosi
conto
troppo
tardi
che
la
"volpe"
devastava
la
"vigna
del
Signore",
vigna
che
lui
stesso
era
incapace
di
custodire.
E
noto
che
Lutero,
in
occasione
del
suo
viaggio
a
Roma
nel
1510,
rimase
profondamente
turbato
dallo
stato
di
decadenza
della
Chiesa
romana.
I
vescovi
provengono
dalle
corti
principesche,
ed
una
profonda
vocazione
sacerdotale
costituisce
per
loro
il
minore
dei
problemi.
La
diocesi
è
per
il
vescovo
una
sorta
di
feudo
le
cui
rendite
amministrative,
contese
con
la
giurisdizione
municipale,
rappresentano
un'allettante
fonte
di
ricchezza.
I
parroci
spesso
non
si
prendono
il
disturbo
di
risiedere
nelle
loro
parrocchie
lasciandone
la
cura
ad
"assistenti"
male
istruiti
sui
misteri
della
fede
e
dediti
a
comportamenti
non
troppo
ascetici.
Monasteri
e
conventi,
già
invisi
agli
umanisti,
oggetto
privilegiato
delle
critiche
derisorie
dei
borghesi,
conducono
un'esistenza
religiosa
caratterizzata
da
un'abitudinaria
apatia.
La
necessità
di
una
riforma
era
dunque
evidente.
Anche
il
medioevo
aveva
conosciuto
grandi
ondate
riformatrici,
come
quella
gregoriana,
come
quelle
che
ciclicamente
erano
volte
a
rinverdire
il
tronco
secolare
del
monachesimo,
come
quella
carolingia,
tesa
a
conferire
lustro
e
prestigio
al
clero
franco.
Tutte
queste
riforme,
tuttavia,
nate
all'interno
della
Chiesa,
si
mossero
nell'alveo
dell'ortodossia
con
l'intento
di
risanare
e
di
restaurare,
non
di
dividere.
Nel
caso
di
Lutero
e
dei
suoi
seguaci,
invece,
è
manifesta
la
volontà
di
distruggere
e
fare
tabula
rasa
dell'ordinamento
e
della
tradizione
ecclesiastica
per
costruire
ex-novo
un'altra
chiesa
nella
quale
i
punti
di
rottura
e
di
contrasto
con
quella
cattolica
erano
troppi
e
troppo
importanti
per
poter
considerare
l'azione
di
Lutero
soltanto
come
volontà
di
riformare
i
costumi
reagendo
alla
mondanizzazione
della
Chiesa.
La
Riforma
protestante
giunse
a
mettere
in
discussione
il
corpo
dogmatico
fondamentale
del
cattolicesimo
e
a
sovvertire
sistematicamente
la
secolare
tradizione
ecclesiastica.
Il
"ritorno
alle
origini"
invocato
dai
riformatori
aveva
lo
scopo
di
vanificare
la
plurisecolare
storia
della
Chiesa
cattolica
in
tutte
le
sue
manifestazioni,
quelle
negative
come
quelle
positive.
Il
luteranesimo
nega
alla
Chiesa
il
ruolo
di
"depositaria
dei
contenuti
della
fede",
per
interpretare
da
capo
il
testo
della
rivelazione,
la
Bibbia,
e
per
rifondare
ordinamenti
alternativi
a
quelli
cattolici.
Non
a
caso,
infatti,
la
Riforma
presenta
dei
punti
di
contatto
con
le
grandi
eresie
rivoluzionarie
del
medioevo,
quella
di
lohn
Wyclif
e
quella
di
Jan
Hus.
Il
primo
contestava
la
gerarchia
ecclesiastica
e
la
Chiesa
terrena,
sostenendo
che
la
vera
chiesa
è
quella
dei
predestinati,
al
cui
interno
non
deve
esserci
distinzione
tra
clero
e
laicato;
predicava
inoltre
l'egualitarismo
sociale
contro
la
stratificazione
feudale
in
ceti.
Jan
Hus
riprese
le
idee
di
Wyclif,
radicate
in
Inghilterra,
e
le
propagandò
in
Boemia.
Dopo
la
sua
condanna
al
rogo,
nel
1415,
le
frange
più
radicali
dei
suoi
seguaci,
chiamati
taboriti,
diedero
inizio
ad
una
ribellione
religiosa
e
politica
che
fu
domata
solo
quando,
nel
1437,
la
Boemia
venne
ricondotta
all'obbedienza
imperiale
sotto
Sigismondo
di
Lussemburgo.
I
taboriti
attendevano
la
prossima
venuta
di
Cristo,
negavano
valore
ai
sacramenti
e
vivevano
secondo
un
regime
di
vita
comunistico.
Negavano
l'autorità
imperiale
e
predicavano
l'assoluta
uguaglianza
dei
ceti,
si
ritenevano
"combattenti
di
Dio"
e
rivolgevano
la
loro
rivoluzionaria
aggressività
in
particolare
contro
nobili
e
preti.
Durante
la
disputa
teologica
avvenuta
a
Lipsia
nel
1519
con
Johan
Eck,
Lutero
dichiarò
di
condividere
alcune
delle
idee
di
Jan
Hus.
La
Riforma
riportò
alla
luce
anche
un
aspetto
tipico
del
giudaismo
e
del
primo
cristianesimo:
il
millenarismo.
Un
atteggiamento
di
esaltazione
collettiva
che
consisteva
nell'attesa
dell'imminente
venuta
di
Cristo
e
comportava
atteggiamenti
fanatici
di
isolamento
settario,
noncuranza
dei
propri
doveri
sociali,
coscienza
di
essere
i
predestinati
scelti
dal
Signore
per
l'ultima
e
definitiva
battaglia.
L'ansia
millenaristica,
negli
strati
sociali
più
bassi,
si
confondeva
con
l'aspettativa
di
un'età
di
uguaglianza
e
fratellanza
universali,
dove
a
tutti
gli
"eletti"
sarebbe
stata
garantita
l'agiatezza
materiale.
Una
prospettiva
che
sospingeva
queste
folle
di
disperati
a
ribellioni
violente,
che
venivano
represse
nel
sangue
e
che
si
risolvevano
in
un
automartirio
collettivo
affrontato
con
la
ferma
convinzione
di
guadagnarsi,
in
questo
modo,
la
beatitudine
eterna.
Se
i
massimi
rappresentanti
della
Chiesa
vacillavano,
noncuranti
dei
dogmi
e
delle
pratiche
virtuose,
la
fede
popolare
rimaneva
intatta
nella
gran
parte
della
popolazione
anche
se,
come
giustamente
rilevano
gli
storici
della
Riforma,
la
religione
veniva
vissuta
più
come
convenzione
che
come
profondo
moto
dell'animo:
di
qui
l'abuso
delle
indulgenze
e
il
loro
successo
tra
i
fedeli,
soprattutto
se
predicatori
senza
scrupoli,
come
accadde
a
Saint-Pierre
de
Saintes,
assicuravano
ai
parrocchiani
che
al
tintinnio
delle
loro
monete
nella
cassetta
delle
elemosine
sarebbe
seguito
immediatamente
il
volo
delle
anime
dal
Purgatorio
al
Paradiso.
"Nessuno
abbandona
la
Chiesa,
nessuno
pensa
di
farlo
-
rileva
Henri
Pirenne
-
ma
la
religione
è
diventata
più
che
altro
un'abitudine,
una
regola
di
vita
di
cui
si
osservano
i
rituali
assai
più
che
lo
spirito.
Questa
è
la
ragione
del
successo
delle
indulgenze
che
il
papato,
sempre
a
corto
di
denaro,
si
lascia
andare
ad
autorizzare
per
qualsiasi
motivo.
Certamente,
quelli
che
le
acquistano
dimenticano
che
la
contrizione
è
indispensabile
alla
loro
efficacia
e
pensano
semplicemente
di
fare
un'assicurazione
contro
i
rischi
della
vita
futura"(1)
La
religiosità
popolare,
che
era
stata
tollerata
dalla
Chiesa
medievale
perché
in
essa
si
ravvisava
un
sincero
anelito
di
fede
in
strati
della
popolazione
solo
superficialmente
cristianizzati,
venne
disprezzata
dagli
umanisti
e
contestata
dai
riformatori,
i
quali
però
non
si
fecero
scrupolo
di
instillare
nell'animo
popolare
fanatismi
ben
più
pericolosi
dei
pellegrinaggi
o
del
culto
delle
reliquie,
come
quello
apocalittico
dell'aspettativa
di
un'imminente
rivoluzione
celeste
che
avrebbe
rimesso
al
giusto
posto
il
mondo
terreno.
Il
prestigio
di
cui
godeva
il
clero
presso
le
masse
dei
fedeli
era,
ancora,
enorme
e
profondo.
A
livello
di
mentalità
la
gerarchizzazione
in
ordini
sociali
che
sorreggeva
l'età
medievale
era
ancora
viva
ed
operante
e
la
funzione
che
si
riteneva
Dio
avesse
assegnato
ai
sacerdoti
era
importantissima.
Garante
della
pace
sociale
in
quanto
ha
il
potere
di
indicare
all'opinione
pubblica
e
di
espellere
dalla
comunità
i
"germi
corruttori"
del
disordine
e
della
divisione,
il
clero
era
particolarmente
accurato
nel
controllo
dell'immutabilità
dell'assetto
sociale
consolidato.
Gli
ecclesiastici,
scrive
Pierre
Miquel,
"hanno
il
potere
di
regnare
sulle
coscienze:
curano
e
insegnano
e
detengono
inoltre
un
vero
e
proprio
potere
di
vita
e
di
morte
spirituale.
Possono
cacciare
dai
cimiteri
coloro
che
ritengono
indegni
della
sepoltura
in
terra
cristiana;
hanno
il
terribile
potere
di
condannare
all'inferno
tramite
la
scomunica...
La
formazione
delle
coscienze
è
in
mano
loro:
sono
i
soli
ad
aprire
scuole,
a
dirigere
i
collegi
e
le
università:
hanno
il
dovere
di
redigere
l'index
librorum,
ossia
l'elenco
dei
libri
ritenuti
dannosi
per
la
morale
e
che
il
boia
deve
bruciare;
hanno
cura
delle
anime
e
in
questa
veste
sono
censori
e
inquisitori"(2).
Molti
cambiamenti
si
erano
realizzati
rispetto
al
medioevo:
la
storiografia
assegna
alla
libera
espansione
di
due
forze
dirompenti
come
la
Riforma
e
il
Rinascimento
la
responsabilità
della
nascita
del
mondo
moderno.
C'erano
però
altri
fattori
non
trascurabili
di
mobilità
che
trasformarono
l'Europa
dei
secoli
XIV,
XV
e
XVI
in
una
società
"agitata,
tormentata,
in
lotta
contro
la
tradizione
che
l'opprime
e
di
cui
non
riesce
a
liberarsi"(3).
Il
secolo
del
Rinascimento
è
lo
stesso
in
cui
fa
la
sua
comparsa
in
Europa
una
classe
di
"uomini
nuovi",
capitalisti
ante-litteram,
di
cui
sono
significativi
esempi
i
Fugger
ad
Augusta
e
Giacomo
Coeur
in
Francia,
novelli
imprenditori
che
investono
capitali
in
centri
manifatturieri
e
creano
monopoli
commerciali,
lottando
per
l"'affrancamento"
dal
regime
feudale
e
dalle
regolamentazioni
delle
arti
e
dei
mestieri.
Grazie
a
loro
è
ormai
del
tutto
superato
il
'pregiudizio"
medievale
che
investiva
la
figura
del
mercante
sulla
base
della
sentenza
di
San
Girolamo
per
cui
"homo
mercator
vix
aut
numquam
potest
Deo
placere".
La
scoperta
del
Nuovo
Mondo
è
un
ulteriore
elemento
di
trasformazione
gravido
di
molteplici
conseguenze
commerciali,
culturali,
religiose,
politiche
(4),
né
va
sottovalutata
l'importanza
dell'invenzione
della
stampa,
se
si
riflette
alla
rapidità
con
la
quale,
ad
esempio,
Lutero
e
Calvino
poterono
far
circolare
i
loro
scritti
da
un
capo
all'altro
d'Europa,
tanto
da
far
definire
il
luteranesimo
"figlio
del
libro
stampato".
Le
stamperie
di
Lione
si
arricchirono
a
dismisura
pubblicando
le
opere
dei
riformatori
che
entravano
clandestinamente
in
città
con
le
carovane
dei
muli,
nascoste
nei
panieri
di
castagne
e
nei
barili
di
aringhe.
Il
re
Francesco
I
era
talmente
turbato
dall'espansione
dell'editoria
"eretica"
nel
suo
"cristianissimo"
regno
che
per
un
momento
pensò
addirittura
di
vietare
in
assoluto
che
si
stampassero
libri.
Nell'avvento
dell'era
moderna
ebbe
un
ruolo
notevolmente
influente
anche
la
trasformazione
dell'Europa
in
una
serie
di
monarchie
nazionali
obbedienti
esclusivamente
alla
ferrea
legge
della
"ragion
di
stato",
prive
di
qualsiasi
vocazione
superiore
a
quella
politico-espansionistica
corrispondente
agli
interessi
delle
dinastie
regnanti.
Al
contrario
l'Europa
medievale
era
caratterizzata
dalla
comu-ne
coscienza
di
un
unico
destino
di
"salvazione"
che
coinvolgeva
tutti
gli
Stati
cristiani.
Non
a
caso
Novalis
ravvisava
nel
medioevo
l'unico
periodo
di
storia
unitaria
dell'Europa
come
"cristianità"
organizzata
alla
stregua
di
una
grande
corporazione,
al
cui
interno
ogni
persona
era
protetta
nella
dignità
del
suo
stato
sociale
e
posse-deva
precise
funzioni
da
compiere
in
vista
del
bene
comune
(5).
La
trama
religiosa
su
cui
poggiava
questa
organizzazione
di
Stati
e
di
uomini
era
costituita
dal
cattolicesimo,
che
faceva
dell'Europa
un
unico
corpus
christianum
retto
dalle
due
"spade"
dell'imperatore
e
del
pontefice,
cui
le
autorità
subordinate,
titolari
di
grandi
e
piccoli
regni,
dovevano
obbedire.
La
lotta
plurisecolare
tra
le
due
auctoritates,
Imperium
e
Sacerdotium,
iniziata
dopo
il
Mille
e
mai
interrotta,
indebolì
e
privò
dei
loro
significati
politici
e
metapolitici
le
due
istituzioni.
Le
monarchie
nazionali
sfruttarono
il
conflitto
a
loro
vantaggio,
intraprendendo
quell'ascesa
che
era
destinata
a
mutare
radicalmente
il
volto
dell'Europa:
dalla
cristianità
indivisa
si
passa
ad
un
sistema
di
monarchie,
principati
e
repubbliche
cittadine
tra
i
quali
si
intrecciano
sottili
reti
di
alleanze
e
opportunistiche
relazioni
diplomatiche.
Nulla,
al
di
fuori
di
contingenti
interessi
comuni,
lega
più
gli
Stati
europei:
"L'avvenire
appartiene
ora
a
quegli
Stati
nazionali
dell'Europa
occidentale
dove
l'esistenza
di
una
forte
monarchia
si
accoppia
ad
una
coscienza
sempre
più
desta
di
grande
nazione...
In
Europa
la
coscienza
del
comune
destino
di
tutti
gli
Stati
cristiani
ora
non
è
più
che
una
larva
sbattuta
dal
turbine
di
feroci
guerre
di
predominio
politico"6.
Come
l'umanesimo
aveva
introdotto
l'individualismo
nel
campo
della
cultura
e
del
sapere,
l'infrangersi
dell'ecumene
medievale
conduce
al
particolarismo
nel
campo
politico.
La
formazione
dello
Stato
laico
e
nazionale
porta
con
sé
anche
un'importante
metamorfosi
della
concezione
della
sovranità:
il
monarca
medievale
è
"signore
di
pace
e
di
giustizia",
ha
il
compito
di
salvaguardare
un
ordine
terreno,
riflesso
di
un
ordine
trascendente,
già
dato
ed
esistente
dai
tempi
dei
tempi,
egli
non
può
essere
sciolto
dalla
legge
o
essere
al
di
sopra
della
legge
(Legibus
solutus)
perché
il
monarca
è
la
legge,
è
una
parte
integrante
di
quella
totalità-
il
mondo
umano
-
ordinata
secondo
norme
dettate
dall'alto
ed
il
cui
rispetto
il
re
garantisce.
La
funzione
fondamentale
del
sovrano
non
è
"legiferare",
ma
vigilare
affinché
la
norma
universale
non
sia
trasgredita.
Al
contrario,
i
sovrani
delle
monarchie
assolute
del
XVI
e
del
XVII
secolo,
perseguono
sistematicamente
la
unificazione
e
l'accentramento
di
tutti
i
poteri
nelle
loro
mani,
sostituendo
all'aristocrazia
feudale
una
schiera
di
burocrati
e
funzionari
di
estrazione
borghese.
I
monarchi
assoluti
si
dichiarano
re
"di
diritto
divino",
rivendicando
"per
le
loro
unità
particolari
lo
stesso
principio
di
assoluta
autorità
proprio
all'Impero".
I
sovrani
assoluti,
distruggendo
il
sistema
delle
gerarchie
feudali
sulle
quali
poggiava
I
'
ordinamento
medievale,
privano
la
nobiltà
della
sua
funzione
specifica
all'interno
della
comunità
politica;
chiamando
al
governo
dello
Stato
la
borghesia,
preparano
quella
rivoluzione
del
"terzo
stato"
che
si
rivolgerà
alla
fine
contro
di
loro;
perseguendo
solo
il
bene
delle
loro
dinastie
si
votano
alla
conquista
per
la
conquista
obbedendo
unicamente
al
principio
della
amoralità
della
necessità
di
Stato.
Prima
che
negli
altri
regni
europei,
il
processo
di
fondazione
dell'assolutismo
monarchico
e
dello
stato
nazionale
venne
portato
a
termine
in
Francia,
Inghilterra
e
Spagna.
La
scomparsa
delle
gerarchie
feudali
ebbe
come
conseguenza
l'accentramento
del
pote-re
statale
in
un
unico
detentore
dell'autorità,
il
sovrano,
le
cui
dis-posizioni
gravavano
in
modo
diretto,
non
più
filtrate
attraverso
i
poteri
feudali
intermedi,
sui
sudditi,
i
cui
maggiori
doveri
saranno
d'ora
in
poi
quelli
fiscali.
Distrutto
il
"trifunzionalismo"
medievale
alcuni
ceti
saranno
votati
ad
un'inarrestabile
decadenza,
come
l'aristocrazia,
altri
ad
un'ascesa
inarrestabile,
come
la
borghesia
mercantile
e
cittadina,
altri
ad
una
perdita
di
dignità
della
loro
condizione
sociale,
come
i
lavoratori
della
terra.
Anche
i
rapporti
con
la
Chiesa
saranno
impostati
dalle
monarchie
assolute
secondo
il
punto
di
vista
della
"ragion
di
Stato".
I
sovrani
perseguono
nei
loro
regni
il
controllo
del
clero
e
dei
beni
ecclesiastici,
concedendo
in
cambio
a
Roma
l'appoggio
militare
contro
le
eresie
e
quello
politico
contro
le
tendenze
conciliariste7
dei
vescovi.
Affermando
la
sua
giurisdizione
sulla
Chiesa,
lo
Stato
laico
si
arroga
il
diritto
di
esercitare
una
politica
di
cui
fanno
parte
"la
lotta
all'eresia,
il
favore
e
la
protezione
e
la
pretesa
di
riformare
i
costumi
del
clero
nazionale,
il
potere
di
sorveglianza
e
di
ispezione,
il
diritto
di
placet
oppure
il
veto
a
nomine
ecclesiastiche
non
gradite,
con
eventuale
sequestro
delle
temporalità,
il
diritto
di
exequatur
per
la
pubblicazione
e
messa
in
pratica
degli
atti
delle
autorità
ecclesiastiche,
il
diritto
alla
proposta
dei
titolari
dei
benefici
maggiori
e
minori"8.
La
riforma
determinò
un'insanabile
frattura
non
solo
tra
schiere
di
fedeli
professanti
confessioni
religiose
differenti,
quella
riformata
e
quella
cattolica,
ma
anche
tra
re,
principi
e
nazioni.
Gli
abitanti
di
uno
stesso
villaggio,
città
o
contrada,
che
fino
ad
allora
avevano
ascoltato
insieme
la
messa
e
fatto
baldoria
insieme
in
occasione
delle
feste
dei
santi
e
delle
solennità
religiose,
che
insieme
avevano
pregato,
osservato
i
digiuni,
ascoltato
le
prediche,
insieme
si
erano
recati
in
processione,
ora,
improvvisamente,
scendevano
in
strada
armati,
pronti
a
darsi
battaglia
l'un
contro
l'altro
in
nome
del
partito
"evangelico"
o
"papista".
Gli
interessi
politici
dei
regnanti,
interagendo
coi
fini
religiosi
dei
riformatori,
aggiunsero
scopi
del
tutto
"temporali"
a
quelli
spirituali
insiti
nei
conflitti
religiosi.
La
Riforma
introdusse,
inoltre,
una
nuova
visione
di
Dio,
dell'uomo
e
del
legame
tra
loro.
Centrale,
nella
teologia
luterana,
è
il
concetto
della
giustificazione
per
fede.
Sulla
base
del
versetto
paolino
che
recita
"il
giusto
vivrà
nella
fede"
Lutero
"comprese
l'impossibilità
di
ottenere
la
giustificazione
mediante
le
proprie
opere:
I'uomo
è
giustificato
e
salvato
soltanto
dalla
fede
in
Cristo
e,
proprio
come
la
fede,
anche
la
salvezza
è
concessa
gratuitamente
da
Dio"9.
L'uomo,
cui
si
nega
la
possibilità
di
commettere
il
bene,
è
così
annullato
dinanzi
alla
maestà
divina.
Contro
la
scolastica
e
l'etica
classica
Lutero
vanificò
il
concetto
di
"libero
arbitrio"
affermando
che
"la
volontà,
prima
di
ottenere
la
grazia,
è
solo
un
nome
vuoto.
Sarebbe
stato
più
giusto
dire
decisamente
che
la
libera
volontà
è
di
fatto
una
finzione
o
un
nome
privo
di
sostanza,
perché
non
è
in
potere
dell'uomo
compiere
il
male
o
il
bene"'°.
Erasmo
da
Rotterdam
nel
suo
De
libero
arbitrio,
criticò
Lutero
sostenendo
che
la
libertà
di
scelta
tra
il
bene
e
il
male
è
una
condizione
propria
dell'uomo.
Lutero
replicò
con
il
De
servo
arbitrio
ribadendo
che
l'uomo,
dopo
il
peccato
originale,
è
dominato
solo
dalla
ricerca
egoistica
dei
suoi
interessi,
ed
è
incapace
di
collaborare
alla
sua
salvezza.
Su
questo
punto
la
Riforma
si
allontana
dal
Rinascimento,
contrassegnato
dalla
magnificazione
delle
qualità
dell'uomo,
tuttavia
il
suo
contributo
all'affermazione
dell'individualismo
moderno
è
ancora
più
grande:
"Più
che
la
'dignità
dell'uomo'
esaltata
dagli
umanisti,
è
stata
la
libertà
dell'individuo
di
rifiutare
qualsiasi
altra
autorità
all'infuori
di
Dio
a
rendere
possibile
il
'mondo
moderno'
quale
si
configurerà
all'epoca
dell'illuminismo
e
quale
si
preciserà
con
la
Rivoluzione
francese
e
il
trionfo
della
scienza
e
della
tecnologia"
11.
Spesso
si
rimprovera
al
medioevo
di
aver
troppo
mortificato
il
corpo,
la
carne,
i
piaceri
del
mondo,
dimenticando
che
è
"nella
teologia
protestante
che
la
svalutazione
dell'uomo
e
del
mondo
attinge
1'
apice
della
denigrazione
più
grave",
come
afferma
Jean
Delumeau
nella
sua
monumentale
storia
del
peccato
in
Occidente
l2.
Lutero
e
Calvino
fecero
a
gara
nel
pronunciare
le
più
denigranti
affermazioni
sull'uomo
e
sul
suo
livello
di
corruzione:
"Gli
uomini,
per
quanto
grande
sia
il
loro
numero
-
sostiene
il
riformatore
tedesco
-
sono
tutti
soggetti
al
demonio
e
al
peccato,
per
non
dire
che
sono
membra
del
diavolo
il
quale
con
la
sua
tirannia,
tiene
prigionieri
tutti
gli
uomini...
Ne
consegue
che
tutti
i
doni
che
possiedi,
sia
spirituali
sia
materiali,
quali
la
saggezza,
giustizia,
santità,
eloquenza,
potenza,
beltà,
ricchezza
sono
strumenti
e
armi
servili
della
tirannia
infernale
del
diavolo.
Proprio
con
quei
doni
sei
costretto
a
servirlo,
a
far
avanzare
il
suo
regno
e
a
farlo
ingrandire"
13.
Parole
cui
fa
eco
Calvino
ribadendo
il
suo
totale
pessimismo
sul
valore
degli
esseri
umani:
"É
necessario
che
la
coscienza
ci
corroda
facendoci
capire
la
nostra
malvagità,
perché
così
potremo
accostarci
almeno
ad
una
qualche
conoscenza
di
Dio.
Infatti
dalla
consapevolezza
della
nostra
ignoranza,
della
nostra
inconsistenza,
carenza,
debolezza
e
anzi
perversità
e
corruzione,
siamo
portati
a
conoscere
che
in
nessun
essere,
se
non
in
Dio,
c'è
vera
luce
di
sapienza,
solida
virtù,
retta
abbondanza
di
ogni
bene
e
intemerata
giustizia...,
non
possiamo
aspirare
e
tendere
a
Dio
a
ragion
veduta,
se
non
abbiamo
cominciato
con
un
totale
aborrimento
di
noi
stessa.
La
natura
e
il
mondo
sono
dunque
il
regno
del
demonio,
le
azioni
umane
sono
inesorabilmente
dettate
da
irrefrenabile
cupidigia,
perfino
i
virtuosi,
agendo
per
migliorare
se
stessi,
e
non
per
la
gloria
di
Dio,
peccano
in
superbia,
in
vanità
e
in
orgoglio;
non
c'è
più
traccia,
in
questa
spiritualità
cupa
e
disperata,
che
inchioda
l'individuo
ad
un
destino
immutabile
di
"misero
peccatore",
della
concezione
dell'uomo
creato
a
immagine
di
Dio.
Con
la
teologia
riformata
"si
è
attuato
un
mutamento
di
prospettiva:
i
sensi
non
vengono
più
contrapposti
allo
spirito,
come
se
questo
fosse
il
loro
nemico,
perché
è
lo
stesso
spirito
ad
essere,
nell'uomo,
corrotto
e
malvagio.
La
fuga
dal
mondo
è
dichiarata
cosa
inutile,
dato
che
il
male
resta
presente
all'
interno
dei
conventi
come
al
di
fuori,
nella
solitu~ine
ascetica
come
nella
vita
sociale.
Si
afferma,
inoltre,
che
la
sessualità
è
sicuramente
intrisa
di
peccato,
ma
non
è
più
o
meno
spregevole
di
qualsiasi
altra
nostra
operazione
o
espressione.
Insomma
non
esiste
in
noi
un
livello
superiore
che
tenderebbe
di
imporre
un
poco
di
ordine
alle
agitazioni
dei
livelli
più
bassi.
Tutto
è
malvagio
nell'uomo
a
meno
che
non
intervenga
la
grazia
interamente
gratis
data
da
Cristo"15.
Si
comprenderà,
allora,
come
la
Riforma
non
possa
più
essere
semplicemente
osservata
come
una
disputa
interna
all'evoluzione
storica
del
cristianesimo
oppure
come
un
"pretesto"
utilizzato
dai
principi
e
dai
regnanti
per
scrollarsi
di
dosso
il
giogo
del
potere
assoluto
del
pontefice
romano,
e
nemmeno
come
il
risultato
dell'azione
dei
singoli
riformatori,
come
modifica
più
o
meno
intensa
degli
usi
secolari
della
religione
cattolica.
Conviene
accostarsi
al
fenomeno
come
insieme,
come
totalità
di
eventi
piccoli
e
grandi,
che
hanno
coinvolto,
nel
loro
risultato
globale,
il
destino
intero
del
morldo
occidentale,
influendo
sui
suoi
aspetti
strutturali
non
solo
sul
piano
della
spiritualità,
ma
anche
su
quello
politico-sociale.
Non
bisogna
dimenticare
gli
addentellati
che
la
Riforma
ha
con
l'età
precedente,
con
l'ansia
tardomedievale
di
un
rinnovamento
"in
capite
et
membris".
Tuttavia,
proprio
nel
momento
in
cui
i
riformatori
radicalizzarono
l'interrogativo
sul
destino
religioso
dell'uomo,
pretendendo
di
risolverlo
al
di
fuori
della
tradizione
di
pensiero
e
di
istituti
del
cattolicesimo,
introdussero
su
un
altro
versante
fattori
come
l'individualismo,
il
rifiuto
dell'autorità
e
della
gerarchia
medievale
degli
ordines
che
andarono
nel
senso
della
secolarizzazione
caratteristica
del
nostro
tempo.
Nata
da
aspirazioni
integralmente
religiose,
la
Riforma
ha
finito
con
il
contribuire
al
processo
di
laicizzazione
più
di
qualunque
altro
movimento
dell'epoca,
e
più
che
configurarsi
come
figlia
della
crisi
maturata
sul
finire
del
medioevo
è
più
correttamente
il
mondo
moderno
che
appare
come
frutto
della
Riforma,
un'eredità
che
più
di
ogni
altra
prospettiva
consente
di
spiegarla,
capirla
e
valutarla
in
tutte
le
sue
implicazioni.
Note
1.
H.
Pirenne,
Storia
d
'Europa
dalle
invasioni
al
XVI
secolo,
Firenze
1988,
p.
398. 2.
P.
Miquel,
Le
guerre
di
religione,
Firenze
1981,
pp.
6-7.
3.
H.
Pirenne,
op.
cit.,
p.
363.
4.
Tra
le
più
importanti
Pirenne
elenca
"la
trasformazione
dell'Atlantico
in
un
mare
interno,
la
scoperta
del
Pacifico,
l'espansione
del
cristianesimo
al
di
là
dell'equatore,
la
diffusione
dello
spagnolo,
del
portoghese
e
ben
presto
del
francese
e
dell'inglese
in
America,
la
trasformazione
di
tanti
popoli,
assorbiti
o
annientati,
la
comparsa
di
tanti
prodotti
nuovi
che
mutano
le
condizioni
di
vita". 5.
Cfr.
Novalis
(Friedrich
von
Hardcnberg),
La
cristianità
ossia
l'Europa,
Milano
1985.
6.
G.
Ritter,
La
formazione
dell'Europa
moderna,
Bari
1985,
pp.
14-15.
7.
Una
parte
del
corpo
vescovile,
infatti,
rivendicava
la
propria
autonomia
e
indipendenza
dal
pontefice
ed
esprimeva
questa
tendenza
nella
dichiarazione
di
superiorità
del
Concilio
sul
Papa.
Posizioni
conciliariste
erano
state
manifestate
nei
grandi
Concili
del
'400
che
ricomposero
lo
scisma
d'Occidente,
a
Costanza
(1414)
e
a
Basilea
(1431),
ma
il
papato
risultò
vittorioso
rispetto
alla
aspirazioni
dei
vescovi.
8.
A.
Marongiu,
Storia
del
diritto
italiano.
Ordinamenti
e
istituti
di
governo,
Milano
1985,
p.
228. 9.
M.
Eliade,
Storia
delle
credenze
e
delle
idee
religiose,
vol.
III,
Firenze
1983,
p.
2~.
10.
Ivi.
p.
269.
11.
Ivi,
p.
274.
12.
J.
Delumeau,11
peccato
e
la
paura.
L'idea
di
colpa
in
occidente
dal
Xlll
al
XVIII
secolo,
Bologna
1987,
p.
46.
13.
Ivi,
p.
46.
14.
Ivi,
p.
48.
15.
Ivi,
p.
S
I
.